Sillabario. Per un manifesto sulla Scuola Bene Comune (versione 1.0)
Presentazione
Con il Sillabario TQ dice la sua sulla scuola: ciò che la scuola è nel presente, nel bene e nel male, e ciò che vuole essere, centro di elaborazione di idee per il futuro; è implicito riconoscimento di bisogni, ma anche proposta di un rinnovamento la cui urgenza emerge in modo drammatico nell’Italia di oggi. Non si presenta come un testo chiuso: è piuttosto un insieme eterogeneo di contributi che si sono stratificati nel corso di più di un anno di discussione e di rielaborazione condivisa profondamente fra i membri di TQ, tutti legati in modo diretto o indiretto al mondo dell’educazione. Ne è scaturito un documento aperto e politico: aperto, perché concepito per essere ampliato ed aggiornato nell’ambito di un confronto con altri esponenti del mondo della scuola e della cultura; politico perché la scuola è bene di tutti, e a tutti è rivolto, quelli che a scuola vanno ad imparare e quelli che vanno ad insegnare -o vorrebbero farlo.
Le voci del Sillabario spaziano da “Autonomia” a“TFA”, affrontando temi quali l’educazione al pensiero critico, la costruzione di una relazione educativa lontana da dogmatismi e schemi autoritari, il percorso formativo degli insegnanti, costellato da quiz e corsi di dubbia efficacia. Ne emerge un ritratto della scuola che si vorrebbe: aperta al confronto e alla comprensione non omologante della diversità, in grado di comprendere l’evoluzione degli stili cognitivi, capace di educare cittadini che partecipino in modo propositivo alla vita sociale.
Nella consapevolezza che l’analisi di una struttura così complessa e magmatica come la scuola non sia esauribile nelle voci proposte, che il continuo aggiornamento della normativa può rendere alcune parti del Sillabario obsolete, e, infine, che la pluralità dei soggetti che lo hanno elaborato possa non rappresentare tutte le voci della scuola, TQ chiede ai lettori di intervenire attivamente contribuendo alla stesura del (futuro) Sillabario 2.0.
Lidia Massari Generazione TQ
Autonomia
Le riforme scolastiche succedutesi in Italia negli ultimi anni, a partire da quella della cosiddetta «autonomia» varata dal ministro Berlinguer nel 2000, hanno avviato un processo di privatizzazione della scuola pubblica in obbedienza alle direttive impartite da organizzazioni internazionali come l’OCSE e l’ERT. La riduzione dell’istruzione a una merce, venduta in scuole-aziende in concorrenza tra loro, rientra a pieno titolo in quella tendenza generale del mondo contemporaneo che già all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso Jürgen Habermas definiva la «colonizzazione» in atto dei «mondi della vita» da parte del «sistema» economico-amministrativo. Ovvero la trasformazione dei valori vitali, tra cui rientra l’educazione delle nuove generazioni, in puri scambi commerciali e burocratici. Difendere l’autonomia della scuola significa allora sottrarla al dominio del mercato e ricollocarla in quello «spazio protetto» che naturalmente le compete in quanto bene pubblico.
Bene comune
La scuola pubblica è un bene comune e come tale deve essere tutelato. Produce beni immateriali preziosi per la società intera, per la sua coesione, per la sua crescita culturale e il suo sviluppo economico, primo fra tutti il sapere critico, cruciale per la formazione della cittadinanza e l’articolazione a tutti i livelli della democrazia. In anni di dittatura dell’ignoranza e del razzismo diffuso, con tutte le sue debolezze e mancanze la scuola pubblica ha continuato a svolgere questa sua funzione vitale. Oggi è il momento di affermare con forza che le tre «i» della scuola berlusconiana (inglese, impresa, internet), suffragate dal binomio Moratti-Gelmini, ancorché completamente disattese rappresentano una finta rivoluzione modernizzatrice. Modernità non significa formare tecnici addestrati a soddisfare le richieste del potere economico. Affinché la scuola pubblica sia un Bene comune, gli organi decisionali vanno aperti a tutte le componenti del mondo scolastico (compresi gli studenti e i loro genitori), respingendo gli stravolgimenti proposti dal DDL 993 Aprea-Ghizzoni (trasformazione dei Consigli di Istituto in Consigli dell’autonomia, ovvero consigli di amministrazione, con l’ingresso degli sponsor privati; abolizione degli organi di democrazia interna, con la sottomissione del Collegio dei docenti, ribattezzato Consiglio dei Docenti, in Consiglio dell’autonomia; aumento dei poteri del Dirigente scolastico). In quanto Bene comune la scuola pubblica deve poter contare su congrui finanziamenti da parte dello Stato, ridotti in questi ultimi anni, oltre che a causa dei tagli, anche a causa della contestuale elargizione di denaro pubblico alle scuole private paritarie. Perciò aderiamo alla campagna referendaria avviata a Bologna per abolire questo tipo di finanziamenti (http://referendum.articolo33.org/).
