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Manzoni storico e politico. Intervista a Luca Badini Confalonieri

 

Intervista di Maria Grazia Rabiolo a Luca Badini Confalonieri, Radiotelevisione della Svizzera Italiana, Retedue, “Il punto”, 14 maggio 2013

MGR: Luca Badini Confalonieri ha appena pubblicato, nei “Classici Italiani” della Utet, due volumi che raccolgono gli Scritti storici e politici di Manzoni. Che cosa raccolgono, intanto, questi volumi?

LBC: Guardi, per farla breve, si è dato il titolo Scritti storici e politici. In realtà, a essere più precisi, si sarebbe dovuto scrivere Scritti storici, politici, giuridici ed economici. Ci sono le grandi opere storiche (il Discorso sulla storia longobardica, la Storia della colonna infame, il saggio sulla Rivoluzione francese, il Dell’indipendenza dell’Italia) ma anche frammenti, lettere e postille che hanno accompagnato tali opere o hanno aperto ulteriori campi d’indagine storica; ci sono frammenti e lettere che testimoniano delle prese di posizione politiche; c’è un testo giuridico, come la lettera-trattato a Girolamo Boccardo su un problema allora non ancora ben tutelato come quello della propretà letteraria; ci sono frammenti, abbozzi e anche duecento pagine di postille di interesse economico, dove Manzoni annota e critica i nostri economisti del secondo Settecento e del primo Ottocento ma anche Garnier, Ganilh, Sismondi, Jean-Baptiste Say.

MGR: Quale Manzoni emerge da queste pagine? Quando pensiamo a Manzoni, infatti, pensiamo prevalentemente all’autore dei Promessi Sposi; però c’è molto altro, sia sul fronte letterario, sia su quello del suo lavoro di uomo di cultura a tutto campo.

LBC: Senz’altro. Ma prima di risponderle, vorrei aggiungere una piccola cosa alla presentazione generale che ho fatto del contenuto dei volumi, ed è questa: gli ambiti che ho enunciato si mescolano spesso. Per esempio, l’interesse giuridico non è solo nell’unico scritto esplicitamente ad esso dedicato, la Lettera al Boccardo di cui dicevo, ma si trova, come sappiamo, nella Storia della Colonna Infame, che è poi la storia di un processo. Anche nel Discorso sui Longobardi ci sono pagine bellissime di contenuto giuridico, in cui tra l’altro appare evidente la lucida coscienza manzoniana di quello che Kelsen chiamava “la struttura a gradi dell’ordinamento giuridico” (per chi son fatte le leggi? qual è la legge di riferimento? quali sono le leggi particolari?). C’è una postilla a Beccaria sull’impunità. C’è un frammento sull’utilità delle pene. In altre parole, i quattro interessi da me prima enunciati si incontrano nel volume più ampiamente e in maniera più pervasiva di quello che si potrebbe pensare a una prima statica divisione in settori.

Ma, per riprendere quello che lei diceva, se dovessi riassumere in poche parole qual è il Manzoni che emerge da queste pagine, parlerei di un Manzoni profondamente interessato alla dimensione sociale dell’uomo. E poi anche un Manzoni maestro di metodo, e, direi, un Manzoni anticonformista. C’è intanto un interesse reale, costante, per nulla dilettantesco alla storia, da quella antica alla contemporanea, ai problemi politici del presente, allo studio delle istituzioni giuridiche che devono tutelare la dimensione sociale dell’uomo, e anche allo studio approfondito di questa nuova scienza sette-ottocentesca che è l’economia politica.

C’è una grande vastità di interessi. Pensi alle specializzazioni dei nostri storici odierni. Manzoni, con le sue opere storiche maggiori, ma anche con le sue postille di lettura, spazia dalla storia antica (ci sono molte postille di storia romana: a Rollin, a Crévier; Manzoni l’aveva approfondita anche in vista della tragedia Spartaco sulla rivolta degli schiavi) alla storia medievale (direi soprattutto altomedievale, e cioè la storia longobardica, ma c’è anche un’attenzione al dibattito storiografico che va da Machiavelli, a Muratori, a Giannone, a Denina) alla storia del Seicento (che è il secolo degli untori della peste milanese, certo, ma ci sono anche postille al Siècle de Louis XIV di Voltaire) e a quella che, infine, è per lui la storia contemporanea, cioè quella della Rivoluzione Francese e poi del Risorgimento…

MGR: Questo significa che c’è un’attenzione particolare all’evolversi dei tempi…

LBC: Senz’altro. C’è poi, dicevo, il maestro di metodo, perché Manzoni unisce, in tutti questi testi, un’attenzione grandissima al dettaglio, ai documenti – quella che lui, parlando di Muratori, chiamava la filologia – a quello che, parlando di Vico, definiva filosofia, cioè una capacità astrattiva e generalizzante, mai però generica… Ecco, questo è un atteggiamento metodologico che gli fa dire spesso: “Ho cercato di impostare la questione nei suoi giusti termini, ad altri poi di continuare la ricerca…”. Infine, o insieme, un Manzoni anticonformista.

