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diretto da Romano Luperini

Il filone di ricerca psicologica sul rapporto corpo-mente, che ha nella scuola di Armando Ferrari (studioso brasiliano,ma con una forte presenza anche in Italia) il principale esponente, ha prodotto recentemente due libri: di uno ci parla qui Domitilla Cataldi, psicologa romana, l’altro è uscito pochi anni fa da Franco Angeli col titolo Prendere corpo, a cura di P. Carignani e F. Romano.

Se rendo più scure le mie ciglia

e gli occhi più lucenti

e le labbra più rosse, o se chiedo,

di specchio in specchio,

se tutto va bene

non è per sfoggio di vanità:

io cerco il volto che avevo

prima che il mondo fosse creato.

(W.B. Yeats, Prima che il mondo fosse creato, 1895)

W.B. Yeats, il poeta irlandese Premio Nobel, scrive questa poesia nel 1895. Una donna si guarda con ansia allo specchio, ma non per vanità: sta cercando qualcosa, ma cosa? Il poeta ci dice: il volto prima che il mondo fosse creato. Prima che gli altri fossero creati, prima che io stesso fossi creato in mezzo agli altri, il volto che non dipende dallo sguardo dell’altro e nemmeno dal mio sguardo, prima della esteriorizzazione di me a me stesso, il mio volto solo per me. Il volto, il nostro sé, la base della nostra identità, il nostro essere. È una straordinaria intuizione, questa di Yeats sul sé corporeo più intimo e profondo che ci abita e che siamo.

Il sé è un concetto che ci viene dalla filosofia introspettiva e che rimane ancora sfuggente all’incrocio di tutte le odierne scienze umane; psicologia, sociologia, antropologia ed ora anche biologia e neuroscienze. Nella concezione realista il nostro sé è anzitutto corporeo, embodied and embedded, come convergono ad affermare neuroscienze, scienze cognitive, filosofia della mente e psicopatologia. Un sé corporeo, senso di sé basico e pre- riflessivo generato internamente da un flusso continuo, un dialogo continuo corpo-mente che sostiene e nutre l’esperienza soggettiva. In tal senso il libro esplora i fenomeni legati alla fondamentale relazione mente-corpo allargando il vertice di osservazione al di là della patologia psicosomatica tradizionalmente intesa e approfondisce, da diversi punti di vista, il concetto di sé corporeo inteso come la base della nostra identità. Il termine “anoressie” nel titolo del libro va a sottolineare una pluralità, mettendo in evidenza le differenze individuali che sottendono però una similarità; le patologie del sé corporeo. Infatti, grazie al contributo di vari Autori, il libro Anoressie: patologie del sé corporeo mette in luce come in questo tipo di patologie è il corpo stesso a manifestare la sofferenza della persona.

A partire dalle fulminanti intuizioni di Freud (“L’Io è innanzitutto una entità corporea”, Freud, 1922; “La psiche è estesa, di ciò non sa nulla”, Freud, 1938), abbiamo oggi sempre più bisogno, per apprezzare i fenomeni della fisicità e il modo in cui questi entrino in relazione con i fenomeni della psichicità, d’ispirarci ad una teoria capace di porre in continuità il fisico e lo psichico; sensorialità, emozione e pensiero così come proposto da Freud e sviluppato In seguito dal pensiero di Bion. Una teoria che permetta di considerare come la mente funzioni e si disponga non solo verso i suoi prodotti più evoluti (pensieri, sogni, racconti…) ma anche verso i suoi elementi più sensoriali e basici: sensazioni, percezioni, emozioni incipienti, tutto quello che Bion chiama “elementi beta” e che considera come esperienze fondamentali per il senso di autenticità e vitalità del nostro sé e dove ha sede inoltre la matrice del pensiero. Sviluppando il pensiero di Bion, A.B. Ferrari ha sottolineato come la mente si attivi proprio con la funzione primaria di percepire, contenere ed organizzare le sensazioni del corpo, il quale costituisce “l’oggetto di elezione della mente e la sua realtà prima”.

La mente dunque nasce dal corpo e si sviluppa con esso, in modo variamente armonico o disarmonico. L’osservazione sistematica del rapporto corpo-mente, inteso come una relazione dinamica e bidirezionale, fonte di conflitti e motore evolutivo, ci permette di illuminare aspetti difficili di molte patologie e di rintracciare inoltre l’apparire e lo stabilirsi di una reale frattura all’interno della persona: la dissociazione psicosomatica, o meglio la dissociazione corpo-mente, quando cioè sia il corpo che la mente si configurano come esiti dissociativi dell’unità del singolo. Infatti, per una ragazza anoressica il corpo non è più sentito reale, con il suo flusso di sensazioni, emozioni, e in contatto con il mondo esterno, ma diventa un oggetto mentale, un prodotto della sua attività mentale. In questo modo, essendo il corpo il tramite della realtà, il suo controllo mentale può darle l’illusione del controllo della realtà stessa e, come per un atto di magia, in particolare l’illusione di poter tener ferma la realtà che cambia e bloccare la freccia del tempo.

