Dal Signore degli anelli a Omero: un percorso introduttivo all’epica classica per una classe di prima superiore
Tolkien è uno scrittore di epica
Tolkien è considerato il fondatore del genere fantasy, e certamente il giudizio è giusto. Ma lo scrittore definiva il suo Signore degli anelli «romanzo eroico». Ancor più radicalmente, Elemire Zolla, nella prefazione all’edizione italiana, polemizzava con quanti disdegnavano Tolkien in quanto “brutta copia” dell’epica antica («preferiamo leggere l’originale»), sostenendo che quella di Tolkien è, né più né meno, epica.
Ovviamente questo genere antico, come sappiamo da Lukács, non è più possibile oggi, e solo un ultraconservatore polemico con la modernità come Zolla o un cattolico chiuso dentro il giardino ameno di Oxford come Tolkien, possono trovare non incongruente il richiamo a un genere storicamente morto.
Ma a scuola possiamo fermarci molto prima di Lukács e constatare come Il Signore degli anelli sia in effetti, considerato solo in sé, del tutto plausibile come epica: funziona proprio come i poemi omerici e la chanson de geste.
Tolkien era professore di letteratura inglese medievale e affermava che il suo scrittore preferito era Omero. Egli non si è limitato a scrivere delle storie fantastiche, ma ha messo mano a un’intera cosmogonia, con ere, cronologie mitiche e poi storiche, genealogie di eroi; inoltre, a differenza di molti altri scrittori di fantasy, non si è limitato a ipotizzare che un elfo parli elfico, un orchetto la lingua oscura di Mordor, un nano il nanesco, o a mimarne qualche tratto, ma, forte della sua esperienza di glottologo, ha dato a ciascuna di queste lingue una grammatica e l’ha descritta minuziosamente.
Tolkien ha affermato: «Credo che parte dell’attrattiva del Signore degli anelli sia dovuta agli scorci di un’ampia storia sullo sfondo». I poemi antichi erano organizzati in cicli («troiano», «tebano»): come sappiamo, il tema dell’Iliade è solo l’ira di Achille, non tutta la guerra di Troia, e l’Odissea è solo uno dei molti nostoi, dei viaggi di ritorno a casa degli eroi dalla guerra. Percepire che una storia non è isolata, ma fa parte di un più ampio tessuto, affascina la mente umana, come dimostrano ancora oggi saghe familiari e soap opera infinite, del cui mondo non si intravedono i confini. Tutti gli scrittori di fantasy creano un mondo parallelo al nostro e in sé coerente (in un fantasy non manca mai una mappa dei territori), ma nessuno lo ha fatto con la vastità e profondità di Tolkien, che viveva davvero come se fossero ancora possibili le “antiche storie”.
Prendiamo perciò per buona la definizione di Zolla: Il Signore degli anelli è epica. Dunque da esso si può provare a prendere l’avvio per introdurre gli studenti a questo genere letterario.
Come è strutturato questo intervento
Questo intervento è strutturato in due parti: un confronto tra i poemi omerici e Il Signore degli anelli e una coda “operativa” con due allegati, che fornisce indicazioni e materiali per un percorso in classe.
Il confronto tra Omero e Tolkien è diviso per temi e fornisce, per così dire, il contenuto culturale delle lezioni. Per comprendere come esso sia organizzato didatticamente ora per ora, si rimanda alla seconda parte.
Il libro del Signore degli anelli supera le mille pagine e non è possibile, perciò, ricorrere ad esso, almeno nel breve periodo (un certo numero di studenti, per lo più maschi, l’ha comunque già letto; gli altri possono, se vogliono, sceglierlo nel corso dell’anno dalla lista delle letture domestiche che fornisco loro). In classe, quindi, faccio riferimento al film di Peter Jackson che, per molti aspetti non solo di trama spicciola, è abbastanza fedele all’originale.
