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diretto da Romano Luperini

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L’officina di lettura, il reading workshop e un taccuino blu

 Premessa: metodi, modelli e strumenti, una falsa questione

Competenze vs conoscenze, lezione frontale vs flipped class, learning by doing vs didattica tradizionale: e se la smettessimo una volta per tutte di fare i guelfi e ghibellini? Di inneggiare alle tecniche e agli strumenti o di demonizzarli tout court? Continuo a pensare che ciascuna lezione sia una relazione con gli studenti, una traduzione del sapere in sapere da conoscere, e quindi essa non possa dipendere solo dagli strumenti o da categorie pedagogiche. Dobbiamo riappropriarci del contesto e degli obiettivi concreti legati al nostro mandato istituzionale: non esiste un metodo efficace o non efficace a prescindere, ma contesti diversi, strumenti diversi e obiettivi diversi, con buona pace di certi facili dibattiti tra innovatori e tradizionalisti. Come sempre due sono le caratteristiche che salvano noi docenti: l’empatia, per capire ragazzi e leggere la realtà, e lo studio costante, per trovare la via più adatta a trasmettere il sapere.

Proverò a dimostrarlo con un esempio concreto, con la mia sperimentazione di quest’anno alla scuola secondaria di primo grado, partendo da lontano. Da un taccuino blu.

Un taccuino blu

Insegno lettere alla scuola secondaria di primo grado e, in linea con le indicazioni nazionali, cerco di sviluppare da sempre nei miei studenti una sicura competenza di lettura. Questo è il mio mandato istituzionale; il mio contesto è quello di ragazzi che non leggono o faticano a farlo, che hanno scarsa familiarità coi libri e una estrema difficoltà di comprensione. Non leggono e non solo per colpa loro. Per consentire loro l’incontro con i libri, io, per prima, devo conoscere la letteratura, conoscere i libri per ragazzi, conoscere gli adolescenti come lettori e conoscere proprio adolescenti che ho davanti: osservare e studiare, insomma. Ma andiamo con ordine.

Ho sempre pensato che nulla avvenga per caso, ma che nella vita ci siano certi fili che, se riesci ad afferrare, ti catapultano in labirinti nuovi in cui non ci sono mostri ad attenderti ma tante porte che sia aprono. Un anno fa al liceo artistico Colao di Vibo Valenza, dopo un intervento sul perché insegnare letteratura oggi, i ragazzi mi regalarono un taccuino fatto da loro: copertina blu di velluto, le mie iniziali d’oro e tanti fogli a righe. Lo presi e misi in borsa, sorridendo di un dono così prezioso e antico. Sull’aereo mi venne in mente un’idea e il taccuino stava lì: ci scrissi sopra un articolo che uscì su LN tempo dopo (link). Agnese lesse l’articolo e mi invitò ad entrare nel gruppo facebook Italian writing teacher: anche lì si parlava di taccuino, o meglio il taccuino era uno strumento di scrittura e lettura per i ragazzi.

Non poteva trattarsi di un caso.

Intervengo e partecipo nel gruppo, che sviluppa il metodo del reading and writing workshop: ci trovo strumenti, frame work pedagogico, legame stretto con gli obiettivi delle nuove indicazioni ministeriali, concrete indicazioni per insegnare a leggere e scrivere. Ma soprattutto trovo docenti che condividono con me l’insoddisfazione per il poco spazio assegnato alla scrittura e la lettura a scuola: si apre uno scambio costante di stimoli, consigli e discussioni intense. Senza questa formazione permanente e questa comunità di pratica mi sarei fermata molto prima: intorno a Jenny Poletti Riz, che ha il merito di aver sperimentato per prima il metodo in Italia, c’è un gruppo di agguerriti docenti sparsi su e giù per lo stivale che studia, si confronta e condivide materiale. Una comunità di social learning. Compro il libro fondamentale In the Middle della Atwell: 600 pagine tutte in inglese, lo studio è doppio; a quel libro seguiranno i libri Read Write Teach: Choice and Challenge in the Reading-Writing Workshop di Linda Reef e poi Around the Reading Workshop in 180 Days: A Month-by-Month Guide to Effective Instruction, di Frank Serafini, poi ho pronta una lista di bibliografia, ma mi ci vorrà tempo. Li sto ancora leggendo e devo studiare ancora tanto, ma un primo sasso è gettato: la prospettiva è nuova e straordinaria, molte delle attività che leggerete dipendono da queste letture. Mi stupisce che questi testi siano sconosciuti in Italia, persino in ambito accademico, mentre in America si discute di reading and writing workshop dagli anni Settanta. Ma forse il pregiudizio verso ciò che è anglosassone è duro a morire: lo avevo anche io.

