Gli scrittori dell’Africa subsahariana/ Scrittori del mondo 1
Da oggi inizia la programmazione estiva di LN, attraverso la quale presenteremo ai nostri lettori dei brevi profili di alcuni tra i più noti narratori e poeti attivi dopo il 2000, suddivisi per macroarea geografica e culturale. Negli ultimi anni la geografia del mondo è cambiata in modo tanto radicale da consentirci di guardare alla storia della letteratura da una nuova prospettiva allargata e policentrica. La globalizzazione, lo sviluppo dell’informatica e dei trasporti, la diffusione dell’inglese come lingua internazionale, i flussi migratori, l’emancipazione culturale dei popoli dal dominio coloniale, la presenza di un pubblico che legge i libri in traduzione: tutti questi elementi condizionano profondamente la letteratura del nostro tempo proiettandola in una dimensione mondiale.
Questa qui proposta è una mappatura aperta e in progress, una lista parziale e via via aggiornabile di letture, più o meno complesse, che il docente potrà suggerire agli studenti per coinvolgerli in una indagine sul presente. Per queste ragioni invitiamo i nostri lettori ad integrare e ad arricchire questa prima selezione, utilizzando i commenti per indicare altri nomi di autori del nuovo millennio che ritengono significativi, raccontando la propria esperienza didattica, condividendo le proprie letture o suggerendone altre.
Ciascuno dei 94 autori presentati verrà collocato in corrispondenza del paese di provenienza, in cui è radicata la sua identità, anche quando la lingua della scrittura non coincide con la lingua madre, come accade soprattutto nel caso degli scrittori originari delle ex-colonie. Iniziamo con gli scrittori dell’Africa subsahariana.
Chinua Achebe
Achebe, di etnia igbo, nato in Nigeria nel 1930, è universalmente considerato il massimo scrittore africano. Non è irrilevante che Achebe sia nigeriano: la Nigeria è infatti lo Stato dell’Africa subsahariana in cui vengono scritti più romanzi, anche se l’instabilità economica e politica, l’inadeguatezza dell’editoria, la terribile guerra civile seguita al tentativo di secessione del Biafra e il persistente analfabetismo hanno ostacolato la circolazione dei libri. Nonostante ciò, a partire dalla fine del protettorato britannico (1960), in Nigeria si è andata affermando una cultura del romanzo, alimentata soprattutto dalle opere di scrittori che, come Chinua Achebe, appartengono alla tribù degli Igbo, gli sconfitti dalla guerra civile. La storia di questa nazione è stata riscritta non dai vincitori, ma dai vinti. La trilogia che riunisce i primi romanzi di Achebe, Il crollo (1958), Ormai a disagio (1960) e La freccia di Dio (1964), ambientati in un villaggio igbo ai primi del Novecento, rappresenta in modo emblematico la disgregazione della società e della cultura africana sotto il giogo del colonialismo europeo. Le sue sono opere esemplari della letteratura postcoloniale e descrivono il mondo africano attraverso il realismo tipico del romanzo europeo ottocentesco. La scelta del realismo e della chiarezza obbedisce ad un preciso intento pedagogico: l’autore ha dichiarato che i suoi libri ambiscono a restituire agli africani l’orgoglio di un’appartenenza e di un’identità «raccontando in termini umani quello che era accaduto loro, quello che avevano perso». Non è un caso che Il crollo abbia avuto fortuna anche come libro di testo adottato in tantissime scuole africane.
John Maxuell Coetzee
Cootzee è uno scrittore sudafricano di lingua inglese, nato nel 1940, premio Nobel per la letteratura nel 2003. Interessato a rileggere i grandi capolavori del passato da una prospettiva interculturale, nel 1986 pubblica il romanzo Foe (che in inglese significa “nemico”), una riscrittura del Robinson Crusoe di Daniel Defoe in chiave postcoloniale, tramata di una sottile rete di rimandi metaletterari. Il romanzo s’incentra sul rapporto contraddittorio tra Susan, una donna bianca scampata a un naufragio, e Venerdì, un indigeno muto. Susan vorrebbe civilizzare Venerdì, insegnandogli l’alfabeto, ma l’indigeno resta chiuso nel suo silenzio: nessuna comunicazione può stabilirsi tra i loro mondi in conflitto. L’incomunicabilità tra i popoli e tra le generazioni, la questione dell’apartheid, la solitudine e la violenza contro cui è vana ogni difesa: questi sono i temi ricorrenti dei più interessanti libri di Coetzee, come Aspettando i barbari, La vergogna ed Elizabeth Costello.