PRIMA PARTE: da Tolkien all’epica omerica
L’epica come scontro immane tra due popoli
L’epica è una «narrazione in versi in forma ampia ed elaborata, racconto di un passato glorioso e grande di guerre e avvenimenti, vaste saghe di popoli per lo più legate alle vicende di individui grandiosi e personalità di grosso rilievo, storie e genealogie di dei e semidei, colossali eventi mitici, teogonie e cosmogonie: comunque l’occasione di un confronto o uno scontro che prende i connotati di qualcosa di poderoso e decisivo, di un destino supremo» (Franco Montanari)
La guerra di Troia è stata “la” guerra per eccellenza nell’antichità: una guerra “epica”. Lo scontro tra gli eroi achei e gli eroi troiani ha affascinato gli animi dei greci e poi dei romani (e poi di noi moderni). In quella guerra i più grandi eroi perdono la vita: Ettore, ma anche Achille, seppure solo per le sue conseguenze indirette.
Nel Signore degli anelli siamo di fronte allo scontro finale per l’esistenza stessa della Terra di mezzo: da un lato il Bene, dall’altro il Male, da un lato uomini, nani, elfi, hobbit, dall’altra l’Oscuro Signore Sauron, i suoi orchetti, il suo alleato (e traditore degli uomini) Saruman.
Ma tra Omero e Tolkien ci sono anche molte differenze: coglierle è un buon modo per comprendere ancor meglio le caratteristiche specifiche dell’epica classica. Achei e Troiani combattono una guerra feroce ed epocale, ma sono, in effetti, lo stesso popolo: hanno gli stessi dei, gli stessi valori, la stessa mentalità.
Tra le forze del Bene e le forze del Male in Tolkien, invece, c’è una radicale differenza ontologica. Tolkien, infatti, è cristiano, come cristiano era l’autore della medievale Chanson de Roland, nella quale un gruppuscolo di baschi che uccide un oscuro feudatario di Carlo Magno diventa un’armata di Infedeli che uccide il paladino per antonomasia, Roland/Orlando. Per i Greci saranno i Persiani a rappresentare il radicalmente altro da sé, il nemico, lo straniero, il barbaro, ma all’epoca di Erodoto e non di Omero: Ettore, in fondo, è fratello di Achille.
Gli eroi
Odisseo è l’eroe della metis, della curiosità e astuzia, è l’eroe che viaggia, che diventa esperto delle cose del mondo e degli uomini, e che infine torna a casa.
Achille è l’eroe guerriero tragico: consapevole del proprio destino di morte, tuttavia combatte, perché non potrebbe fare diversamente. Scriveva Tolkien: «Stimiamo in ogni modo gli antichi eroi: uomini prigionieri delle catene delle circostanze o della propria indole, lacerati dal conflitto di doveri egualmente sacri, che muoiono con le spalle al muro». Per uomini del genere la vita aveva senso solo nel bruciarsi vivido della fiamma di guerra, non nella conservazione stenta di una vita fin dentro la grigia vecchiaia. Infatti quando Odisseo, nella catabasi, incontra l’anima di Achille in quel regno di ombre dimidiate e smorte che sono gli inferi omerici, questa gli dice “rimpiango la tua condizione, perché sei ancora vivo, perché esisti pienamente”. L’invidia per la condizione dei vivi da parte delle anime: una cosa impensabile per un Dante. Ma i greci, almeno i greci al tempo di Omero, erano così: molto più legati al senso della vita su questa terra che alla promessa di una felicità ultraterrena.
Tolkien ha tratteggiato due eroi di diversa fattura: Aragorn e Frodo.
Aragorn è l’eroe guerriero, ma non è una macchina da guerra, benché non perda una battaglia e non gli difettino affatto il coraggio o, quando necessario, la temerarietà: è un eroe umano, sensibile, introspettivo, consapevole di sé, dubbioso. È un eroe moderno, nel senso di altamente psicologico e sfumato: niente a che vedere con Achille. È anche un eroe in cerca di identità e di destino, non un eroe il cui destino è già inscritto nel Fato e che non può far altro che aspettare che esso si compia.
Più che a Achille assomiglia a Ettore, quanto meno all’Ettore della scena famosissima con Andromaca e Astianatte. In effetti, gli eroi di Omero sono diversi da quelli, moderni, di Tolkien anche per un’altra ragione: questi ultimi hanno una coerenza psicologica, sono dei veri e propri personaggi; al contrario, gli eroi omerici, figli di un’epoca che ignorava la psicologia e intendeva le passioni come entità esterne che si impadroniscono dell’uomo come in una possessione, non hanno un’identità immutabile, il loro comportamento varia con le circostanze, così che se c’è bisogno di fare la scena del padre di famiglia la fanno, ma poi, tornati sul campo di battaglia, dimenticano tutto e ridiventano belve sanguinarie.