Ma sulla strada avevo trovato un taccuino blu.

L’officina del lettore: il mio reading workshop

Settembre 2016, inizia l’anno scolastico: classe nuova, un nuovo inizio, tre anni per progettare e sperimentare. Sono convinta che questo metodo sia una risposta a ciò che ritengo da sempre un mio obiettivo: appassionare alla lettura, rendere i ragazzi lettori consapevoli. Così mi butto: inizio dal taccuino e dalla biblioteca di classe. Quest’anno sarà una sperimentazione work in progress, passetto per passetto, e pazienza se brancolerò un po’ nel buio. Studio ed empatia, continuo a ripetermi, empatia e studio. I ragazzi per diventare lettori e scrivere correttamente hanno bisogno di leggere e scrivere: il nostro spazio si chiama officina del lettore e dello scrittore, non è un laboratorio, è quotidianità didattica.

L’armadio che sta in fondo alle classi è di solito mezzo scassato e pieno di vecchi libri lasciati dalle case editrici, vecchi quaderni dimenticati dai ragazzi passati, vecchie tavole e disegni di cui non si distingue più il proprietario. L’abbiamo svuotato, spostato di fianco alla cattedra e riempito di libri: libri per giovani adulti, illustrati e graphic novel. Miei libri che abbiamo contraddistinto con l’ex libris “Prof. Cava” e classificati per generi: c’è una rubrica verde in cui segnano il prestito, Margherita controlla che tutto funzioni, ma sono loro i responsabili di tutto, anche di trattare bene i libri. Cerco di aggiornare i libri il più possibile e anche i ragazzi hanno messo a disposizione loro volumi. Io, che ho sempre macinato letteratura italiana e saggi, ho iniziato a leggere molti libri per ragazzi e molti illustrati: ci ho scoperto un mondo variegato e ricco, pieno di autori e illustratori interessanti. Un esempio su tutti: ho parlato in classe del 25 aprile guardando insieme a loro lo straordinario illustrato ’45 di Maurizio A.C. Querello, ne è uscita una lezione a più voci. La mia che ricostruiva la grande storia e la loro che decodificava le immagini della storia personale illustrata sulla pagina.

Non avevo mai pensato a quanto fosse importante avere una biblioteca in classe prima di leggere in the Middle della Atwell e di constatarlo con mano: i ragazzi hanno bisogno di avere i libri vicino a loro, di avere la possibilità di poterli scegliere senza fatica e di interromperli se credono. Siamo andati anche in gita in biblioteca, che sta nel paese affianco: un pomeriggio al di fuori dell’orario scolastico, un pomeriggio bello a cercare il libro che potesse piacere loro e ispirarli.  Io do sempre qualche consiglio, parlo e racconto di libri, ma la scelta è loro e autonoma: leggono e segnano liberamente sul loro taccuino le parti che li colpiscono, i personaggi con cui si identificano, il numero di pagine lette, i motivi che li hanno spinti a smettere di leggere e i libri che hanno intenzione di leggere. Il taccuino è stata davvero una rivoluzione: è uno strumento loro che spero di affinare col tempo. I ragazzi ci scrivono bozze di testi narrativi, poesie, attività di scrittura e lettura, ma anche semplici annotazioni.

Sono partita dal dedicare un’ora alla lettura in classe dei libri che avevo scelto io, ma non mi è più bastato: ne ho aggiunta un’altra per il libro che hanno scelto autonomamente e che devono leggere a casa almeno mezz’ora a settimana. Durante le letture in classe giro tra i banchi e mi fermo a chiacchierare con due-tre studenti ogni ora: chiedo loro come trovano il libro, se piace, perché, come trovano la scrittura e i personaggi.

Se è vero che si impara a leggere solo leggendo, dobbiamo mettere i ragazzi in condizione di leggere facilmente: cercare bei libri, storie che li appassionino, dar loro tempo in classe per leggere e creare belle e intriganti attività per parlare di libri.

