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diretto da Romano Luperini

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Girando fra i banchi di un liceo artistico. Commento alle tracce dell’Esame di Stato 2018 /1

 

Pubblichiamo una riflessione del collega Antonello Ronca sulle tracce dell’Esame di Stato di quest’anno. Nei prossimi giorni ne seguiranno altre, per guardare alla prima prova da una molteplicità di punti di vista.

Leggendole d’un fiato ci si accorge, per chi è del mestiere, che le tracce respirano ancora l’aria del precedente governo, e non quella del “cambiamento”. Il neo ministro Bussetti in visita nelle Marche ha dichiarato che sono temi che «non mi appartengono»: solo nel senso che sono stati decisi da altri o anche perché non appartengono alla sua “cultura”? (link) L’«Huffington Post» taglia corto: «la traccia sull’opera di Bassani è la più bella replica che la scuola potesse dare a Salvini» (link). E la neo senatrice a vita Liliana Segre si è complimentata per la scelta di Bassani.

Se ne saranno accorti i ragazzi dietro ai banchi di un liceo artistico in una delle prime giornate assolate e afose a Torino, dopo 23 giorni di pioggia su 31 a maggio? Per loro il problema è un altro: dobbiamo piegare il foglio in due? La risposta è sempre uguale: no, scrivete dentro i margini, per favore. La mania di dividere il foglio in due risale a quasi venti anni fa, quando la prima prova fu riformata: un piccolo contributo a imbarbarire le abitudini scrittorie dei ragazzi, che cominciano così a scrivere a sinistra a filo giustezza, senza lasciare un millimetro, quando i fogli timbrati e firmati distribuiti sono dotati di ampi e comodi margini. Piccolissima cosa, me ne rendo conto, a fronte della richiesta di dimostrare come sappiano organizzare il loro pensiero per iscritto.

 Senza parole

Sono curioso di leggere la prima prova, perché mi trovo a fare il commissario in due classi di un liceo artistico a indirizzo multimediale. Lo sappiamo: il nostro futuro, o meglio il nostro presente passa di qui. E nella seconda prova loro mostreranno le meraviglie di quello che sanno fare in un video sulla guerra a partire da Guernica di Picasso: l’interazione tra grafica e grafica computerizzata, pittura, fotografia, cinema, cinema di animazione, videoclip, creazione di siti ecc. In una parola, il dominio dell’audio-visivo sulla parola, che per loro è solo uno dei mezzi con cui esprimersi, non il principale (penso al ruolo della didascalia o delle sovrascritte su Instagram).

Quando distribuisco il fascicolo di 7 pagine, una misura standard negli ultimi anni, i ragazzi non sembrano turbati, anche se nella mattinata mi vengono rivolte molte domande, più che altro “tecniche”. Solo dopo un’ora riesco finalmente a dare una lettura distesa alle tracce. Non male, è la prima impressione. Ma ci va tempo per capire se funzionano. Bisogna vedere gli svolgimenti e farle decantare un po’. A volte ci vanno mesi.

Non ho ancora corretto, ma provo a immaginare l’impatto di quelle tracce sui “miei” allievi. Sono un campione significativo del mondo scolastico. L’Artistico non è lo Scientifico o il Classico, i due indirizzi che conosco meglio. In una delle sue sezioni ci sono anche degli italiani, ma almeno metà degli allievi rappresentano tutti i continenti, tranne l’Oceania. Qualcuno fatica anche con l’italiano orale, me ne accorgo quando mi fanno le domande. Un allievo scrive in inglese: è turco, ma pensa in inglese e traduce in italiano. Un ragazzo ha l’insegnante di sostegno. Un buon banco di prova, insomma, per misurare la tenuta delle tracce.

Moro, chi era costui?