Poi c’è Frodo. Come Odisseo, Frodo viaggia, farà esperienza del mondo e maturerà, giungendo a un sapere che è concesso solo a chi, come lui, si è messo in gioco fino a rischiare la vita nella peregrinazione. È il tema medievale della Cerca (quest nella tradizione anglosassone, quête in quella francese), il cui esempio più celebre è la ricerca del Graal da parte di Perceval, ma di cui l’avventuroso Odisseo è il più famoso esempio.
Ma Frodo non è un uomo: è un hobbit, una creatura ancora più bassa di un nano e abituata alla vita comoda della Contea a suon di lauti pasti, case confortevoli, erba-pipa. Eppure sarà proprio Frodo, il “portatore dell’anello”, a compiere il destino della Terra di mezzo. Tolkien insiste più volte sulla virtù inaspettata di queste creature che sembrerebbero dover soccombere alla legge del più forte, che vige nel mondo degli uomini, degli orchi, dei nani, degli elfi, e che vincono invece ogni avversità grazie a una forza di volontà non comune. Con Frodo siamo di fronte a un vero e proprio anti-eroe, almeno dal punto di vista dell’epica: la sua forza è tutta interiore, spirituale. Di questo personaggio, che porta su di sé tutto il peso del Male dell’Unico anello, è stata, non a caso, data una lettura cristica. Ma qui siamo lontani dai territori dell’epica.
L’eroe è sovrumano e numinoso. Egli è capace di gesta nessun altro saprebbe compiere: Ettore, ma anche Turno nell’Eneide, solleva un masso che cento uomini insieme non saprebbero sollevare.
Inoltre, la presenza più che umana dell’eroe getta scompiglio nelle fila dei nemici. Nell’Iliade basta l’arrivo anche solo presunto di Achille sul campo di battaglia (dentro la sua armatura in realtà c’è Patroclo), per terrorizzare i Troiani.
Nel Signore degli anelli, si perde il conto delle scene nelle quali un eroe solitario uccide nemici a iosa: e saremo di fronte, oltre che a un topos epico, anche a un topos dei film d’azione americani. Ma c’è un’altra manifestazione del numinoso, decisamente più significativa. Sia nella battaglia del Fosso di Helm, sia nello scontro finale davanti alle mura di Minas Tirith, a un certo punto tutto sembra perduto: ma i Rohirrim, i signori dei cavalli, giungono inaspettati sul campo di battaglia. Sono in netta inferiorità numerica rispetto agli orchetti, ma il loro arrivo terrorizza i nemici: sono dei, non uomini, come dichiara la luce che alle loro spalle li aureola (e poi, certo, è anche un topos del western: “arrivano i nostri”).
L’eroe è le sue armi. Nei poemi omerici le armi sono per lo più quelle di difesa: l’armatura di Achille che Patroclo indossa e che diventerà spoglia di guerra di Ettore; la nuova armatura forgiata per l’eroe da Efesto in persona e il bellissimo scudo istoriato, per il possesso dei quali Aiace si ucciderà; l’arco con cui Odisseo compirà la sua vendetta sui Proci.
Nel Signore degli anelli l’elfo Legolas combatte solo con l’arco, il nano Gimli solo con l’ascia.
Ma rispetto al tema delle armi dell’eroe, il confronto più interessante è con l’epica cavalleresca e di gesta: Roland/Orlando combatte con la celebre Durlindana; a Roncisvalle, ormai ferito a morte, suonerà il suo bel corno per richiamare re Carlo.
Nel Signore degli anelli, Aragorn combatterà la battaglia finale con Narsil, la “Lama che fu spezzata” e che appartenne al suo avo Isildur.
L’altro eroe guerriero, Boromir, amico-rivale di Aragorn ed evidentissimo alter-ego di Orlando, è circondato dagli orchetti: suonerà, guarda caso, un corno, per richiamare Aragorn (che peraltro è il suo re, come era Carlo per Orlando).
