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diretto da Romano Luperini

Disagio o disperazione? / Impotenza politica e stato di minorità 2

Ho letto solo il saggio  di Guido Mazzoni e non quello di Daniele Giglioli, dunque posso partecipare alla discussione solo a metà. Credo doveroso intervenire perché da molti anni  con Romano Luperini e con Guido Mazzoni condivido l’esperienza redazionale di “Allegoria”: una delle migliori fra le riviste di teoria e critica italiane  che ha come sottotitolo “per una teoria materialistica”.

Il punto di  vista di Mazzoni è psichico e antropologico. Nel suo libro si registra  senza possibilità di repliche la vittoria totale di un modo di vita pulsionale, quello incentrato sul lacaniano “obbligo del godimento”. Senza citare la fonte del proprio titolo, “i destini generali” vengono messi alla berlina, con la  dolorosa e conclamata impossibilità di ogni agire collettivo.  La cultura dei consumi avrebbe dunque definitivamente vinto con le tre “mutazioni” avvenute tra anni settanta del novecento e anni zero del nuovo millennio: altra forma di vita non c’è, nemmeno tra gli interstizi più nascosti del pianeta e delle coscienze. Davanti a questo  modo di vita  non sarebbe  possibile che provare amarezza e disagio inclusivi, l’odio o la sfida orgogliosa o alternativa spettano ai soli terroristi islamici.

Fortini in “Diario tedesco”, viaggiando a Berlino,  aveva pensato, guardando alle rovine di una sede della Gestapo, ai destini delle società umane dopo il nazismo. Per Mazzoni nel suo viaggio berlinese l’immenso wurstel di plastica che domina vittorioso un edificio tra  residui del Muro e la ex sede della Gestapo  è l’icona del nostro eterno presente. Un presente  in cui l’intellettuale non può più replicare  nulla davanti all’affermazione di Corona sui godimenti del signore di Mediaset.

I mondi descritti  da Mazzoni sono  indubbiamente la superficie onnipresente di quelli in cui viviamo. I nostri quotidiani “acquari” senza possibilità di senso, senza nessuna apertura a un universo collettivo e politico. Ignorarne la potenza sulle vite di tutti vorrebbe  dire parlare con falsa coscienza.

Tuttavia, credo, un’analisi materialistica non può riguardare solo lo statuto dell’immaginario, per quanto rilevantissimo, né limitarsi alla registrazione di eventi.  La narrazione egemonica non riguarda  solo l’imperativo del consumo ma anche e la sfera dell’economia, della riproduzione materiale e dei rapporti di classe (assenti nel libro di Mazzoni). Che le classi sociali non esistano più, che il privato sia più efficiente del pubblico, che i mercati provvedano a far affluire capitali là dove è massima la loro utilità collettiva sono alcuni degli slogan dell’ideologia neoliberale che ci tocca quotidianamente assumere come l’aria che respiriamo, in ogni distretto della nostra vita e massimamente nei rapporti lavorativi.

Davanti a questa totalitaria unanimità, mai prima rilevata nella storia della modernità,  non resta che un bivio: accettare  le mitologie neoliberali e dunque considerare l’occidente il disagevole miglior mondo possibile (minacciato dalla barbarie islamica), oppure intravedere nella crisi finanziaria che sta disastrando il mondo, le oggettive sofferenze delle vite sempre più precarizzate, nei lavori cosiddetti atipici dell’economia informale, nuove resistenze incompatibili con il modo di vita occidentale: odio e dignità e orgoglio potenziali ben diversi da quelli “fondamentalisti”.

Io credo (non ho paura di citare Rosa L.) che mai come il bivio sia tra socialismo e barbarie: che dunque il “disagio”, la perplessa demoralizzazione, l’amarezza gentile finemente rappresentati da Mazzoni, siano antidoti fallaci alla disperazione. Disperazione per altro più che legittima, perché le forze (culturali e politiche ma soprattutto economiche) messe in campo dal dominio  ipercapitalistico sul mondo  sono talmente  vittoriose da oscurare ogni progetto di trascenderle.

Avrei dunque preferito un libro palesemente disperato: e a quel libro (alla sua nera verità che a mia volta mi preme dentro) avrei risposto come mi rispondo in tutti i momenti di maggior deprivazione del senso: le classi, sia pur invisibili,  ci sono anche se nessuno ne rappresenta gli interessi; il godimento rozzo dell’occidente non ha il suo lessico discorsivo solo nelle ‘mutazioni’ antropologiche ma soprattutto in questa apparente scomparsa di comunità o classi sociali in formazione, in questa evaporazione della solidarietà.  Dal punto di vista materialistico, dunque, il “godimento” privato dei consumi non è che schermo e conseguenza di un’altra e ben più  potente azione simbolica: l’occultamento, la censura che grava sull’esistenza di classi che continuano a subire sofferenza e rapina e che non debbono riconoscersi.

Può essere che- materialisticamente –  la discussione su “I destini generali” esiga uno spostamento: dalla constatazione – malinconica   e supina – della  vittoria del capitale alla tragica visione di una necessità rivoluzionaria. Se anziché viaggiare a Berlino si viaggiasse ad Atene si avrebbero del resto ben altre visioni allegoriche che non il gigantesco wurstel di plastica: un intero paese che chiede un’altra economia europea ogni giorno strozzato e deriso dalla cultura delle compatibilità e dell’ austerity. Se questa critica radicale non saremo noi a produrla, ci penseranno  Salvini e Marina Le Pen. La barbarie non è solo data dal fanatismo islamico e il  ‘fastidioso’ e vittorioso godimento dei consumi ha un altro e più intenso sapore se  esperito nell’arena popular di una  sagra leghista padana.

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NOTA 

L’immagine è un disegno che accopagna la canzone Le ragazze stanno bene nell’album Castellazioni (2014) de  Le luci della centrale elettrica.

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