C’è una traccia che non ha fatto nessuno: quella sulla cooperazione internazionale che si ispira a De Gasperi e Moro. Avessero pensato a un tema su Moro e magari sul suo assassinio, dato che durante l’anno se ne è parlato molto, qualche allievo sensibile agli aspetti storico-politici forse avrebbe potuto dire qualcosa di sensato, ma così no. Qualcuno dei neoministri sarebbe in grado di farla? Perché sprecare in questo modo – e con la traccia di storia è quasi sempre andata male, tranne l’anno in cui la traccia verteva sulla figura di due partigiani – la tipologia C? È il caso di disamorare gli allievi dallo studio della storia, come se ce ne fosse bisogno?

Tutte le altre tracce sono state svolte, in proporzioni diverse tra le due sezioni. Segno che si potrebbe ricavare un profilo delle classi, a volte, anche dalla scelta della traccia. Certo, c’è un’altra traccia di scarsissimo successo – un solo allievo: il tema generale sulla Costituzione, tipologia D. Sia il tema su Moro che quello sulla Costituzione erano entrate nel solito tototema che tutti gli anni si svolge nei giorni precedenti all’inizio dell’Esame, ma in modo singolare. Qui si tratta di ragionare sull’articolo 3 della Costituzione, riportato per intero, e di argomentare sul principio di uguaglianza formale e sostanziale. Vasto programma, direbbe qualcuno, se è vero, come sostengono alcuni costituzionalisti, che da un lato l’articolo 3 è il “capolavoro” della nostra Costituzione, ma dall’altro è ben lungi dall’essere realizzato. È probabile che i ragazzi di quinta abbiano sentito parlare di Costituzione l’ultima volta nel biennio, nelle scarne ore dedicate all’educazione civica, o parlando delle elezioni del 1946, benché quest’anno in occasione dei 70 anni la Presidenza della Repubblica abbia diffuso il testo della Costituzione nelle scuole. Ma sapranno i nostri eroi distinguere l’uguaglianza «formale» da quella «sostanziale»? I tipi di scuola che hanno diritto come materia sono poche – e certamente non lo scientifico, il classico, l’artistico. È possibile dire qualcosa di fondato senza avere un minimo di nozioni di diritto costituzionale? O, rovesciando i termini: quante sciocchezze e banalità si posso dire ignorando i fondamentali della Costituzione? Se la traccia vuole spronare la scuola a dedicare attenzione alla nostra Carta, ben venga. Ma se la traccia, invece, vuole essere occasione per verificare la maturità di un allievo di quinta, dubito che possa essere svolta in modo adeguato e non arrischiato da più di qualche sparuto allievo qua e là.

La tipologia A: una traccia “contro Salvini”?

E passiamo alla tipologia A. Un quarto dei miei ragazzi dell’Artistico l’ha scelta. Proporzione insolita per me abituato a fare il commissario nello scientifico, dove forse l’approccio al testo resta ancora nutrito di un forte timore reverenziale, al punto che, nonostante tutti gli incoraggiamenti del caso, quasi nessuno si spinge a commentare un testo che non conosce e/o di cui non conosce l’autore. Ma in questo siamo noi insegnanti ad avere la responsabilità principale, quando troppo spesso ci limitiamo a far “ripetere” quel che abbiamo spiegato o quel che c’è scritto sul manuale. Faccio un piccolo giro: avete mai sentito parlare di questo autore? conoscete questo romanzo? avete visto il film? La risposta è irrimediabilmente no. Ma è no probabilmente anche per i ragazzi dello scientifico, come era no l’anno scorso (in proporzioni vicine al 100%) per Caproni. Almeno questo, se non altro, è un libro che entra nei percorsi che si svolgono attorno alla shoa, alla storia dell’ebraismo, e, perché no?, intorno a un viaggio di istruzione a Ferrara. Ma dall’osservazione empirica ancora una volta si può raccogliere una conclusione di ordine generale: che ne è della letteratura del Novecento? Anche di quella relativamente canonica: Bassani è morto allo scadere del secolo, nel 2000, e fa parte del canone dei romanzieri, nonostante (o forse proprio a causa di) l’accusa di essere la Liala dei nostri tempi da parte del Gruppo 63.

