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Anni Novanta. Individui e fluidità /2

Pubblichiamo la seconda parte del saggio di Maria Borio sulla poesia degli anni Novanta.

Nuove unità e ‘campi’ letterari

1. Il panorama fluido in cui si sviluppano individualità poetiche autonome e in cui l’idea di canone, di genere e di poetica divengono sempre meno influenti, è caratterizzato da un’emersione irregolare delle nuove voci, come se la catena che aveva connesso generazioni di autori – in accordo o in dissonanza tra loro – fosse andata recisa. I nuovi nuclei individuali tendono, infatti, a non sperimentare più la sintonia organica o l’affrancamento conflittuale con la tradizione. Possono rifiutare una forma di scrittura, come fa ad esempio Umberto Fiori nei confronti degli usi metaforici e irrazionalistici della Parola innamorata; oppure cercare, come il Gruppo 63, l’identità collettiva per rinnovare un’idea di letteratura d’avanguardia: nell’uno e nell’altro caso, però, ciò avviene non in modo genealogico, in somiglianza o in differenza, ma attraverso una manifestazione che nasce e si afferma soprattutto come esperienza isolata di individui, con un livello di coscienza storica e letteraria che non è soggetto a metri di valore estesi e riferibili a una comunità integra e integrata.

Anche la generazione del Sessantotto, che negli anni Settanta ha reciso il legame con la tradizione di matrice classico-umanista, tende a ritagliarsi lo spazio di un riconoscimento nell’affermazione dei singoli percorsi, ed è sostenuta dal mercato editoriale che, così come già a partire dagli anni Ottanta ha iniziato a pubblicare l’opera completa degli autori canonici, favorisce questo tipo di edizioni anche per gli esordienti degli anni Settanta. In particolar modo la collana ‘bianca’ Einaudi per Patrizia Cavalli (Tutte le poesie 1974-1992, che contiene le prime due raccolte e L’io singolare mio proprio; 1992), Valerio Magrelli (Poesie 1977-1992 e altre poesie, 1996), Patrizia Valduga (Prima antologia, 1998); la collana degli Oscar Mondadori per Maurizio Cucchi (Poesie 1965-2000, 2001), Dario Bellezza (Poesie 1971-1996, 2002), Vivian Lamarque (Poesie 1972-2002, 2002), Cesare Viviani (Poesie 1967-2002, 2003), Valentino Zeichen (Poesie 1963-2003, 2004); e la collana di poesia di Donzelli con Milo De Angelis (Dove eravamo già stati. Poesie 1970-1999, 2001). Si delinea, così, una sorta di stabilizzazione, quantomeno editoriale, per la generazione del Sessantotto, che va di pari passo con quella di autori come Franco Fortini (Versi scelti, autoantologia, 1990), Giovanni Giudici (Poesie 1953-1990, 1991), Amelia Rosselli (Le poesie, 1997), Antonio Porta (Poesie 1956-1988, 1998), Giovanni Raboni (Tutte le poesie 1951-1998, 2000), Pier Paolo Pasolini (Tutte le poesie, 2003), Edoardo Sanguineti (Mikrokosmos. Poesie 1951-2004, 2004). Da un lato, quindi, prende corpo una costellazione di autorialità in cui la dinamica conflittuale tra i padri e i figli mantiene una rete tesa e conflittuale di rapporti genealogici; dall’altro lato, si forma un magma di scritture dove emergono isole monadiche che portano un percorso per la stabilizzazione di tracciati individuali attraverso una coscienza nei confronti della poesia come forma letteraria isolata, ma di cui si cerca di difendere il valore comunicativo.

Nonostante le somiglianze che si possono individuare tra i vari autori, ad eccezione della configurazione strutturata negli intenti del Gruppo 93, sarebbe riduttivo riportare a una schematicità di categoria i rapporti tra i singoli percorsi poetici. Piuttosto, possono essere osservate connessioni fluide e antigerarchiche, sia nei confronti di scritture coeve che del passato, sia verso la tradizione italiana che estera. La scrittura contemporanea perde le possibili derivazioni piramidali che la critica ha disegnato nel Novecento, sostenuta dal rigore scientifico di un approccio filologico, stilistico, tematico o teorico. La poesia, che già a partire dagli anni Settanta ha rotto la verticalità gerarchica e ha assunto la configurazione di campi di relazioni, presenta ora, per ciascuno di essi, una autonomia reciproca sempre maggiore e richiede una lettura che faccia uso degli strumentini analisi in modo sempre più induttivo, con un aggiustamento della quadratura di fronte a ciascun esempio e con una elasticità dinamica nel confronto reciproco tra le possibili quadrature. I campi letterari ridefiniscono la funzione delle poetiche, dei generi e del canone, la rendono più complessa e più difficile, rinnovando definitivamente il modo di concepire, sia nell’atto creativo sia nell’atto delle divulgazione e della lettura, le forme letterarie.

