Insegnare a leggere, insegnare a scrivere
Gli studenti italiani non leggono e non sanno scrivere
Il problema dei troppi ragazzi che scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente1 esiste e non lo scopriamo certo ora. La responsabilità non è solo della scuola ma, al solito, è la scuola la principale imputata e nel merito la scuola di base, come se insegnare a leggere e a scrivere fosse affare solo di quegli ordini di scuola. Complice la facilità dello scambio comunicativo, oggi si scrive troppo, si scrive male, non si legge più: si guarda e (più raramente) si ascolta.
Lavoro con i ragazzi della secondaria di primo grado, credo molto in loro e nelle loro risorse e ho imparato che qualsiasi analisi e intervento deve partire dalla realtà, da ciò che c’è, non da ciò che manca e pensiamo dovrebbe esserci. E la realtà è questa. Ieri Simone (studente bravo e diligente) mi ha scritto in piattaforma: “Prof Lo perso, non è che per caso ce la lei?”. Gli ho risposto: “Messaggio incomprensibile: riscrivi e riformula”, al secondo tentativo abbiamo raggiunto il risultato. Per la cronaca Simone nella verifica sull’ortografia aveva preso 10, 8 nel test sul modello invalsi. Ciò che mi ha colpito non sono solo i due errori ortografici, ma la sua richiesta senza oggetto: per i ragazzi è testo tutto ciò che è scritto, con buona pace di correttezza, coesione e coerenza.
Dobbiamo correre ai ripari, ma la strada non è quella dell’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano2, se non si cambia cosa si insegna e come lo si insegna, non serve a nulla calcare la mano su bocciature, voti etc. Abbiamo bisogno di un nuovo rigore formale e sostanziale, da pretendere anzitutto da noi stessi e poi dai ragazzi: dobbiamo pensare programmi e progetti che partano da loro e dal bisogno, che è sociale, di appassionare alla scrittura e alla lettura e il percorso che illustrerò a breve va proprio in questa direzione. E a chi poi fosse roso dal dubbio: “sì ma i verbi li studiate? E l’ortografia?” Rispondo: provate voi a scrivere o leggere un testo con i verbi sbagliati e pieno di errori ortografici! Anche prassi tradizionali come il dettato, l’analisi grammaticale, le liste di verbi irregolari, le poesie a memoria fanno parte del rigore cui accennavo prima, necessario per imparare a scrivere e a leggere, rigore che è solo un altro mezzo con cui prendersi cura dei ragazzi.
L’officina del lettore e dello scrittore
Lunedì mattina, quinta ora: ora di lettura, o meglio ora di scrittura e lettura, o meglio ora di euristica, o meglio la nostra officina. In questi mesi stiamo leggendo insieme il bambino di vetro di Fabrizio Silei3: è un libro per ragazzi, scritto straordinariamente bene che usa un italiano gonfio di “parole belle” e sintassi ricercata. Uno stile diverso dall’americano e fortunato Wonder su cui abbiamo lavorato all’inizio dell’anno. I ragazzi se ne sono accorti subito, Andrea un giorno mi ha detto: “Prof. , quando leggevo questo libro da solo non mi piaceva, poi da quando lei lo spiega a scuola ho capito che tutte quelle parole servono. Sì proprio tutte. Anche se non le capisco.”
Stamattina devono leggere due capitoli poi a coppie analizzare brani su cui io ho posto domande stimolo secondo il principio del:
SALTA DENTRO: mettiti nei panni del personaggio: perché si comporta così? Cosa avresti fatto al suo posto? Cosa pensi che potrebbe succedere ora? Cosa vuole ottenere facendo così? Quale soluzione avresti scelto tu?
SALTA FUORI: ora mettiti nei panni dello scrittore: perché usa queste parole? Racconta i fatti come si sono svolti o nasconde o anticipa qualcosa? Come ci fa vedere questa scena? Con quali termini sostituiresti questa frase?
Ne discutono a coppie, poi a gruppetti di quattro e poi tutti insieme: ci permettiamo il lusso della riflessione, di prenderci il tempo di discutere di libri, di narrativa. L’ora vola. Io a volte osservo, a volte ricordo loro le regole di “discussione cortese”: si rispetta il turno, si usano parole condivisibili, si alza la mano, si ride con e non si ride di.
