Alle origini del dopo Montale: “Fuori di casa” e l’abdicazione della poesia
I racconti di Fuori di casa
I racconti di Fuori di casa, pubblicati tra il 1946 e il 1964 e raccolti nel 1969, coprono il lungo silenzio poetico che va dalla Bufera a Satura. Tra queste due raccolte il pensiero di Montale si evolve, e Fuori di casa ben rappresenta questo passaggio, tracciando un personale paradigma delle condizioni dell’intellettuale e dell’uomo nella società di massa. La riflessione che attraversa tutta l’opera troverà in seguito elaborazione in forma poetica in Satura; la trasformazione degli uomini in formiconi e l’isolamento dell’artista, così come sono presentati in Fuori di casa, costituiscono un precedente importante.
Come in Ossi di seppia, anche in Fuori di casa l’io narrante ricerca la propria identità: un’ identità in prima istanza individuale, per poi astrarsi e diventare canto dei tempi e della collettività. Il problema dell’identità si lega a quello del paesaggio che deve essere catturato, rispondendo così anche ad un’esigenza realistica. E nello specifico, nei testi di Fuori di casa il paesaggio con il quale Montale deve misurarsi non è più la Liguria o Firenze, come accadeva in Ossi di Seppia o ne Le occasioni, ma si è allargato, per abbracciare l’Europa, quando non addirittura il Medio Oriente. I racconti, articolati in undici sezioni, ognuna delle quali ha una diversa ambientazione, seguono queste due esigenze collegate, alternando l’elemento descrittivo a un procedere discorsivo, nel quale si trova il filo rosso di tutta l’opera.
Il confronto con altri paesi e culture permette a Montale di delineare la concezione della realtà in cui si trova. L’Italia uscita dall’esperienza del fascismo e della guerra si apre all’Europa e al mondo in seguito ad un profondo mutamento economico-sociale. L’identità faticosamente plasmata, all’altezza di quest’opera rischia di essere disintegrata, appiattita dalla meccanizzazione e dal consumismo dilagante, contro le quali Montale opporrà una stoica resistenza.
Portogallo
Racconti come Portogallo e La casa di Flaubert ben rappresentano la condizione esistenziale presa in esame da Montale. Il primo è l’unico dell’ottava sezione, di seguito a quella d’ambientazione spagnola (L’età d’oro dei quattro gatti, Un festival di musiche e bombe, Non si sa come vivano) e precedente a quella greca (Sulla via sacra, Il carattere dei greci, Un poeta greco). L’occasione del viaggio, che si tenne nel giugno del 1954, fu una conferenza al teatro nazionale di D.Maria II riguardante la «nostra recente letteratura». La narrazione della prima parte del viaggio è presente ne L’incantevole ora dell’aperitivo all’ombra dell’Avenida a Lisbona estromesso dalla raccolta (ora inserito in Prose varie di fantasia e d’invenzione). Entrambi i racconti, che ricollegano alla poesia di Satura, Dopo lunghe ricerche…, sono strettamente legati, tanto che il finale del primo anticipa Portogallo: «ci accomiatiamo dai poeti del Portogallo…Non però dalla musica e dal paesaggio di questa incantevole terra, che meritano ancora qualche parola».
Sono infatti il fado e l’impervio suolo portoghese i protagonisti del racconto, dai quali può prendere il via la riflessione montaliana. Il Portogallo da subito si configura come «uno dei due paesi latini che il Cielo ha meglio preservato dalla volgarità. (L’altro è la Spagna)». Che sia per mancanza di capitale, o per la presenza del cattolicesimo, in Portogallo «sopravvive qualche bene» ormai perso dalle nazioni «poste alla frusta del progresso». Decadenza e regalità si mischiano creando l’ultima riserva di Strapaese dove «la misura delle cose è ancora umana». È il paese di re in esilio, sovrani decaduti, che non trovano più posto nell’attuale società, rappresentando una possibile allusione alla condizione dell’intellettuale. Questa visione emerge anche dal racconto greco Sulla via sacra dove «le apparizioni naturali che si direbbero impossibili altrove e che in realtà si possono vedere dovunque, ma che solo qui assumono il valore di un misterioso richiamo: è nell’allucinante magia del suo paesaggio, povero ma intenso, indigente e sublime». Come anche in quello ambientato a Gerusalemme, città che rimarrà estranea dal progresso meccanico occidentale, in quanto questi stati sono dotati di connotati peculiari che non ne permettono la massificazione. Sono paesi che possono essere amati o odiati, ma che mai ci lasciano indifferenti. L’elemento che unisce Grecia Portogallo e Spagna è il sistema dittatoriale che hanno in comune; si configura pertanto uno scenario simile a quello descritto da Pasolini nell’intervista del 7 febbraio 1974:
Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro in conclusione che un gruppo di criminali al potere, che non ha potuto in realtà, non è riuscito ad incidere, nemmeno a scalfire la realtà dell’Italia… Ora invece succede il contrario il regime è democratico però quella acculturazione, quell’omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente ad ottenere, il potere della società dei consumi riesce ad ottenere perfettamente…
La dittatura è però anche preludio della società di massa, nonché l’espressione dell’ esigenza di razionalizzazione di un mondo caotico. Il passaggio è espresso nella poesia Botta e risposta I , in cui l’io-lirico passa dalle stalle d’Augia al regno del fango dei nati-morti, che già si delinea in Fuori di casa. Capita però che tra le maglie della «rete a strascico» qualcuno si salvi: sono “gli errori del Proto”, coloro che possono tirarsi fuori dalla contingenza odierna.