Nuruddin Farah
Farah (Baidoa 1945), il più grande narratore somalo contemporaneo, è in esilio dal 1976 per aver preso posizione contro il dittatore Siad Barre. Nella sua carriera di romanziere, incoraggiata e sostenuta dal grande Chinua Achebe, Nuruddin Farah ha scelto in prima battuta di usare l’inglese, ma, a partire dal 1973, ha pubblicato anche nella sua lingua madre, il somalo, che prima non era mai stata utilizzato in forma scritta. La sua fama è legata a tre grandi trilogie: Variazioni sul tema di una dittatura africana (composta da Latte agrodolce, Sardine e Chiuditi Sesamo), Sangue al sole (con i romanzi Doni, Segreti e Mappe) e una terza sulla guerra civile, stesa tra il 2004 e il 2011, di cui è possibile leggere in traduzione italiana i primi due libri, Legami e Nodi. Tutte queste opere intrecciano stili e punti di vista diversi e ruotano intorno ad alcuni temi fondamentali: la diaspora e il ritorno, la presenza coloniale italiana in Africa Orientale, le lotte per l’indipendenza, l’emancipazione delle donne nella Somalia postcoloniale, la tormentata situazione politica di una terra sconvolta dalla guerra.
Nadine Gordimer
La Gordimer è una scrittrice sudafricana nata nel 1923 da genitori bianchi di origine ebraica. La sua carriera letteraria si è andata evolvendo in un contesto di forti contrasti etnici e sociali: il primo libro di racconti, Faccia a faccia, esce nel 1949, a un anno dalla istituzionalizzazione dell’apartheid. Da allora l’autrice ha scritto una trentina di opere di narrativa e moltissimi saggi che analizzano le contraddizioni di una società sudafricana in rapida evoluzione. La sua produzione può essere ripartita in tre fasi principali. Alla prima fase, compresa tra il 1953 e il 1963, appartengono romanzi come I giorni della menzogna che si confrontano con i pregiudizi razziali, coniugando l’analisi di psicologie lacerate e tormentate con la rappresentazione della difficile realtà africana; la seconda fase (1966-1981) è segnata dal prevalere dell’impegno politico contro l’apartheid e dalla maggiore complessità della struttura narrativa; infine le opere più recenti, come L’aggancio del 2001 e Sveglia! del 2005, sono frutto della stagione post-apartheid e intrecciano temi privati e questione pubblica. La produzione di Nadine Gordimer, nella sua interezza, traccia quindi una parabola coerente, in cui i singoli libri si presentano come parti di un tutto, come le tessere di un unico compatto macrotesto che riflette sull’identità plurima del Sudafrica.
Cheikh Hamidou Kane
Hamidou Kane (Matam, 1928) è uno scrittore senegalese. Il suo romanzo più celebre, L’avventura ambigua, scritto in francese, è la storia di un ragazzo, Samba Diallo, che, dopo aver frequentato la «scuola dei bianchi», approda in Francia in cerca di un riscatto dalla povertà. Qui però smarrisce la sua identità, sospeso com’è tra «Oriente» e «Occidente», tra fede musulmana e attrazione per la modernità. Il celebre scrittore nigeriano Chinua Achebe ha scritto che L’avventura ambigua è «un grande romanzo africano e insieme una storia tra le più potenti della colonizzazione europea dell’Africa», capace di intrecciare la riflessione su due sistemi di valori in conflitto con «la tragica storia umana di un popolo».