Venerdì, officina di scrittura: comincio la lezione leggendo sempre una poesia, questa volta Ode alla felicità di Neruda. I ragazzi ascoltano e segnano sul taccuino i versi che li colpiscono, ne discutiamo e capita che Matteo se ne esca con “A me questa poesia non piace proprio, dice sempre le stesse cose” così ci mettiamo a discutere sul senso della ripetizione in un testo poetico. Poi entriamo nel vivo della lezione. Si parla di emozioni: ciascuno, dopo aver estratto a sorte un’emozione, deve descrivere sul taccuino le sensazioni fisiche, le similitudini e i cambiamenti nel corpo che questa gli suscita. Il lavoro è difficile, le parole mancano, allora si sforzano di trovarle tra dizionario, internet, compagni e la prof. Una volta finito si confrontano e costruiscono “l’emozionario4”: per ogni emozione un’immagine accompagnata dalle parole, dalle sensazioni e dalle azioni.
E a questo punto leggo:
Allor l’Atride eroe
il re supremo Agamennón levossi
corruccioso. Offuscavagli la grande
ira il cor gonfio, e come bragia rossi
fiammeggiavano gli occhi. E tale ei prima
squadrò torvo Calcante
(Iliade I, 135-140, traduzione di Vincenzo Monti)
“Vedete ragazzi? Omero non ci dice che Agamennone è arrabbiato, ce lo mostra. Questo fa uno scrittore, prende il suo lettore e lo catapulta nella storia, facendogli vedere e provare ciò che provano i personaggi. E’ per questo che a noi si fissano in mente quel cuore gonfio, quello sguardo corrucciato e quegli occhi rossi che sembra lancino fiamme. Perciò, come ha fatto Omero, prendete la vostra emozione, scegliete un personaggio e scrivete ciò che prova, poi leggeremo in classe e vedremo se ci sarete riusciti.
Così mi scrive Daniele:
“Simone si sentiva come quelle palline che rimbalzano ovunque, il suo cuore sembrava esplodere in petto: una forza nuova era dentro di lui. Come se potesse fare tutto. I suoi occhi brillavano e ogni cosa diventava bellissima, non aveva nemmeno bisogno di pensare.”
Non c’è voluto molto a capire che si trattasse di felicità.
La lezione termina con la lettura di un testo horror dall’antologia: assegno i ruoli, decidiamo come si debba leggere il testo. E ce lo godiamo in silenzio.
Sabato: tutti in cerchio, arrivano gli adulti che hanno risposto all’invito AAA lettori cercasi. Una mamma e una sorella ci raccontano il loro libro degli undici anni, il loro classico: partiamo con Cuori d’Inchiostro e Anna di Green Gable (Anna dai capelli rossi!). Ragazzi attenti e domande pronte: toccherà poi a loro scegliere un classico per ragazzi da leggere e raccontare. Altri adulti arriveranno nei prossimi giorni, si son già prenotati (nonni, fratelli, mamme, papà, amici, zii): perché la lettura è contagiosa e i ragazzi non leggeranno mai solo perché noi diciamo loro di leggere (con un bel voto in premio), leggeranno se ci vedranno felici di farlo.
Sono solo alcuni esempi, potrei farne molti altri: le storie inventate partendo da un oggetto e un animale, sperimentando tecniche per antropomorfizzare; i capitoli dei libri sceneggiati e messi in scena; il dettato settimanale con la correzione collaborativa; i minestroni di verbi e parole, le gare di verbi irregolari e di analisi grammaticale; le poesie a memoria declamate sullo “scranno del poeta”; il tg Olimpo o quella mattina del 9 gennaio in cui, per la prima volta in 15 anni di lavoro, tutti hanno portato il compito delle vacanze e cioè la recensione creativa di un libro letto (sì valevano anche i fumetti).
Un po’ di riflessioni: sulla scuola, sui preadolescenti, sull’insegnamento alla scuola secondaria di primo grado.
A questo metodo di lavoro non sono arrivata per caso, si è costruito nel tempo grazie a letture, intuizioni, incontri, relazioni e facebook.
Andiamo con ordine, perché un metodo ha senso solo se si inserisce in una cornice di pensiero e funziona solo se prima si è analizzato dove, con chi lo si vuole usare e, soprattutto, perché.
La scuola
L’insegnante è un mestiere (e non una missione) fondato sullo studio e sulla relazione. In cosa consista il suo lavoro è presto detto: tradurre il sapere in modo che sia compreso e poi posseduto da coloro ai quali insegna. Come qualsiasi traduttore che voglia farsi comprendere deve studiare e conoscere le caratteristiche sia della cultura da cui traduce, sia di quella in cui traduce, consapevole che qualcosa ovviamente si perderà per strada e che il suo sarà solo uno dei possibili tentativi, così il docente deve studiare la sua disciplina, conoscere le caratteristiche psicologiche, pedagogiche e sociali dei ragazzi cui si rivolge e possedere le tecnologie dell’educazione.