La casa di Flaubert
La casa di Flaubert ambientato in Normandia fu pubblicato il primo settembre del 1955, ed inserito nella sezione “francese”. Il racconto affronta da una visuale opposta le questioni trattate in Portogallo; se il paese iberico infatti si opponeva agli influssi della modernità, la Normandia si presenta come una regione trasformata all’insegna della mercificazione. Nel percorrere la costa normanna Montale s’imbatte in parcheggi, campi da tennis, recinti per i bambini: in cui una «strana fauna umana» trascorre le vacanze estive. Eppure «Honfleur, Deauville, Trouville, Cabourg sono luoghi che appartenevano all’alta letteratura», «luoghi di lungo soggiorno dove si poteva condurre una vita di clan, rustica e insieme elegante». Una realtà che è scomparsa per fare posto agli estivants, «a un lungo filo di formiche», troppo simili tra loro dove è impossibile vedere «alcuna possibile Albertina che giocasse al diabolo». L’io-narrante però non partecipa con ciò che lo circonda: «Starsene sul crinale a osservare il mondo che pullula, in fila indiana, dall’impervio burrato è uno spettacolo che finora, se non erro, nessun cineasta neorealista ha sfruttato a fondo».
Montale così definisce se stesso come uno scienziato che osserva e studia uomini animalizzati, trasformati in insetti: «nessuna denunzia, dunque, ma un rapporto, lo statement di uno scrittore entomologo». È proprio chi guarda dall’alto, ovvero l’artista, a rimanere vivo e a conservare l’umanità. Nell’ultima parte del racconto Montale visita a Rouen il padiglione dove si trova lo studio di Flaubert. L’esperienza risulta commovente non solo per la vicinanza che si instaura con il grande autore francese, ma anche per «gli echi che dentro queste mura non si sono ancora spenti» del gruppo intellettuale che esse ospitavano. Al tempo stesso però lo studio è un museo, in cui si espongono sotto vetro reperti di un epoca archeologica ormai scomparsa nella quale gli intellettuali, i vivi, potevano incontrarsi.
Uomo, società, identità
L’alta riflessione sull’uomo e la società ha quindi come fine ultimo il delineamento dell’ identità stessa di Montale. Fin dagli Ossi di seppia l’autore non mise mai in discussione lo status di poeta al quale apparteneva, anche quando questo viene declinato in forma negativa (Non chiederci la parola). Dopo La bufera però sono l’isolamento, la resistenza snob, a diventare le caratteristiche di chi vuole tenersi fuori dai giochi senza rinunciare alla poesia. Montale inizia a configurarsi come quel «moralista senza morale», nichilista che non rinuncia mai a vivere anche se in un mondo degradato. L’unico dialogo e senso di appartenenza si può avere con i morti, o con altri vivi che sono destinati a non incontrarsi mai veramente, perché il loro tempo e il loro spazio non esistono più. L’intellettuale, e più specificatamente il poeta, è un isolato, scisso dal paesaggio che lo circonda sul quale non può più intervenire. Come l’eclettico personaggio di Portogallo, l’artista è colui che, malato d’assenza, vive in un «torpore di sonnambulo». Montale delinea così il modello di intellettuale egemone negli anni a seguire che chiuso nella sua torre d’avorio non perde però la curiosità e la necessità di guardare “fuori”.
C’è quindi in tutto Fuori di casa la ricerca da parte di Montale di trovare quei luoghi o quegli oggetti o artisti in cui qualcosa regge in un mondo che sta annegando nel fango. Alle soglie della rottura del silenzio, che avviene nel 1971 con la pubblicazione di Satura, Fuori di casa rappresenta uno dei contributi più alti di resistenza di un intellettuale che non porta «la penitenza a un estremo gusto di evanescenze e di dilettazioni amorose», e che con «orgoglio e temperamento» sta «attento a tutto» nel tentativo di resistere.
