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diretto da Romano Luperini

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La classe come comunità ermeneutica

E’ uscita la quinta edizione ampliata di Insegnare la letteratura oggi, Manni, Lecce 2013, pp. 234 . Per gentile concessione riproduciamo il seguente brano tratto dalle pagine 91-93.

 

Operando sui significati la classe si trasforma in comunità ermeneutica. Una comunità è dotata di un sapere comune e di un comune orizzonte di valori, a partire dai quali si divide – o può dividersi – durante l’atto ermeneutico. Da tale punto di vista la classe prefigura comunità democratiche più ampie, a livello nazionale e sovranazionale, e si allena alla democrazia attraverso il conflitto delle interpretazioni. Leggendo il testo, ogni alunno impara che le interpretazioni possono essere infinite. Solo il testo letterario offre l’esperienza dello spessore e della pluralità dei significati, e insegna così che la verità è relativa, storica, processuale: un percorso interdialogico che avviene attraverso il contributo di tutti. Lo studente può così apprendere a rispettare le opinioni altrui e a difendere la propria, nella consapevolezza del carattere comunque parziale e relativo della propria interpretazione, ma anche della sua responsabilità etico-civile, e dunque della sua dignità e necessità.

Nella classe l’insegnante non sarà né solo un tecnico specializzato che offre competenze, né un tuttologo chiamato a insegnare, oltre alla letteratura, la storia del cinema e del teatro e magari anche la sessuologia, ma un intellettuale che si interroga sul senso e sul valore dei testi e che ai giovani insegna a fare altrettanto. D’altra parte convincere gli studenti che la tradizione culturale e letteraria è ancor oggi attuale è operazione che comporta la capacità culturale di problematizzare passato e presente e di porli in rapporto fra loro stimolando le capacità immaginative e cognitive degli alunni. Nella classe come comunità ermeneutica il professore rappresenta il momento di autorità e di mediazione, che disegna e delimita il campo interpretativo e definisce, raccogliendo anche i diversi contributi degli studenti,il ventaglio dei diversi significati possibili di un testo, il suo valore, la sua eventuale autorità. Deve essere dunque non un tecnico neutrale né un tuttologo generico, ma un uomo di cultura umanistica esperto di letteratura.

Se comincia a entrare in crisi la figura del professore come mero specialista in scienze filologiche, retoriche e narratologiche, non manca tuttavia una tendenza che in altre forme mira a riproporre la tecnicizzazione dell’insegnamento della letteratura: essa proviene da chi punta a trasformare l’insegnante di italiano in un tecnico del linguaggio, in un docente di grammatica e di educazione linguistica. Ovviamente uno degli obiettivi dell’insegnamento dell’italiano nell’ultimo triennio deve essere quello di fornire agli studenti la capacità di esporre e comporre in maniera corretta, e di scrivere in modo argomentato, coerente, persuasivo. E tuttavia l’educazione linguistica, pur indispensabile, ca perseguita autonomamente rispetto all’educazione letteraria che dece restare il compito principale dell’insegnamento di italiano durante l’ultimo ciclo. Lo stesso obiettivo della correttezza espositiva va raggiunto anche insegnando ai giovani a confrontarsi con le grandi esperienze – esistenziali, morali, civili – racchiuse nel patrimonio letterario e umanistico, a interpretarle e a discuterle, a capire le diverse interpretazioni degli altri e a difendere le proprie. Non si tratta dunque di ridurre il testo letterario al suo spessore grammaticale e sintattico o addirittura di sostituirlo con altri tipi di testo più adatti all’educazione linguistica, ma di sviluppare l’interpretazione collettiva delle grandi opere artistiche penetrando nella loro ricchezza semantica e nella pluralità di significati che essa suggerisce.

Se il carattere del nostro tempo è la complessità, i giovani vi vanno addestrati non già accantonando lo studio della letteratura, ma impostando quest’ultimo secondo nuovi criteri capaci di esaltare il momento comunitario dell’ermeneutica, il suo carattere vario, aperto, problematico, la coscienza della relatività di ogni interpretazione e la responsabilità morale e sociale che comporta l’atto di donare senso alla opere – e alla vita.

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