Troppo spesso oggi l’insegnante si aggira come un fantasma spaesato: non sa più cosa insegnare, a chi, come. La scuola è in crisi, perché in crisi è la società, così in classe è spesso una lotta: comportamenti discutibili, noia, mancanza di studio e applicazione, assenza di collaborazione con le famiglie che assume le sembianze di una guerra di logoramento. La classe è solo uno dei luoghi in cui si apprende, eppure non ha perso il suo mandato di luogo in cui si impara a collaborare e a discutere, a comprendere se stessi e gli altri; è un ambiente educativo prima che formativo. Ma perché ciò avvenga è necessario il docente: un computer può istruire e informare, solo un uomo può educare.
I preadolescenti
Insegno ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado: mi arrivano bambini e se ne vanno adolescenti pieni. Vivono tutto in modo emotivo, enfatico eccessivo, vogliono narrazione e azione, ma poi non sanno decidersi, non sanno scegliere, consumano, bruciano non usano, non selezionano; il loro tempo è il presente, il qui ed ora. Non sono solo adolescenti, sono adolescenti del 2017 che vivono una realtà diventata somma di reale e virtuale e che è caratterizzata dalla crisi: hanno a che fare da subito con l’incertezza. Per affrontarla e far sì che essa generi il dubbio metodico, fondamentale per apprendere, dobbiamo aiutare i ragazzi a riappropriarsi della riflessione, insegnar loro a dubitare, staccarsi dal problema, oggettivarlo e proporre soluzioni.
I ragazzi sono immersi nel linguaggio iconico e in comunicazioni frammentarie, prive di contesto, non pianificate, in cui dominano concetti quali velocità ed efficacia: se non viene insegnato loro la scrittura come pianificazione del testo, razionalizzazione del pensiero e rispetto di ortografia e sintassi non la usano, perché non la conoscono e perché non è quella con cui hanno familiarità.
Insegnare a leggere e scrivere è, oggi, un’operazione trasgressiva e a suo modo rivoluzionaria di cui dobbiamo riappropriarci senza darla per scontata: entrambe pretendono tempi lunghi, i tempi della riflessione, della pianificazione. Leggere oggi è un’attività comune quanto fare kendo, scrivere in modo corretto non è più avvertito come un valore (tutti scrivono in rete, senza correttezza, senza filtri): se alla scuola spetta il compito di salvaguardare il canone, coltivare la lettura e la scrittura deve essere il punto di partenza e una pratica costante . Sarà banale ma si impara a scrivere solo scrivendo e a leggere solo leggendo.
La scuola secondaria di primo grado
E veniamo all’ordine di scuola in cui insegno, la scuola media: quello che vedo sono ragazzi poco motivati, che hanno difficoltà a pianificare frasi e a scriverle in modo corretto, a fronte di libri in cui compaiono una mole di argomenti e testi eccessivi, analisi del testo che occupa un posto spropositato rispetto alla produzione del testo, pratica della scrittura ridotta al minimo (una volta al mese, ad andar bene, due ore “tema in classe”), meta cognizione assente assieme alla possibilità, per i ragazzi, di scegliere ciò che vogliono leggere.
Eppure i traguardi per lo sviluppo delle competenze delle indicazioni nazionali parlano chiaro e prevedrebbero una programmazione del tutto diversa, grazie alla quale alla fine del triennio l’alunno:
-
interagisce in modo efficace in diverse situazioni comunicative, attraverso modalità dialogiche sempre rispettose delle idee degli altri;
-
Legge testi letterari di vario tipo (narrativi, poetici, teatrali) e comincia a costruirne un’interpretazione collaborando con compagni e insegnanti
-
Scrive correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, regolativo, argomentativo) adeguati a situazione, argomento, scopo, destinatario.
-
Comprende e usa in modo appropriato le parole del vocabolario di base
-
Padroneggia e applica in situazioni diverse le conoscenze fondamentali relative al lessico, alla morfologia, all’organizzazione logico-sintattica della frase semplice e complessa, ai connettivi testuali; utilizza le conoscenze metalinguistiche per comprendere appieno i significati dei testi e per correggere i propri scritti.5
Queste le considerazioni da cui sono partita, come renderle concrete?
