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Bentornata scuola (complessa)
In attesa della classe
Settembre, la scuola ricomincia e in molti siamo qui a mettere in fila pensieri che poi (per fortuna) verranno spazzati via dal fragore delle sedie trascinate della prima ora del primo giorno in classe. In queste ore durante le quali rivediamo programmi, immaginiamo progetti, fantastichiamo su novità per tenere in vita e salute quello che abbiamo sempre fatto, sarebbero tanti i temi su cui riflettere: da questioni di fondo come il nostro addio simbolico al Novecento con il definitivo ingresso nelle secondarie dei soli nati negli anni Zero alle incognite di propositi governativi ancora nebulosi, da banchi di prova come il nuovo esame della secondaria superiore al nodo culturale dell’alternanza scuola lavoro, dalle problematicità dell’universo Invalsi fino a ombre funeste e fino a ieri inimmaginabili che si addensano, come distopie improvvisamente possibili, fatte di telecamere e uomini in divisa per i corridoi delle nostre scuole. Di certo, dal nostro piccolo ma cruciale osservatorio di insegnanti, ci occuperemo di quanto di importante potrebbe accadere quest’anno. Nell’imminenza di un tempo che potrebbe essere decisivo per le sorti del bene comune e di uno dei luoghi naturali della sua edificazione che è la scuola resta però l’immediato presente, in cui ci chiuderemo dietro per la prima volta la porte della classe e sul quale vorrei proporre una piccola riflessione.
Questa estate
È stata un’estate complicata. Abbiamo vissuto un tempo particolare, inedito, denso di conflitti che si è riempito di questioni che difficilmente solo un anno prima avremmo ipotizzato potersi imporre in modo così violento. Il Paese si è spaccato, i toni sono aumentati a ogni livello, le urla e i selfie hanno sostituito la parola, lo scontro ha seppellito le possibilità dell’incontro. L’egemonia di un pensiero collettivo dozzinale, semplificante, teso da ogni parte alla polarizzazione degli estremi è sembrato diventare l’unico codice possibile, dalla comunicazione politica a quella di riflesso violenta e proliferante dell’universo social. Proprio a partire da questo scenario mi è capitato spesso durante l’estate di pensare all’anno scolastico che sarebbe stato. Perché è evidente come quanto sia maturato o meglio marcito nella società transiterà naturalmente, in assenza di un argine, tra i nostri banchi, nelle nostre aule docenti, tra i nostri pensieri e le nostre parole, tra i pensieri e le parole dei ragazzi e delle ragazze. In ragione di ciò, se dovessi allora indicare una priorità da mettere in cima alla mia personale lista per l’anno che verrà, avrei pochi dubbi: la difesa del valore del pensiero complesso. La scuola dovrebbe essere baluardo e luogo elettivo dove, per mandato, per condizioni (anche se sempre più precarie), margine di intervento, resti possibile, anzitutto a partire dallo statuto epistemologico di ogni disciplina, consegnare ai ragazzi la libertà seminale del pensiero complesso.
Da necessario a urgente
Il pensiero complesso, quello sguardo sul mondo che rende sostanza e ragione di ogni sistema nella sua interezza e interazione continua, che non retrocede mai alla sfida del dubbio, che non si fa forte della falsa comodità della semplificazione ignorante, è urgenza educativa nella misura in cui è per natura antidoto anche a quanto di degradante e pericoloso va imponendosi nella nostra società. Per altro c’è poco da inventarsi. Ciò che le materie scientifiche insegnano già manifestando autenticamente se stesse, ciò che le materie umanistiche ribadiscono raccontando uno snodo storico o chi con il pensiero e con l’arte ha saputo spingere le domande oltre i confini della pura evidenza, diventa da necessario a urgente in un tempo in cui ogni grande questione che investe il nostro tempo viene risolta nella scorciatoia becera dello slogan, della leva sui nervi scoperti della rabbia, della paura, della diffidenza. Mi pare evidente come questa generazione di ragazze e ragazzi, che ha la fortuna di vivere in un mondo che offre possibilità comunicative mai viste e di cui sarebbe importante ribadire sempre più, anche in sede scolastica, non solo le insidie ma soprattutto le risorse, sconti una sovraesposizione alla quale solo la palestra del pensiero complesso, del conflitto critico, del percorso in profondità possa rendere abili e resistenti.
La centralità del docente
Da questo punto di vista la centralità del docente nel processo educativo torna ad assumere quella posizione di fulcro dalla quale più o meno surrettiziamente, in nome dello svecchiamento, dell’allineamento a presunti standard o di una generica chiamata al futuro, da qualche anno a questa parte sembra essere gradualmente estromesso. Certo, i docenti dovranno essere all’altezza del mandato che un tempo storico come questo richiede loro, proprio a partire dalla capacità di mettere in circolo la possibilità di accesso alla dimensione della complessità e della costruzione di uno sguardo critico che ogni processo educativo onesto porta con sé. Scegliere di farlo ovviamente non si ridurrà a un generico buon proposito senza gambe per diventare concretezza. Si tratterà di essere all’altezza di quella chiamata alla storicizzazione del sapere di un autore, di un’opera, nel proprio legittimo e fondato passato ma proprio perché dialoghi con il nostro presente, che è sempre mutevole, che non è quello di ieri, che non sarà quello di domani. Davvero oggi Dante, Galileo, Verga, hanno l’occasione di tornare a essere vivi tra i nostri banchi, per quello che possono dire al nostro tempo ma così come lo studio del pensiero, del diritto, delle domanda sulla natura, delle necessità delle logiche, dei grandi orizzonti svelati dalle lingue, fino a quanto possano dirci le stesse materie prettamente tecniche. Che cosa sia in gioco mi pare abbastanza chiaro. Si diceva di una scuola dove oramai circolano solo ragazzi e ragazze nati negli anni Zero. Con loro che entrano nel mondo degli adulti se ne sta però oramai andando quella generazione che nel bene e nel male ha determinato il patrimonio culturale e politico fondativo della nostra società, a partire da principi dati a torto come oramai scontati: quello di democrazia, di cittadinanza, di Stato di diritto e di sussidiarietà. Oggi più che mai è a scuola che si gioca la partita del futuro di una società che sarà abitata o da persone libere e capaci di un pensiero critico o al contrario di masse indistinte pronte alla sequela del seminatore di stupidità di turno. Sta a noi, a partire da questa settimana.
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