Il terzo libro della saga tolkeniana si intitola Il ritorno del re. Si tratta di un tema topico dell’epica: in una terra dove vigono il caos e l’anarchia, dove si assiste a lotte tra eredi bastardi e profittatori, il ritorno del re legittimo riporta pace e serenità. La più celebre rappresentazione di questo topos è proprio quella odissiaca: Odisseo e i Proci. Anche re Riccardo Cuor di leone, la cui corona è insidiata da Giovanni Senza terra, tornerà a ristabilire l’ordine. Un altro esempio è la leggenda medievale del Re pescatore, la cui assenza provoca nel regno non anarchia politica, ma siccità e carestia.
Nel Signore degli anelli c’è un re legittimo, Aragorn. Per complesse vicende, però, egli ha scelto la via dell’esilio ed è diventato un Ramingo. Nella capitale del regno di Gondor, Minas Tirith, un Sovrintendente governa in sua assenza (Boromir è il figlio del Sovrintendente: ecco perché egli inizialmente diffida di Aragorn, salvo poi riconoscerne la legittimità, nel finale abbraccio sul campo di battaglia dove trova la morte). La Terra di mezzo rischia di soccombere al Male portato dall’Oscuro Signore, ma anche alle beghe e litigi fra razze (elfi contro nani, uomini di Rohan contro uomini di Gondor, …): il ritorno di Aragorn sul trono sarà risolutivo.
Come è noto, l’Odissea inizia con la Telemachia. La vera e propria entrata in scena di Odisseo avviene qualche libro più in là: e troviamo l’eroe piangente sulle spiagge di Ogigia, desideroso di partire e di tornare da Penelope. Odisseo ha viaggiato, ha amato, ha conosciuto, ma ora vuole solo tornare in patria, dalla moglie e dal figlio. È il tema del Nostos.
Nel Signore degli anelli, il vasto mondo in cui si avventurano Frodo e gli altri hobbit, creature generalmete pacifiche e sedentarie, è l’equivalente della navigazione pericolosa di Odisseo nel Mediterrano. Tuttavia, nei loro pensieri, torna spesso la nostalgia di casa, la Contea.
Nel mondo antico, la donna non è mai protagonista. Nell’epica, di solito, essa aspetta il ritorno dell’eroe. Emblematica, naturalmente, la figura di Penelope; ma non va dimenticata Elena, colei per la quale la guerra è scoppiata e che è costretta ad assistere impotente al massacro da dentro le mura di Troia.
Nel Signore degli anelli, la figura di Arwen rappresenta la donna che attende a casa l’eroe (Aragorn); ma bisogna avvertire gli studenti che, in questo caso, Peter Jackson si è preso qualche libertà rispetto all’originale, enfatizzando una storia d’amore che nel libro ha assai meno peso.
Decisamente più interessante è la figura di Eowyn: in quanto Rohirrim, sa cavalcare e combattere (e lo farà, disobbedendo agli ordini), ma è costretta dal re Theoden e dall’uomo di cui si innamora, Aragorn, a restare a casa. Non è perciò casuale che la sua apparizione in scena la veda sulle mura della città di Rohan, a guardare l’orizzonte, in un’attesa emblematica della condizione sua e di tutte le altre donne. Eowyn, peraltro, era fidanzata col figlio di re Theoden, Theodred, che tornerà morto dalla battaglia: lei, che lo aspettava, non potrà far altro che piangerlo. (Su questo tema, si può ascoltare anche la canzone di Fabrizio De André, Fila la lana).
L’amore di Eowyn per Aragorn ricorda poi, in certi suoi tratti, quello di Didone per Enea: è l’amore infelice di una donna per un eroe che deve seguire il proprio destino (“è solo di un’ombra e un’immagine che sei innamorata”, dirà Aragorn a Eowyn).
Narrazione e memoria
Nell’antica Grecia una veemente disputa divise chi sosteneva che Achille fosse superiore ad Omero, perché aveva agito mentre il poeta aveva solo scritto, e chi sosteneva la superiorità del secondo, perché senza di lui la memoria di Achille si sarebbe perduta.
L’epica tramanda la memoria delle gesta dei grandi eroi del passato ed è perciò un genere che più di ogni altro serve a fondare un’identità culturale ed etnica. Omero era il libro di lettura delle scuole “elementari” greche anche per questa ragione.