Come trasformare queste potenziale “lotta di classe” in collaborazione in classe? Quali strumenti e metodi sono più efficaci per realizzare i traguardi alla fine della scuola di primo grado?
Face book e i gruppi di docenti: comunità di ricerca azione
A questo punto arriva face book. Qui ho scoperto il gruppo di insegnanti chiamato italian writing teacher: una palestra di scambio e formazione continua, una comunità di ricerca-azione, che ruota intorno a “insegnare a leggere e insegnare a scrivere” , il reading and writing workshop, praticato in molti paesi a partire dai lavori di Nancie Atwell6. Una sorta di bottega del Rinascimento, le officine guidate dal magistrum in cui ciascuno collaborava per la creazione di un’opera: c’è Jenny la pioniera e fondatrice, Silvia che propone una tale quantità di strumenti da strabuzzare gli occhi, Romina che suggerisce sempre libri nuovi e video da usare in classe, Agnese che mi spiega come usare sparkadobe, Loretta che scrive mentre disegna e tanti altri ancora con cui condividere dubbi, speranze, conquiste e la consapevolezza che abbassare il livello delle richieste a scuola, non pretendere il rigore e la correttezza sia un modo per sottrarci al nostro dovere di educatori e fare il male di tutti gli studenti (e soprattutto di quelli più fragili e con meno possibilità economiche).
Lo studio di questo metodo mi è servito per sistematizzare e dare un nome attività che facevo già e per farne di nuove: nel gruppo si discute, si scambiano idee, esperienze, materiali, si personalizza e si integra con le proprie conoscenze. Ho riscoperto il piacere di “prendermi il tempo con i ragazzi” e di sviluppare le loro reali competenze. In classe, per scrivere ci mettiamo ore, ma vengono fuori davvero i testi migliori che in quel momento ciascuno può fare: poi li leggiamo, revisioniamo e commentiamo. Siamo una vera officina di scrittura personale e collettiva. Di solito scompongo il percorso in una mini lezione introduttiva ed esercizi di scrittura esemplificate su un testo d’autore di riferimento, correggo le bozze che scrivono sul loro taccuino e quando sono pronte le cuciamo, ecco che nasce il textus. Ciascun testo è riscritto più volte, riflettere sugli errori e correggersi è parte importantissima del percorso: l’errore non è una mancanza, ma un fatto, uno strumento di lavoro. Insomma tutta l’attenzione è sul percorso e sulla fatica da cui scaturisce un prodotto linguistico. Non si tratta di insegnare solo a leggere e scrivere, di recuperare pratiche perdute. C’è in ballo molto di più, riformare la scuola partendo da saperi che non sono solo di base, sono fondamenta; si tratta di educare la persona e costruire la democrazia perché, come diceva De Mauro, “è solo la lingua che ci fa eguali.”
1 Dalla lettera aperta di 600 docenti universitari al presidente del Consiglio, alla ministra dell’Istruzione e al Parlamento italiano, promossa dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità.
2ibidem
3Fabrizio Silei Il bambino di vetro,Einaudi ragazzi 2015
4L’emozionario ora è lì nella nostra biblioteca di classe, insieme ai libri che ciascuno, me compresa, ha messo in comune: Margherita si occupa di gestire i prestiti.
5Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, 2012
6Nancie Atwell è la vincitrice del global teacher prize, autrice di un manuale di riferimento che si chiama In the Middle a lifetime of learning about writing, reading and adolescents. Altri libri che mi sono utile fucina di idee sono Ricettario di scrittura creativa di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, Imparare a scrivere coi grandi di Guido Conti
Fotografia: Palermo 2015, spermerc
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Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Meraviglioso
Complimenti, Linda.
Leggendo questo articolo viene voglia di fare l’insegnante!
Io sono solo un padre, ma spero tanto che mia figlia abbia l’opportunità di incontrare, nel suo percorso formativo, persone come te.
Grazie.
grazie
Li troverà, Alessandro, li troverà. Io continuo a credere che la scuola possa essere un luogo meraviglioso.
La lettura e la scrittura sono mezzo, non facciamone abilità imprescindibili
Un titolo lungo, ma per questo più esplicativo: è ormai risaputo che la lettura e la scrittura sono attività che non tutti possono esplicare nel modo più consono. Penso che compito della Scuola sia ricercare e applicare le strategie adeguate al fine di non permettere che l’alunno si allontanò dal sapere umanistico e scientifico. Dunque condivido e cerco di contribuire alla realizzazione di una scuola inclusiva, che forte dei suoi principi didattici, sia promotrice di sapere e creatività.