Il Gruppo 93 – Il Gruppo 93 nasce per un accumulo di reazioni progressive alla crisi postmoderna e alla poetica neo-orfica della Parola innamorata. E’ il risultato di una stratificazione di varie esperienze nel corso degli anni Ottanta, confluite in un accordo militante d’avanguardia che prende avvio nel 1989 con l’obiettivo di sciogliersi polemicamente nel 1993. Riunisce autori di diversa provenienza geografica che sono di solito già legati in progetti comuni manifestati su rivista.

Mariano Baino, Biagio Cepollaro e Lello Voce a Napoli danno vita nel 1990 alla rivista «Baldus» che, richiamandosi alle operazioni provocatorie di Teofilo Folengo, contiene uno sforzo, sia creativo sia teorico, di resistenza e di critica alla insipida e commerciale mediocrità espressiva a cui il capitalismo delle telecomunicazioni sembrano aver plasmato le arti. Lorenzo Durante, Marcello Frixione, Marco Berisso, Piero Cademartori e Paolo Gentiluomo in area ligure, legati alla rivista «Altri luoghi», sono attivi in una forma di revivalismo estremo che usa forme colte e museali facendo deflagrare dall’interno della lingua in un’esposizione performativa che ribalta la stabilità dei generi e delle forme tradizionali. Sperimentali, ma non completamente assimilabili a quelli già menzionati e all’idea di gruppo d’avanguardia, ci sono, in area emiliana, autori come Giuseppe Caliceti, Alessandra Berardi e Rosaria Lo Russo, con i quali la poesia – anche sull’esempio dell’opera di Toti Scialoja – tende ad abbandonare completamente il campo del testo come unità di lettura, trasformandosi in un’unità corporale-orale che mima l’happening, il ready-made e la Body Art. Con autori come Tommaso Ottonieri e Gabriele Frasca la sperimentazione mostra modalità letterariamente molto raffinate.

Ottonieri, a Roma, è forse il primo ad addentrarsi con forza nelle potenzialità di una scrittura fondata interamente sull’esperienza pragmatica dell’oralità e della performatività. La sua poesia, a partire da Memorie di un piccolo ipertrofico (1980), si presenta come un’onda d’urto di memoria sanguinetiana, che cala il lavoro compositivo di Laborintus in una rielaborazione critica dell’atto linguistico come prodotto della civiltà dei media e delle telecomunicazioni. La scrittura è una ipertrofia verbale che forza le barriere del linguaggio e della grammatica, ritrovando una potenzialmente illimitata libertà di pronuncia e di esecuzione grafica. Ciò si verifica con una serie di fluidificazioni dei rapporti dati dalla norma: tra lingua corrente, dialetto e arcaismi; tra i nessi grammaticali, come la preposizione e l’articolo che vengono spesso saldati o scissi in accordo con un ritmo orale anti-ortografico; tra i nessi morfologici e semantici, per cui le parole e le frasi vengono sottoposti ad un continuo atto di oltraggio e di violazione, che ne riduce al minimo quelle che possono apparire le rigidità convenzionali, creando una commistione inscindibile tra il tempo della lettura e quello dell’oralità.

Anche Gabriele Frasca tra gli anni Ottanta e Novanta, da Rame (1984) e Lime (1995), dà un esempio solido ed efficace di sperimentazione che riabilita i metri tradizionali per creare, come abbiamo già visto, un palinsesto di forme fluide di interscambio tra i linguaggi postmoderni e contenitori testuali che ne plasmino una riproduzione ironica e critica. Attivo tra Napoli e Roma, Frasca è tuttavia un po’ appartato rispetto a un’impostazione organica di gruppo d’avanguardia. Quella che voleva presentarsi come la «terza ondata»i, dopo la prima delle avanguardie storiche e la seconda attiva tra gli anni Cinquanta e Sessanta, viene da lui affrontata con spirito ironico postmoderno, piuttosto che passionalmente politico, versando sui gesti di rottura lo sguardo intellettuale di chi, da un lato, non spinge il testo verso la frontiera estrema dell’happening o della Body Art, pur facendo interagire profondamente la scrittura con i ritmi dell’oralità; e, dall’altro lato, non assurge la scrittura a garante ideologico.