Nell’Odissea accade anche un fatto curioso. Odisseo è ospite dei Feaci, sotto mentite spoglie. Sarà costretto a rivelare chi è quando, durante il banchetto, si metterà a piangere udendo il racconto delle sue stesse gesta da parte dell’aedo Demodoco. È quasi paradossale: Odisseo, che è ancora vivo, è già diventato un mito, è già stato trasfigurato in eroe epico da cantare. In questo episodio, la facoltà del canto e della memoria di innalzare le vicende di un uomo al tono solenne del fatto memorabile ed eterno è evidentissimo.
La memoria, tra l’altro, è garantita anche dalle genealogie di eroi e dalla perpetuazione delle stirpi, delle quali i patronimici sono il segno più vistoso: non si è mai solo se stessi, ma anche eredi di qualcuno, il cui nome e onore si è chiamati a tramandare. Sappiamo bene che Achille è il Pelide e che Odisseo è il Laerziade.
Nel Signore degli anelli, tutti i personaggi raccontano le gesta dei loro antenati, li ricordano, sono legati alla loro memoria e, come i greci di Omero, sono identificati da un patronimico: Aragorn, figlio di Arathorn; Gimli, figlio di Gloin… Se si ha pazienza, si può dare un’occhiata alle lunghissime appendici del romanzo, nelle quali Tolkien ha inventato un’articolatissima cosmogonia e una fittissima cronologia delle ere precedenti a quella nella quale si svolge la vicenda di Frodo (l’allusione ai cronisti medievali è evidente).
Non solo: Frodo e il suo fedele amico Sam affermano più volte di sperare di finire protagonisti di qualche “storia”, ora che hanno avuto avventure degne di essere raccontate; Bilbo, lo zio di Frodo e protagonista de Lo hobbit, sta scrivendo le sue memorie (Andata e ritorno).
L’altra faccia della medaglia della continuità della memoria e delle stirpi è la sua rottura drammatica: tutti ricordiamo quanto sia commovente il brano in cui Priamo si inginocchia davanti ad Achille e ne bacia le mani omicide, pregandolo di restituirgli il corpo del figlio. Achille è irritato dal vecchio: ma quando questi lo prega per la memoria del padre lontano, Achille ha un momentaneo cedimento e concede il corpo martoriato del nemico.
Nel Signore degli anelli, re Theoden seppellisce il figlio Theodred, morto in guerra. La scena è non meno commovente di quella nella tenda di Achille: «un padre non dovrebbe seppellire il proprio figlio», dice Theoden.
Insomma: l’epica non è solo scontri titanici e guerra. È anche nostalgia, lirismo, commozione.
Alcuni topoi
Per concludere questo confronto, allego alcuni topoi epici che si ritrovano anche nel Signore degli anelli (altri se ne potrebbero nominare).
La presenza degli dei e il loro intervento nelle vicende umane è, come è noto, un elemento tipico dell’epica: gli esempi sono tanto celebri che è superfluo citarli.
Nel Signore degli anelli, non ci sono vere e proprie divinità. Lo stesso essere più potente della Terra di Mezzo, l’Oscuro Signore Sauron, è in realtà solo una creatura semidivina. Gli dei veri e propri appartengono ad epoche precedenti della cosmologia tolkeniana. Ci sono però interventi quasi-divini, come quelli dello stregone Gandalf o della Signora degli elfi Galadriel, che donano oggetti magici, che soccorrono con incantesimi, … In questo caso, però, più che di numinoso omerico si tratta di meraviglioso medievale.
Altri topoi, come il banchetto nel quale si mangia, si ascoltano canti e storie, ci si distrae dalla violenza della guerra, o il concilio degli dei o degli uomini nel quale prendere decisioni importanti, ricorrono anche nel Signore degli anelli.
Infine: durante l’assedio del Fosso di Helm, Aragorn e il nano Gimli tentano una sortita. La cosa si risolve in un inverosimile (però anche un po’ epico) menar le mani che lascia sul terreno un numero enorme di orchetti. Un’americanata, in effetti (nel libro non si trova: è un luogo comune cinematografico).