Ngugi wa Thiong’O
Ngugi wa Thiong’O (Kamiriithu,1955) è uno scrittore keniota di fama mondiale, autore di poesie, romanzi, drammi, saggi, libri per bambini sia in inglese sia in kikuyo, la sua lingua madre, alla quale è tornato dopo molti anni nella speranza di fondare una tradizione di letteratura scritta che si rivolgesse direttamente alle masse popolari del Kenya. Il suo tentativo di «decolonizzare l’immaginario» africano, emancipandolo dalla sudditanza nei confronti dell’Occidente, gli è costato la prigione e l’esilio: infatti il regime di Kenyatta, che si era mostrato relativamente tollerante quando Ngugi scriveva in inglese, non ha esitato a punirlo senza pietà quando i suoi libri sono diventati accessibili al popolo. Tutte le sue opere sono animate da una straordinaria spinta di contestazione, di critica, di opposizione. Non solo nei saggi, in buona parte riuniti nel volume Spostare il centro del mondo (Meltemi, 2000), ma anche negli scritti d’invenzione Ngugi porta avanti una battaglia intellettuale contro l’egemonia occidentale e contro lo sfruttamento, il sottosviluppo e la corruzione dilagante in Africa. Il suo romanzo più famoso resta ancora Un chicco di grano del 1967, in cui la complessità dell’architettura narrativa è bilanciata dalla linearità del linguaggio: qui Ngugi ripercorre sessant’anni di storia del Kenia, rievocando con toni epici le lotte indipendentiste dei Mau Mau.
Ben Okri
Ben Okri (1955) è uno scrittore nigeriano che ha scelto di vivere a Londra. Nel 1991 ha vinto il Book Prizer con La via della fame, un romanzo interamente narrato in prima persona da Azaro, un bambino abiku, cioè uno «spirito-bambino-nato-per-morire». Azaro è intrappolato in un ciclo ininterrotto di rinascite, costretto di volta in volta a venire al mondo, generato dalla stessa madre, per rivivere i medesimi avvenimenti e poi morire nuovamente. Quello di Ben Okri è una sorta di «realismo animista» che affonda le radici nel folclore africano e nella concezione animistica dell’universo, per cui ogni forma dell’esistente ha un’anima e un valore spirituale. Così il reale si mescola al fantastico: non solo tra il mondo di vivi e quello degli spiriti c’è un’interferenza continua, ma gli oggetti inanimati, i luoghi e persino gli stati d’animo astratti possono prendere vita e trasformarsi incessantemente. Muta anche il modo di rappresentare il tempo: nel romanzo sono ridotti al minimo i riferimenti cronologici. Il tempo perde la sua consistenza misurabile per assestarsi in un eterno presente, ciclico e iterativo. Così la vicenda dello «spirito-bambino» replica e riepiloga il destino di un’intera nazione, la Nigeria straziata e affamata che, come Azaro, «non ha voglia di nascere e di trasformarsi, non fa che ripetersi».
Wole Soyinka
Wole Soyinka è un autore di drammi, poesie, romanzi, scritti autobiografici e saggi, nato in Nigeria nel 1934. Incarcerato per essersi battuto contro la guerra in Biafra e poi condannato a morte dal dittatore Sani Abacha, vive da tempo negli Stati Uniti. È stato il primo africano a vincere il Premio Nobel per la letteratura. La sua opera è una denuncia delle colpe delle potenze occidentali. Per Soyinka esse sono responsabili di aver «deprivato della sua umanità» il continente africano con il commercio di schiavi, con il dominio coloniale e, infine, con l’attribuzione ai singoli Stati di confini politici artificiali che non coincidono con i reali confini geografici ed etnici. Da qui i problemi dell’Africa contemporanea, che Soyinka mette a fuoco già nel 1965 con il suo primo romanzo Gli interpreti. Ma le sue opere più significative sono quelle per il teatro. Mentre il romanzo è un genere “straniero”, importato dalla letteratura occidentale, per Soyninka il teatro costituisce invece la forma letteraria più consona e autentica, che ha dei precedenti in tutte le culture africane. Di conseguenza i suoi drammi, stesi in inglese, fondono la grande lezione del teatro europeo con il recupero della tradizione orale e rituale del teatro sacro africano. Tra gli esiti più felici della ricerca teatrale di Soyinka si possono ricordare La strada e la riscrittura delle Baccanti di Euripide, la cui ambientazione è trasferita in Africa.
NOTA
Questi profili sono tratti da Scrittori del nuovo millennio: una canone da costruire insieme. Mappa del mondo e Mappa europea, a cura di C. Carmina, Palumbo Editore. Le mappe sono in dotazione ai docenti che adottano i manuali di letteratura italiana della casa editrice Palumbo.
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aggiungo un nome
Poco noto in italia, ma a parere della critica specialistica anglosassone un autore “alto” prestato al poliziesco James H. McCLURE, scrittore e giornalista sudafricano (Johannesburg 1939-Oxford 2006). The song dog, con il titolo Cane che canta, è stato pubblicato da Mondadori.