La lettura è esperienza individuale e sociale: leggo per me e per raccontare quello che leggo. In Farenheit 451 mi ha sempre colpito che i ribelli mandino a memoria i libri, li ripetano fra loro e che la speranza del futuro, in un mondo che esplode, siano loro che se ne vanno a fondarne uno nuovo parlando di libri. Un momento fondamentale del metodo reading workshop è e resta la discussione sui libri fatta con tecniche diverse.

Parlare di libri: il book talk

La mia esperienza di studente che parla di libri è sempre stata piuttosto deludente: si trattava al più di stendere schede libro e ripetere quanto detto a lezione dal professore, molto raramente mi è stato chiesto cosa ne pensassi di quel libro e perché. Io voglio che i ragazzi imparino a chiacchierare di libri, anche perché è bello di infervorarsi con un amico su Anna Karenina, Enea e Achille o altri.

Ho pensato che sarebbe stato bello per i ragazzi ascoltare i grandi parlare di libri in modo informale, non come se ripetessero una lezione di letteratura, ma come se chiacchierassero tra amici. Ho iniziato io a consigliare loro libri che avevo letto raccontando la trama e dicendo semplicemente:

“Questo libro mi ha stupito e appassionato, la trama è appassionante e c’è un personaggio, Tod, che resta nel cuore” (parlavo di “Il mistero di London Eye” di Siobhan Dowd). Dopo i miei book talk capita che più di una mano si alzi per chiedere in prestito il libro e mi tocchi sorteggiare col tombolino il nuovo fortunato lettore.

Poi è stata la volta di genitori, fratelli e amici che sono venuti in classe a presentare il loro libro del cuore, quello che più li ha appassionati quando facevano le medie: devo ammettere che in quella situazione i più emozionati sono stati proprio gli adulti.

E i ragazzi? Non sono mancate anche per loro le occasioni per raccontare dei libri a partire da una bacheca che sta a destra della porta “AAA lettori cercansi”: avete presente le bacheche per gli affitti, lo scambio oggetti e le offerte di lavoro? La stessa cosa, solo che i nostri messaggi riguardano libri: dopo averli letti ciascuno scrive un annuncio per spingere i compagni a prenderlo in prestito e  leggerlo.

Ad esempio, così scrive Francesca:

A noi due prof di Bianca Chiabrabdo

Leggete questo libro! Non ve ne pentirete! E’ molto divertente e appassionante. Io mi identifico col personaggio di Olivia perché ne combina di tutti i colori, come me. I momenti del libro che mi sono piaciuti di più sono le lezioni del professor pattume, quello a cui Olivia fa la guerra.

Dopo le vacanze di Natale invece, ognuno ha letto un libro e ha scelto di presentarlo con la tecnica del lapbook o ricreando una scena del libro in una scatola di scarpe: davanti alla classe hanno parlato con passione e proprietà di linguaggio di come era scritto il libro, dei personaggi, del perché consigliarlo o meno.

Dopo un anno di “presentazioni di libri” abbiamo sperimentato a fine aprile il book speed dating. Ognuno ha letto un libro classico per ragazzi, io ho scelto che non lo presentassero davanti alla classe, ma in una dimensione più intima: faccia a faccia, come negli incontri di speed dating. Immaginate due file di sedie poste una di fronte all’altra: ciascuno per sette minuti racconterà il suo libro per poi invertire le parti per altri sette minuti, al suono della campanella la fila frontale si alzerà spostandosi a sinistra e cambiando dunque le coppie. Alla fine dell’attività i ragazzi hanno scritto il proprio feedback sul taccuino, così commenta Clara:

“raccontare di libri è fantastico. Ho scoperto libri nuovi, che mi incuriosiscono e mi ispirano. Ho scoperto anche che le persone non illustrano e presentano il loro libro allo stesso modo degli altri.”

In questo primo anno di sperimentazione i ragazzi hanno letto molto, dai quattro libri di Simone ai 25 di Azzurra, ma hanno anche imparato a riconoscere i buoni libri: Alessandro, ad esempio, che aveva divorato tutta la serie di “Scuola media” di Petterson mi ha detto che il libro da cui ha imparato di più è stato Il libro della jungla di Kipling, perché «va in profondità». Ma, soprattutto, di libro in libro hanno imparato a ragionare e dialogare, diventando lettori consapevoli. Perché non si nasce lettori, lo si può diventare.

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