A ben vedere però, questa sortita nel campo nemico di due soli eroi, solidali l’uno con l’altro e pronti a spalleggiarsi, ricorda due sortite gemelle dei poemi antichi: quella di Odisseo e Diomede nell’Iliade, che è soltanto una brutale azione di guerra, e quella, piena di risonanze emotive, di Eurialo e Niso, nell’Eneide. Che Peter Jackson citi o meno Omero e Virgilio, qui, non saprei dirlo: di certo, il confronto andrà a tutto vantaggio dell’umanità virgiliana, cioè dell’epica classica. Per un percorso che intende portare gli studenti a comprendere e apprezzare questo antico genere, non mi sembra un cattivo risultato.
SECONDA PARTE: allegati
ALLEGATO A. Descrizione del percorso didattico
Premessa. Questo modulo di introduzione all’epica è pensato per una classe di prima superiore. Dal momento che richiede un certo numero di lezioni, è bene precisare che personalmente dedico parecchie ore all’epica (2 ore a settimana per un quadrimestre), leggendo molti brani sia dall’Iliade che dall’Odissea. Tralascio l’Eneide perché, insegnando ora in un liceo, questa verrà studiata in latino. Di solito non faccio in tempo ad arrivare a leggere qualche estratto dall’epica medievale, ed è un peccato, perché almeno la Chanson de Roland sarebbe del tutto pertinente, come si è visto. Nel contesto di un pacchetto d’ore così cospicuo, mi è possibile dedicare 6-8 ore a questa introduzione. Lo scopo del modulo non è di esaurire le conoscenze “teoriche” sull’epica una volta per tutte: serve a incuriosire e a stabilire una sorta di griglia concettuale, che sarà poi riempita di contenuti dal successivo percorso di letture omeriche.
Il film. Il film di Jackson rispetta la divisione in tre parti del libro: La Compagnia dell’anello, Le due torri, Il ritorno del re. La durata totale è di circa 10 ore. Ovviamente troppe per poter vedere il film a scuola integralmente. Nell’ipotesi di maggior economia, la visione dei tre episodi può essere lasciata totalmente ai ragazzi, come compito pomeridiano (o serale, con popcorn); io però preferisco impiegare tre ore in classe per vedere insieme il primo episodio, in modo da ben predisporli alla visione autonoma dei due successivi.
Preparazione alla visione del film (lezione frontale/dialogata; 1 ora/1 ora e mezza). Fornisco agli studenti una tabella (cfr. allegato B). La tabella ha tre colonne: nella prima si individua un tema, nella seconda si riporta un esempio omerico di quel tema, la terza è lasciata bianca. I temi, come si è visto, sono organizzati in quattro campi:
-
una definizione dell’epica: lo «scontro immane tra popoli»
-
l’eroe epico
-
il tema della memoria
-
alcuni topoi di questo genere letterario
Nella parte A di questo intervento, ogni tema è stato illustrato con esempi da Omero e, successivamente, dal Signore degli anelli. Nel lavoro in classe, questi ultimi vanno taciuti, perché lo scopo è proprio quello di lasciarli scoprire agli studenti: la terza colonna della tabella è riservata a loro. Ma perché essi sappiano cosa e “dove” guardare nel film, è essenziale che i contenuti della tabella siano loro spiegati.
Per farlo si può utilizzare la lezione frontale: si legge alla classe la definizione di epica di Montanari e la si analizza, si parla degli eroi dei poemi omerici, si illustrano il tema della memoria e i topoi dell’epica. È importante trovare un giusto equilibrio nella spiegazione, non dicendo né troppo né troppo poco e ricordando che lo scopo è quello di preparare la visione del film, non di esaurire l’argomento “caratteristiche del genere epico”. Non è necessario, ad esempio, perdersi troppo in dettagli parlando degli eroi: è sufficiente che gli studenti sappiano che, guardando Il Signore degli anelli, dovranno prestare attenzione a che tipo di personaggi hanno di fronte e che sappiano descriverli. Il confronto con gli eroi omerici potrà essere fatto alla fine del modulo o ripreso più avanti nell’anno, durante la lettura di un brano su Achille o Odisseo. Al contrario, un tema come quello della memoria delle gesta deve essere ben chiaro agli studenti, che altrimenti non sapranno ritrovarlo nel film.