Se nella posizione di Ottonieri si colgono al meglio le istanze rivoluzionarie della pratica verbale del Gruppo 93, la posizione di Frasca forse aiuta a far individuare con più oggettività le manifestazioni del gruppo per gli esiti che ha avuto nella storia letteraria. Il Gruppo 93 è, infatti, un’esperienza che vuole rinnovare l’idea della scrittura come movimento e attraverso la quale l’idea di avanguardia va al di là delle connotazioni strettamente politiche e ideologiche. Ma questo movimento ha, anzitutto, il preciso obiettivo di sciogliersi nel 1993: nasce nella consapevolezza di un tempo determinato e di un partecipare alla sperimentazione come limite. Il senso di limite investe le operazioni ideologiche sulla lingua: si va oltre l’attacco anarchico contro il capitalismo, preferendo un approccio critico che rappresenti con ironia il sistema dei media, delle telecomunicazioni; si abbandona il riferimento al marxismo puro per i possibili testi teorici di riferimento, sostituendoli con le analisi di Marshall McLuhan e di Lucien Goldmann sui rapporti tra tecnica, tecnologia e società; di conseguenza, il primato della dimensione semantica che ancora dominava nel Gruppo 63 è generalmente sostituito con il primato della dimensione pragmatico-performativa che manifesta la dimensione fluida in cui la sperimentazione ha a che fare con una nuova funzione del canone, dei generi e delle poetiche.

La sperimentazione sulla lingua – intesa non come strumento di comunicazione e di informazione, ma come fucina di operazioni entropiche all’interno del linguaggio, allo stesso modo in cui continua ad essere portata avanti da autori come Nanni Balestrini – avviene, più che per il sentimento conflittuale proprio dell’avanguardia, per un sentimento di radicalità. Radicalità critica nei confronti nel ‘poetichese’, della poetica neo-orfica che apre abissi metaforici irrazionalistici ed evasivi di fronte ai problemi della realtà; radicalità per rivendicare un’espressione letteraria che non perda il senso di responsabilità e non diventi contenitore passivo ed edonistico; radicalità che porta con sé, più che un gesto strutturato d’avanguardia, un’inquietudine, la volontà di mantenere una dimensione critica nella cultura contemporanea per impedire il trionfo del testo come puro piacere o come demistificazione. Alle soglie del Duemila anche Sanguineti ha difeso, allo stesso modo, la funzione dell’avanguardia: non per il fragore rivoluzionario del movimento, ma per quella componente critica che viene sostenuta – afferma Sanguineti – anche da Walter Benjamin nelle sue osservazioni sul realismo dell’avanguardia e sul concetto di allegoriaii.

Con il Gruppo 93 viene rivendicata così un’idea di sperimentazione come radicalità per una resistenza critica. Questa è forse la componente più significativa che, nella «terza ondata», autori come Frasca o Ottonieri hanno ereditato dai loro predecessori sperimentali, adattandola alle dinamiche fluide della contemporaneità, in cui l’idea di movimento vive dentro al senso di un limite e il lavoro sulla lingua si lega non più a fattori ideologici, ma a una mimesi critica dei fenomeni tecno-mediatici.

Individualità liriche

Nella fluidità del lirismo rifunzionalizzato, così come si allenta l’idea di canone, di genere e di poetica, diventano più elastiche quelle coordinate che negli anni Settanta possono avere ancora un valore per una classificazione stemmatica. Il Lirismo tragico, il Neocrepuscolarismo, il Neo-orfismo, il Realismo oggettuale di matrice lombarda, il rapporto tra ruolo sociale e identità letteraria, come nella scrittura femminile post-Sessantotto, sono rielaborati in funzione delle esperienze individuali portate in scrittura e non più riconducibili, come palinsesti necessari, alla volontà d’autore. Parimenti, l’autonomia espressiva, che aveva rappresentato un terreno di conflitto nei confronti della tradizione per la presa di possesso di parola da parte del soggetto, non è più un fattore unitario come orizzonte generazionale. Le pronunce individuali tendono piuttosto a riflettere l’autonomia espressiva in una ricerca cosciente che cerca un’unità tra il contenuto e la sua forma, per definire integrità linguistiche che possono essere calibrate sulla misura del verso, della prosa poetica o della commistione tra prosa e verso, ma che tendono a mostrasi consapevoli della storia poetica individuale e del suo voler realizzare una coerenza lirica con valore comunicativo. Il lirismo rifunzionalizzato supera, dunque, anche la normalizzazione degli anni Ottanta, le esigenze di restituire stabilità e chiarezza alla forma lirica, di riassettare ciò che sembrava dissipato nella deriva espettorante degli anni precedenti. La lirica ingloba così, fluidamente, tanto le possibilità di seguire il ritmo e il numero del verso quanto le aperture e le articolazioni sperimentali che introducono deviazioni alla norma, che rendono più elastica la norma, ma pur sempre all’interno di un’idea di lingua come comunicazione e come base di un testo letterario integro.

In tale condizione di fluidità si individuano diverse manifestazioni di scrittura che, nelle rispettive autonomie, hanno la caratteristica di essere integrità espressive riconoscibili e definite. Segnano gli anni Novanta in una mobilità singolare, per definire le espressioni liriche del periodo come un campo letterario cangiante.

iCfr. Terza ondata. Il nuovo movimento della scrittura in Italia, Bologna, Synergon, 1993; si veda anche Gruppo 93. La recente avventura del dibattito teorico letterario in Italia, a cura di Filippo Bettini e Francesco Muzzioli, Lecce, Manni, 1990.

iiIvi, p. 228.

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