L’analisi del testo proposta dalla traccia può essere svolta dopo una lettura attenta del passo. Si possono criticare le richieste finali – come ha fatto Claudio Giunta – per la loro retoricità, ma è inevitabile che nel terzo punto (Interpretazione complessiva e approfondimenti) dall’aspetto formale si passi a quello contenutistico, qui declinato sia in un senso più circoscritto («antisemitismo con riferimenti a opere di altri autori che conosci»: e sono parecchie le scuole in cui si organizza qualche iniziativa per la Giornata della Memoria) sia più ampio («il tema più generale della discriminazione e dell’emarginazione … con riferimenti a opere letterarie che conosci»). Mi viene spontaneo, dato l’ambiente in cui mi trovo,  chiedermi se abbia ancora senso limitarsi a pensare le «opere» esclusivamente come opere letterarie. Anche se, allargando i vincoli, il rischio opposto è di passare dalla letteratura al chiacchiericcio mediatico, anche dei social, che sono poi la principale e talora unica fonte di informazione (e formazione) dei ragazzi.

Leggo (i documenti), quindi so

Ho lasciato per ultima la traccia che in realtà raccoglie più consenso e su cui nel tempo si sono accumulate anche molte critiche: la tipologia B, cioè il saggio breve o articolo di giornale (ma pochi allievi scelgono di svolgere la traccia secondo quest’ultima modalità). Negli anni abbiamo assistito sul campo a un “raddrizzamento” della formulazione. Mai, che io sappia, c’è stato da parte del Ministero una chiarificazione al di là di ogni ragionevole dubbio su che cosa si debba intendere per «saggio breve», entità che di fatto esiste soltanto nella pratica scolastica, e in alcune raccolte di saggi, appunto, dove «breve» però sta a indicare un aspetto quantitativo non qualitativo, come invece pare da intendere in questo caso. Esempi e modelli di saggi brevi in ogni caso non fanno parte della letture dei ragazzi di oggi (né di ieri), e direi neanche dei loro insegnanti (quanti sono abbonati a «Limes»? o «Micromega»? qualcuno a «Internazionale»… quanti leggono i saggi… per es. di questo blog?). Si è dunque sostituita a una finzione (il vecchio tema tradizionale contestato, a mio parere giustamente, da una critica pluridecennale) un’altra finzione: quella di scrivere un saggio breve o un articolo a partire da un dossier. Peraltro la forma dell’“articolo di giornale”, secondo me e molti colleghi, presuppone l’invenzione di una notizia fittizia a giustificazione dell’articolo stesso, stante il fatto che nessun giornale di nessuna periodicità pubblicherebbe mai un pezzo, per es. sulla solitudine, se non a commento di un evento di natura cronachistica, editoriale, artistica ecc..

Negli anni il numero dei documenti è stato progressivamente ridotto: di solito attorno a 4/5, ma la traccia letteraria ne conta quest’anno 8, sia pur brevi, e quella storico-politica 2. Da un paio di anni poi anche la traccia storica, la tipologia C, contiene almeno un documento. La traccia 1, artistico-letteraria, contiene sempre anche documenti pittorici: ma in questo caso mi pare indispensabile che i quadri vengano riprodotti a colori in almeno una copia a disposizione della classe. E non lo dico perché sono all’Artistico (e due quadri su tre sono stati analizzati a lezione), ma perché penso che il colore (e in generale una buona qualità della riproduzione) siano fondamentali per poter analizzare l’arte figurativa.

In generale la finzione più grande consiste, a dire di molti, e in parte condivido, nel fatto che se i documenti portano informazioni e argomenti sull’argomento proposto, che cosa deve fare l’allievo che voglia fare un buon lavoro? Non è un caso che la classica domanda al commissario esterno sia: quanti documenti dobbiamo citare (e la successiva: come vuole che li citiamo?). Ma vale anche l’inverso: c’è il rischio, oggi assai spesso sfiorato, che un ragazzo si improvvisi esperto di un argomento perché ha letto quattro brevi estratti che ne parlano! Che spazio resta al ragazzo, se attraverso i documenti il ministero orienta di fatto lo svolgimento?