Nella mia introduzione, ho insistito su due caratteristiche di quello che chiamo “il metodo manzoniano” e le ho riassunte in due verbi: “disaggregare” e “scegliere responsabilmente”. Cosa vuol dire “disaggregare”? Vuol dire rompere delle unità fattizie, artificiali, e questo per Manzoni vuol dire non credere passivamente agli ipse dixit, ma anche scindere delle cose che sono state tenute a torto insieme, come per esempio religione e “articoli di fede politica”. C’è una bella lettera al Tosi, degli anni Venti, in cui, contro un certo cattolicesimo reazionario, Manzoni dichiara: “Un conto è credere al Simbolo, un altro è accettare degli articoli di fede politica, che qualcuno vi ha attaccato, e che non ho alcuna intenzione di accettare”. Questo lo porta, per esempio, a essere molto critico riguardo al potere temporale dei papi, allontanandosi in questo senza paura dalle posizioni ufficiali della Chiesa (nel Sillabo si dirà esplicitamente che era un errore ritenere che la Chiesa potesse fare a meno del potere temporale: e infatti ne ha poi dovuto fare a meno…). Manzoni su queste cose ha una posizione che è tipica della tradizione ghibellina, da Machiavelli in poi. È d’accordo con Machiavelli nel ritenere il potere temporale dei papi un ostacolo all’unificazione d’Italia. Eppure, nella fattispecie del problema longobardico, dice: “Quando il papa ha chiamato Carlo Magno contro Desiderio ha fatto bene, in quel caso”. E aggiunge: “se io dico che in quel caso han fatto bene, non vuol dire che sempre i papi abbiano fatto bene nella storia d’Italia”. Ecco il tipico procedere manzoniano: distinguere, disaggregare. La ragione, in questo caso, del giudizio positivo? L’arrivo dei Franchi ha portato un reale miglioramento nelle condizioni di vita della popolazione latina. La ragione di un giudizio su un’azione storica non può che basarsi sui risultati di tale azione sul maggior numero di persone, in quel preciso luogo e momento.

MGR: La vera molla che fa scattare questo modo di vedere e di operare di Manzoni è la ricerca della verità. La capacità di scegliere, di saper scegliere. E si tratta sempre di una scelta morale quella che l’uomo deve fare, indipendentemente dal ruolo sociale che ha, se dico bene.

LBC: Sì, la ringrazio molto, perché lei tocca un problema centrale. Vede, su un autore come Manzoni tanto è stato detto e scritto, e ultimamente (negli ultimi cinquant’anni!) si tende a parlare con gran gusto del Manzoni pessimista. Manzoni ha certo un’acuta coscienza del male, di quella che, proprio all’inizio degli anni Sessanta, Bàrberi Squarotti chiamava “la natura caduta”. Basta leggere La Colonna Infame per vedere che non tutto è rose e fiori…, però direi che quest’interesse che Manzoni ha per la realtà, per la verità, deve farci riflettere. Sappiamo che molti scrittori hanno un rapporto conflittuale con la realtà, tendono ad allontanarsene per andare verso l’illusione, l’invenzione, un altro mondo, la memoria, l’utopia… e così anche molti critici letterari… Capita insomma sovente che molti amanti della letteratura non amino molto la storia.

Ecco, dietro l’interesse, così marcato, del nostro autore verso la verità, la realtà, la storia c’è quello che definirei, un po’ scandalisticamente, l’“ottimismo” manzoniano. Manzoni pensa che la verità esista, che si voglia rivelare a noi, che sia positiva e che noi abbiamo bisogno della verità. Nel suo dialogo filosofico Dell’invenzione diceva che “la verità insidet”, sta lì, acquattata, pronta a saltar fuori, ci appella, e parlava così delle “care insidie della verità”… Accanto a questo, come lei diceva, c’è l’importanza della scelta morale, cioè Manzoni insiste sul fatto che è sempre possibile per noi il libero arbitrio, la scelta del bene. Non che non sia faticosa, naturalmente, ma è possibile, e il fatto che sia possibile è ancora una cosa positiva e incoraggiante, nel senso che noi non siamo, come si legge nella Colonna Infame, obbligati al male come in un sogno perverso e affannoso. Se con l’istituzione della tortura i giudici del Seicento non potevano che condannare degli innocenti, ci dice Manzoni, allora vorrebbe dire che gli uomini sono costretti da una situazione storica determinata a fare il male, senza che abbiano la possibilità di tirarsene fuori.

MGR: Manzoni è stato ammirato da moltissimi e, tra gli altri, da Leonardo Sciascia, che di Manzoni amava proprio la capacità di ricordare a tutti noi le nostre responsabilità individuali.

LBC: Guardi, lei ha citato Sciascia, a me viene in mente Calvino, l’ultima pagina delle Città invisibili, dove si parla dell’inferno, che è qualcosa che formiamo qui, nel nostro stare insieme. Calvino dice che bisogna “cercare, saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Ecco, Manzoni ci stimola a esercitare la nostra libertà nella scelta responsabile del bene, che naturalmente è una scelta che esige, come scriveva Calvino, “attenzione e apprendimento continui”, che domanda uno sforzo della nostra mente e anche, direbbe Manzoni, una lotta con le nostre passioni, che offuscano la visione della verità e del bene. 

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