Cambiare la scuola/1. Tre limiti dell’iniziativa politica
Sono stata al cantiere “SOS scuola” organizzato dal PD a Terrasini per cercare di capire quali possano essere le future sorti della scuola e soprattutto per intuire se davvero noi insegnanti possiamo influire in qualche modo sui processi decisionali, abbastanza avanzati ancorché confusi e disarticolati, in atto. Ed invece, sarà stato per via delle concomitanti partite dei mondiali, già il primo giorno in cui Davide Faraone, con poche battute sul metodo che userà il PD per cambiare la scuola (lancio di una proposta del governo, apertura di una campagna di ascolto, emanazione di una legge delega ed iter parlamentare), faceva evaporare le dichiarazioni del sottosegretario Reggi dallo stato solido a quello aeriforme, si insinuava in me una domanda: si può giocare una partita di calcio usando le regole del tennis? Fuor di metafora: si può cambiare la scuola con argomenti, metodi e fini che le sono profondamente estranei?
Nei tre giorni in cui sono stata a Terrasini ho ascoltato molte persone di diverso valore, simpatiche e cordiali o antipatiche e arroganti, come ovunque comunemente accade. In tanta diversità di provenienza, di preparazione, di umanità, di formazione ho però ravvisato dei tratti comuni che vorrei, passando dalla cronaca alla riflessione, definire come i principali limiti dell’attuale iniziativa politica sulla scuola.
Le tre logiche con cui non possiamo cambiare la scuola (a meno di non farne un’altra cosa)
Ormai gli addetti ai lavori e i politici nei loro discorsi così come nelle loro proposte non tengono in alcun conto dei confini dell’ambito di cui parlano, cioè disconoscono quelle che Bourdieu definirebbe le “regole specifiche del campo” scolastico e così facendo trasferiscono prassi e teorie di altri campi del sapere e del potere alla scuola, considerandola di fatto un sottosistema privo non solo di autonomia e prestigio, ma anche di identità e specificità. Le logiche eteronome più invadenti il campo della scuola sono:
1) la logica economicista. In ogni discorso e proposta sulla scuola si guarda prima ai costi o ai guadagni e poi al merito delle questioni. L’apoteosi di questa logica è stata raggiunta con la Gelmini. Basti ricordare il catastrofico smantellamento della scuola primaria e del tempo pieno. Ma anche l’attuale governo ama avanzare proposte “a costo zero”, parlare di “ottimizzazione delle risorse”, di “risparmi”, di “sprechi” , di taglio di un anno di studi per potenziare l’offerta formativa. Inoltre il governo è molto evasivo quando si chiede di specificare l’entità delle coperture delle proposte, il ripristino del fondo di Istituto, le assunzioni dei docenti, il pagamento delle spese di aggiornamento in servizio dei professori e così via.
2) La logica ingegneristica – che è un corollario derivato dalla logica precedente – è anch’essa pervasiva. Nei discorsi e nelle proposte sulla scuola si guarda prima alla organizzazione del sistema che ai contenuti e ai fini a cui la riorganizzazione proposta dovrebbe servire. L’apoteosi di questa tendenza è stata raggiunta con il prof. Ingegner Profumo. Si pensi all’allegro congedo da questi dato ai libri cartacei senza alcun valido motivo didattico (ed in verità neppure di convenienza economica). Molte delle proposte presentate dal sottosegretario Reggi (anch’egli ingegnere) a Terrasini sembra che vadano in questa direzione. I principali tasselli della proposta-Reggi, l’orario di apertura della scuola e l’innalzamento dell’orario di insegnamento, sono elencati tra le proposte senza un perché pedagogico e senza un piano o un curricolo didattico che li giustifichi ed inoltre non sono neppure accompagnati da cautele e osservazioni di semplice buon senso. Nella smania riorganizzatrice non conta il perché, così come nella baldanza riformatrice non vi è spazio per i dubbi. Io però ne avrei più d’uno. Ad esempio, stiamo optando per una società fortemente scolarizzata, ma una società fortemente scolarizzata è di per sé una buona società? La comunità educante adulta deve coincidere tout court con quella formalizzata della scuola? E con quali rischi di omologazione da un lato (quello degli studenti) e di deresponsabilizzazione dall’altro (quello dei genitori)? E ancora perché riteniamo di non dover più proteggere il tempo vuoto dei bambini, quello della noia e dello scoperte accidentali? Non tutte le esperienze possono e devono essere mediate dagli adulti.