L’adolescenza, con la riattivazione delle pulsioni sessuali, la comparsa del pensiero ipotetico-deduttivo, l’urgente bisogno e ricerca di una identità, la scoperta della solitudine esistenziale dell’essere umano, si configura come una fase densa di cambiamenti e di perturbazioni dove si collocano importanti opportunità di sviluppo e di elaborazione della propria persona ma allo stesso tempo rischi e pericoli sul piano psicologico. Se l’adolescente infatti, spaventato dal cambiamento, e attanagliato dal senso di vuoto, non riesce a portare avanti la sua elaborazione nei confronti del lutto dell’infanzia e della gestione ingombrante di un nuovo corpo che continuamente manda segnali, può prendere difensivamente la strada onnipotente del rifiuto e dell’attacco al corpo e alla mente pensante.

Seguendo questa prospettiva, nei diversi lavori che compongono il libro, viene segnalato come un compito primario del lavoro di analisi sia quello di cercare di collegare i vissuti sensoriali del paziente con i suoi stati mentali anche quando questi sembrano assenti, o meglio presenti nella loro forma negativa di disconoscimento e di rifiuto, sostenendo così in definitiva quel tipo di funzionamento psichico a contatto con la realtà di cui parlava Freud in Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (Freud, 1911).

Nel libro si sostiene inoltre che le sole ragioni estetiche, sociali o culturali non sono sufficienti a spiegare i fenomeni così inquietanti che ci mostrano come il corpo, il nostro corpo, possa diventarci estraneo, alieno o addirittura nemico, al punto da spezzare il senso profondo della nostra identità, quello che siamo e sentiamo di essere. Infatti la relazione con il corpo, il suo riconoscimento, mette in contatto con la realtà e rivela l’esperienza dell’Io di fronte ai suoi bisogni.

Questa esperienza può essere segnata da impotenza, angoscia, rabbia, rifiuto, disconoscimento. Viene in tal senso sottolineato come, nella psicoterapia con persone anoressiche, emergano costantemente separate emozioni e sensazioni, sentite spesso come persecutorie, in modo tale che le loro narrazioni risultano slegate da una emozionalità. In altri termini, nei lavori del libro si evidenzia il processo nel quale l’angoscia, l’intolleranza nei confronti delle sensazioni e delle emozioni possano portare l’individuo al rifiuto profondo di essere un corpo. Ma d’altra parte, si narrano i percorsi di riconoscimento dei propri mezzi e possibilità nel ricucire la relazione corpo-mente tali da suscitare, all’interno della persona, esperienze di contatto autentico e vitale e inoltre il graduale sviluppo del confronto con la realtà e quindi del rapporto con gli altri.

In alcuni capitoli del libro viene altresì esplorato cosa accade quando la mente si dissocia dal corpo e non può più fare esperienza della realtà, evolvendo con essa, ma si trasforma in un sistema chiuso in se stesso, autoriverberante. Infatti, come per la ragazza anoressica, quanto più il corpo è scisso tanto più diventa persecutorio e onnipotente sino ad occupare tutto lo spazio mentale della persona, costringendola così a non riuscire mai a fermarsi nella ricerca di quel peso zero capace di far infine tacere il corpo.

Il libro però non tratta solo di anoressia e bulimia, nelle loro varie manifestazioni, ma anche di tutte le forme di estraneità sia dal corpo ­­­- fobie e deliri dismorfici, panico, autolesività, sadomasochismo e violenza -, sia di estraneità della mente – intolleranza della realtà, ossessività, intellettualizzazione, situazioni limite e borderline.

Nel libro viene anche proposta la suggestiva convergenza degli studi di neuroimaging permessi dalle nuove tecniche di risonanza magnetica funzionale tipo resting che per la prima volta mostrano le funzioni riconducibili al sé corporeo e alle sue possibili implicazioni nei disturbi alimentari. Infatti nelle pazienti anoressiche sono presenti profonde alterazioni non solo della fame e della sete ma di tutte le sensibilità: tattile, termica, dolorifica, gusto, olfatto, sensazione della fatica e della stanchezza, fino ad una vera e propria perdita di tutta la percezione del corpo.

La complessità che fin dalla nascita ci segna nel nostro essere psicosomatici e dei conflitti che ci attraversano per tutta la vita nel movimento continuo che ci caratterizza tra l’avere un corpo o essere un corpo, possiamo ritrovarla nell’immagine intensa di una poesia di Emily Dickinson (Had we known…) del 1868-1870:

Avessimo saputo il peso che portava

avremmo alleviato il suo terrore.

Ma più grave il peso, più rigida lei andava

così sia solo a lei l’errore.

__________________

NOTA

Il libro recensito è Anoressie: patologie del sé corporeo, a cura di Antonio Ciocca, Stefania Marinelli, Federico Dazzi, Franco Angeli, Milano 2013.

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