La lezione può anche essere parzialmente dialogata e si può partire dalle conoscenze che gli studenti già possiedono: «quali significati ha, ancora oggi, l’aggettivo “epico”?»; «sapreste dare una definizione di epica?»; «quali eroi conoscete? Ettore e Achille si assomigliano o sono diversi?», ecc…
Dopo la visione del film (3 ore), il percorso si conclude con una sintesi finale delle conoscenze sul genere epico (lavoro collettivo; 2 ore). Si proietta alla Lim la tabella “pulita”, cioè con la terza colonna ancora vuota; in assenza di una Lim, si può fornire a ciascuno studente un’altra copia della tabella, oltre a quelle sulla quale hanno già lavorato. Si confrontano gli esempi trovati da tutti, tema per tema: si scartano quelli non pertinenti, si trascrivono nella tabella quelli pertinenti, si riaggiusta il tiro a quelli corretti ma intesi in modo un po’ confuso. Se necessario, l’insegnante può allegare qualche spiegazione accessoria. Alla fine del lavoro, si sarà arrivati a una tabella comune a tutta la classe.
ALLEGATO B. La tabella
CARATTERISTICA |
EPICA OMERICA |
SIGNORE DEGLI ANELLI |
Una definizione di epica: lo scontro immane fra due popoli |
Achei e Troiani: la guerra di Troia è la guerra per eccellenza del mondo greco, dura 10 anni, vi muoiono molti eroi, è un “destino” per molti di essi. |
|
Gli eroi /1 |
Odisseo, eroe della curiosità e dell’astuzia (metis); viaggia, conosce il mondo e gli uomini. Achille, eroe tragico che conosce il proprio destino: combattere e morire eroicamente |
|
Gli eroi /2. La forza sovrumana dell’eroe e il suo seminare il terrore fra i nemici |
Gli eroi omerici da soli sconfiggono decine o centinaia di nemici. Il rientro in battaglia di Achille terrorizza i Troiani, basta anche solo credere che quello che si ha davanti sia Achille (invece è Patroclo) per provare paura |
|
Gli eroi /3. Le armi |
L’armatura di Achille (con scudo istoriato) è di fattura divina; verrà poi contesa tra Odisseo e Aiace. Odisseo è l’unico a saper tendere l’arco con il quale ucciderà tutti i Proci. |
|
Gli eroi /4. Il ritorno del re |
Odisseo torna a Itaca e ristabilisce l’ordine e il proprio ruolo legittimo. |
|
Gli eroi /5. La Cerca (quest, quête) |
Odisseo viaggia per curiosità, per conoscere, tornato a Itaca non è più lo stesso: il viaggio come metafora della maturazione personale |
|
Gli eroi /6. Il nostos |
Odisseo ha nostalgia di casa; nella sua prima apparizione, sulla spiaggia di Calypso, piange e guarda verso casa. |
|
Le donne degli eroi (le figure femminili) |
Le donne aspettano la fine della battaglia e il ritorno del guerriero, soffrendo (Elena e Penelope). Didone: la donna innamorata dell’eroe che deve seguire il suo destino |
|
Narrazione e memoria /1. La narrazione delle imprese eroiche |
Tutta l’epica classica è centrata sull’idea della memoria, del ricordare le grandi gesta del proprio popolo, degli eroi antichi |
|
Narrazione e memoria /2. |
I patronimici greci |
|
Narrazione e memoria /3. |
Memoria dei morti (importanza dei funerali); memoria della propria casata e stirpe (la grande casata di Priamo, che ha decine e decine di figli); dramma della rottura della continuità padre-figlio per la morte prematura del secondo (Priamo e Ettore) |
|
Inverosimiglianze tipiche dell’epica |
Sollevare massi che 100 uomini non solleverebbero (Ettore); correre per tre volte intorno alle mura di Troia (Ettore) |
|
Sovrannaturale e divino: gli dei (o esseri superiori ai semplici uomini intervengono in aiuto) |
Interventi costanti degli dei nella battaglia, ad aiutare questo o quell’eroe, a far finire la guerra a favore degli Achei o dei Troiani; Atena a favore di Odisseo, Poseidone contro. |
|
Topoi letterari: il banchetto. /1 |
Odisseo dai Feaci; il gozzovigliare dei Proci a Itaca |
|
Topoi letterari: il concilio. /2 |
Concili degli dei per decidere le sorti della guerra; concilio iniziale per la contesa tra Agamennone e Achille |
|
Episodi identici (Tolkien cita Omero). La sortita |
Odisseo e Diomede / Eurialo e Niso |
|
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