3) La terza logica è quella, per usare un’espressione di Harvey, della “distruzione creatrice”. Guardando ai temi posti sul tavolo in questi giorni sembrerebbe che la scuola debba cambiare essenzialmente perché sino ad oggi non è cambiata abbastanza, perché essa è un corpo solido immerso in un mondo liquido. La scuola staziona in mezzo alle nostre città, rimesta tra la roba vecchia con tempi lenti e maniere tradizionali. L’apoteosi della logica innovatrice, del cambiare per cambiare, non è stata ancora raggiunta dai riformatori italiani, al contrario spesso colti da languori nostalgici. Basti ricordare il dibattito sul grembiule, il ritorno al voto numerico alla primaria, Darwin all’indice e Quasimodo all’esame di Stato. L’ansia di questi giorni, le battute e le smentite del sottosegretario Reggi, l’agitarsi di cantieri, think tank ed esponenti del PD fanno però temere che il trionfo della terza logica eteronoma stia per abbattersi sulla scuola.
L’economicismo, l’ingegnerismo e il nuovismo sono logiche dominanti nelle proposte e nei discorsi sulla scuola, ma sono anche logiche profondamente conformiste che poggiano su postulati indimostrati o meglio, potremmo anche dire, sui meccanismi consci e inconsci imposti dalla dittatura del Pil. I criteri riorganizzatori delle scuola su logiche meramente quantitave, di performance, di ottimizzazione e diversificazione del servizio e così via non sono però tra i criteri che la scuola si dà. La scuola segue altre regole di gioco.
Tre perni a cui ancorare il cambiamento della scuola (e migliorare la nostra vita)
Innanzitutto va detto che le logiche del campo della scuola non le hanno decise le persone di scuola e neppure i sindacati con la contrattazione collettiva. Le regole interne al campo della scuola vengono dal tempo storico che la scuola ha attraversato e nella quale essa è stata plasmata così come ancora oggi la conosciamo (il che non vuol dire che non si possono cambiare, vuol dire solo che parliamo di logiche forse non più egemoniche ma tuttavia radicate). Esse sono:
1) La visione della scuola come strumento per realizzare la piena libertà intellettuale, morale e civile delle persone e far loro conseguire la piena dignità dei cittadini. Si tratta di uno dei lasciti dell’Illuminismo. E’ il perno della emancipazione delle persone (Art. 3 comma 2 della Costituzione).
2) La visione della scuola e della cultura come tramite per realizzare una reale uguaglianza fra le persone (da intendersi non solo sul piano salariale ma di pieno compimento dell’individuo). E’ il lascito di una parte della tradizione umanistica e del pensiero progressista. E’ il perno dell’uguaglianza (Art. 34 della Costituzione).
3) La visione della scuola come luogo libero e plurale dove libero è l’insegnamento e l’apprendimento e centrale è la collegialità e la democraticità delle scelte. E’ questo il lascito dei totalitarismi del XX secolo e delle contestazioni del ’68. E’ il perno della libertà esercitata nelle forme della mediazione democratica (Art. 33 della Costituzione).
Si noti che anche in questo caso, come nel caso delle tre logiche eteronome, i tre pilatri della scuola italiana assegnano ad essa un ruolo servile nei confronti della società. Queste funzioni però non le assegnano un ruolo ancillare. La scuola, in questa prospettiva, non serve in quanto è utile, semmai al contrario è utile perché serve gli altri, perché innerva i gangli di una società che vorremmo più libera, più giusta e più democratica di generazione in generazione.
Non si può giocare una partita di tennis usando le regole del calcio
In breve per cambiare la scuola italiana bisogna partire dalla fine, cioè da cosa si vuole fare con essa. Ma per far ciò bisogna mettere sul tavolo scopertamente i nostri valori di fondo. I ragionamenti organizzativi e le proposte operative vengono dopo, quando scelta la strada le persone si interrogano su come percorrerla. Affliggente è la metodologia vuota, nelle aule scolastiche come in politica, e il PD (con l’unica eccezione di Mariangela Bastico) al confronto di Terrasini ne è sembrato afflitto.
In altri termini, la scuola di domani potrà senz’altro essere più coraggiosa e inclusiva, più determinata e autonoma, più rigorosa e propositiva, più leggera e creativa, più destrutturata e poliforme, ma per cambiare in meglio dovrà innanzitutto restare la scuola aperta a tutti (il che non equivale a dire a tutte le ore come un discount) della nostra Costituzione. La nostra scuola ancora oggi, malgrado l’eteronomia dei fini a cui da circa vent’anni la si tenta di assoggettare, non ha di mira beni, performance e statistiche e così può usare statistiche, performance e beni (ma pure partiti politici, sottosegretari e responsabili di vario livello) per contribuire a migliorare la nostra vita.
Del resto la scuola serve essenzialmente a questo: ad alimentare la possibilità della civiltà. Per queste ragioni l’argomento economico e l’argomento organizzativo, pur importanti, sono le ultime leve che un governo progressista dovrebbe manovrare se davvero vuol chiamare la scuola al cambiamento. Per queste ragioni a Terrasini mentre Faraone illustrava la linea del PD ho pensato che non si può giocare – e meno che mai vincere – una partita di calcio usando le regole del tennis.
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