Fuori di casa e la Bufera
Fuori di casa analizzata nel complesso dell’opera montaliana si muove in continuità con la Bufera. Questa raccolta infatti segna l’ abbondono della forma poetica ritenuta impossibile nella società di massa e inadatta a produrre nuclei di senso. Questa abdicazione è riscontrabile soprattutto in Conclusione provvisorie, sezione che con il dittico Piccolo testamento e Il sogno del prigioniero chiude il terzo libro montaliano. L’esposizione drammatica di queste due liriche non esprime soltanto la misera condizione dell’intellettuale-oca che non sa se sarà «farcitore o farcito», ma anche la «messa in discussione estrema della modalità retorica e comunicativa della poesia in sé». La strada indicata non è «un portafortuna che può reggere all’urto dei monsoni», ma una forma che vive «nella cenere». La scelta è determinata anche da un’insussistenza «dal punto di vista gnoseologico»: la poesia in quanto impossibile non è in grado di porsi come strumento per soddisfare il bisogno di senso. Sotto quest’ultimo punto anche la pubblicazione di Satura nel 1971 non può costituire un vero e proprio ritorno alla poesia, dal momento che se si analizza l’opera nel suo complesso e con particolare attenzione al punto di vista stilistico e lessicale, si nota che essa si distanzia radicalmente dalle altre raccolte poetiche, abbassandosi a una dimensione orizzontale e prosastica. L’opera andrebbe così interpretata, sulla scorta di Fortini, in «chiave narrativa e non come una raccolta di liriche». Il tentativo di creare un romanzo in versi era già stato tentato con Ossi di seppia: in Satura però il simbolismo giovanile è ormai alle spalle, soppiantato da quell’allegorismo, che già nelle Occasioni e poi ne La bufera aveva trovato una sua più piena, e alta, espressione: sicché tra il primo Montale quello dei primi tre libri, e il secondo Montale, nato proprio con Satura si apre uno iato a tutti gli effetti incolmabile. Uno iato però che se non può essere colmato, può comunque essere attraversato da un’opera capace di traghettare tra una prima e una seconda e ultima stagione: quest’opera è appunto Fuori di casa. Lo stile prosastico e l’alternanza tra narrazione e momento riflessivo avvicinano la raccolta ai racconti alla quarta silloge poetica montaliana, indicando così nella prosa l’unica forma di espressione confacente al poeta. In tutte e due le opere «il mondo storico» presente nella Bufera, ritorna più marcatamente con soluzioni diverse, creando rapporti sempre più stretti con ciò che lo circonda. L’aderenza al reale però non corrisponde a una vicinanza tra l’io e il mondo, che si sente comunque estraneo all’hic et nunc. Il tono distaccato, di elegante noncuranza che Montale assume a partire da Fuori di casa, è ormai un tratto che un intellettuale come lui non può non possedere: di chi ha raggiunto un alto riconoscimento sociale e pertanto si differenzia dalla massa. Satura trova in Fuori di casa non solo la sua fucina, ma proprio un momento attiguo, testimoniato anche da una convergenza di date: le prime poesie composte per Satura sono del 1961, mentre tre anni dopo uscirà l’ultimo racconto sul «Corriere della sera».
Se quindi Satura realizza l’abbandono della poesia, allo stesso tempo si offre, paradossalmente, come unica via per salvare un minimo di liricità possibile. La poesia può essere salvata solo a costo di sacrifici, solo se viene camuffata, se assume una forma prosastica e “degradata”, che è manifestazione da una parte della messa al bando di questa nella società dei massa e dall’altra tentativo di resistenza. Il poeta ottiene così parole che «hanno una forma di sopravvivenza/ che non interessa la storia,/ una presenza scaltra, un’asfissia che non è/ solo dolore e penitenza». In un luogo «tra la galera e l’esilio», «dove l’inerme/ lubrifica le sue armi/ poche ma durature», essa conserva dignità, salva «dall’infamia». Sopravvivere vuol dire anche compromettersi con il mondo, introdurre le scorie della quotidianità, tentando così di comunicare anche a costo di rinunciare al grande stile poetico. Questo mutamento è parallelo all’adesione, per quanto breve, di Montale al Partito d’azione che coincide con i primi racconti di Fuori di casa, e con parte delle poesie della Bufera. L’impegno politico di Montale segna anche un impegno come intellettuale nel difendere la propria opera e il suo statuto.
Fuori di casa è un’opera poco studiata dalla critica: rileggerla oggi permette di delineare meglio l’ultimo periodo dell’opera montaliana. Montale lascia un messaggio e un modello utile oggigiorno, in cui la poesia sembra non trovare spazio. Uno spazio che si deve ricostruire e nel quale Montale può rivendicare la propria attualità per l’alta rappresentanza che ha dimostrato con la sua poesia e nel difenderne l’utilità: insomma potrebbe sembrare singolare, proprio partendo da un’opera minore, ma con lo sguardo sempre fisso a i capolavori indiscussi degli Ossi, de Le occasioni, e della Bufera, Montale può essere sottratto a quell’immagine di “classico inattuale” denunciata recentemente da Luperini, per costituirsi invece quale un interlocutore, privilegiato oltretutto, dei tempi odierni.
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