Prendiamo il caso della traccia 4 della tipologia B, che richiede di ragionare sul «dibattito bioetico sulla clonazione». Girando tra i banchi ho chiesto se in classe avessero parlato di bioetica: si può ragionevolmente pensare di svolgere un tema così difficile e impegnativo senza aver mai letto un articolo, fatta una discussione in classe, sentito una conferenza, o seguito un dibattito in tv? E il ministero fornisce tra i documenti la definizione di bioetica tratta dalla «Treccani», poi 5 righe di cronaca e un breve commento di 10 righe sulla clonazione e infine la citazione di un articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea relativo al Diritto all’integrità della persona. Sufficienti per farsi un’idea e/o per evitare che i ragazzi scrivano cose deliranti o banali?

Saper dare parola alla propria esperienza

La traccia 2 della tipologia B sulla creatività sembra un invito a nozze per la scuola in cui mi trovo, anche se non deve essere facile per i ragazzi dell’Artistico capire che cosa è il tedium vitae o il senecano secum morari, ma neanche l’opposizione etimologica tra es-odo e met-odo proposta da Michel Serres, o la serendipità citati nella traccia. Non c’è ragazzo, anche al di fuori dell’indirizzo in cui mi trovo, che non possa cimentarsi su questo tema. Ma quando entri all’Artistico ti rendi subito conto di dove ti trovi. Durante la seduta preliminare mi accorgo che l’aula in cui ci troviamo ha un coloratissimo murales alle pareti, e lo fotografo. E ancora prima, entrando vedo sulla facciata della scuola grandi medaglioni con le facce di alcuni personaggi famosi del nostro mondo che ci guardano – immagino siano opera dei ragazzi. In questa traccia ciascuno di loro avrà certamente potuto dire qualcosa di personale, pur facendo anche riferimento ai documenti, dato che il tema non è eludibile per chi fa della creatività il suo costante e quotidiano impegno. Eppure questa traccia non è stata svolta da molti. Forse i ragazzi, non solo questi, a loro agio con il linguaggio delle immagini, faticano invece a dare parola alla loro esperienza.

Il nemico, nel passato e nel presente

«La figura del nemico ha sempre rappresentato un elemento indispensabile per il buon funzionamento dei sistemi di propaganda. Insomma, si tratta di un protagonista assoluto − se non unico − dell’argomentazione di tipo propagandistico: una figura dalla rilevanza tale da costringere l’intero spazio della politica a organizzarsi in sua funzione». Siamo sicuri che non sia questo il documento che parla di Salvini, non quindi l’analisi del testo di Bassani? La traccia 3 della tipologia B, che ha come argomento «Masse e propaganda». L’argomento permette agli allievi che abbiano assimilato la lezione della storia anzitutto di parlare dei tre totalitarismi, e poi – a loro rischio e pericolo – di avventurarsi nell’attualità. Ma qui si annida il pericolo. Un ragazzo è esplicito nel farmi la domanda: io vorrei fare una conclusione personale, ma in questa traccia non si deve evitare di essere troppo personali? E se poi dico qualcosa che a lei non piace, non è che vengo penalizzato? Non so se si sia informato sulle mie idee politiche. Ma è possibile, basta sfogliare il profilo Facebook per rendersi conto dell’orientamento politico di una persona. Cerco di spiegargli che fa bene a evitare la prima persona nel saggio breve, ma io non devo valutare le sue idee politiche, ma come scrive: se è corretto, anzitutto, dal punto di vista formale, se è argomentato, se è pertinente ecc. Mi sembrava dubbioso. Non so se l’ho convinto.

Una formula conclusiva

Alla fine della mattinata di prima prova torno a sedere alla cattedra e provo a tirare le somme. E penso, in una formula: complessivamente le tracce 2018 danno la possibilità di scrivere su un argomento che può rientrare nell’orizzonte di studi e di interessi di un ragazzo di 18 anni, ma non sempre sono corredate da documenti funzionali e facilmente usufruibili dagli allievi. La traccia storica è da ripensare.

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