Comunità
Bisogna pensare alla scuola come spazio non segregato ma incluso nella città, come casa comune dei cittadini di oggi e domani, fulcro della formazione di giovani e adulti (corsi di italiano per stranieri, corsi di lingue, arti applicate, ecc.), luogo di integrazione e socializzazione. La scuola deve essere capace, al di fuori degli orari curricolari, di dare spazio alle istanze delle fasce più disagiate, attraverso forze innovative che emergano dal territorio. Le biblioteche scolastiche, un patrimonio ricchissimo ma sconosciuto a molti, potrebbero trasformarsi da luoghi chiusi e di difficile accesso (quando non del tutto inagibili per mancanza di spazi adeguati o di personale) a luoghi aperti alla città, enti capaci di interagire virtuosamente con le altre biblioteche presenti sul territorio e di promuovere progetti di lettura per adolescenti e giovani adulti.
Ecologia
Il rapporto con la natura dovrebbe costituire materia prioritaria di studio. La vita scolastica dovrebbe svolgersi nel rispetto di pratiche quotidiane virtuose, come le modalità di smaltimento differenziato dei rifiuti, la gestione virtuosa delle mense scolastiche, il risparmio energetico, l’organizzazione di piccole serre, la conoscenza del territorio quale habitat per l’uomo. Le scelte architettoniche e dei materiali costruttivi destinati agli edifici scolastici potrebbero ispirarsi alla filosofia delle scuole steineriane.
Educazione
(vedi anche RELAZIONE) La scuola odierna rischia di mancare il ricambio generazionale di «principi, comportamenti e conoscenze» di cui la gioventù di ogni epoca si fa portatrice, se non resta fedele al senso recondito del suo operare, contenuto nella radice etimologica della parola educazione, che, come noto, viene dal latino educere e significa «tirar fuori». L’educazione è primariamente un processo in divenire. L’idea e le pratiche di una scuola-museo devono lasciar spazio a quelle di una scuola-laboratorio, in grado di affinare capacità di giudizio, confronto, sperimentazione. Compito del docente è quello di porre quesiti e guidare il discente a trovare autonomamente le risposte, ricreando esperienze di vita tratte dal mondo esterno per poter presentare contesti e situazioni, aiutando così il discente ad esercitare e sviluppare le proprie capacità di giudizio ed interpretazione del reale. La conoscenza e il rispetto dei propri diritti e doveri, che costituiscono i presupposti per una convivenza civile nella società, spingono i ragazzi a esercitare i propri diritti in piena autonomia, stimolandoli sui propri doveri di cittadini. Le azioni educative non dovrebbero essere volte soltanto ad affinare le abilità cognitive dei ragazzi, ma dovrebbero occuparsi anche della loro sfera emotiva, sviluppando la capacità di dialogo tra l’intrapsichico (il mondo interno) e l’interpersonale (il sistema relazionale), attraverso l’utilizzo integrato di diversi linguaggi. L’educazione dovrebbe essere attuata attraverso pratiche che promuovano «un’intelligenza generale capace di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale» (Edgar Morin (1)).
Fisicità
L’obiettivo primario dell’educazione resta imparare a convivere pacificamente condividendo risorse e spazi. L’educazione al sentire dovrebbe essere collegamento indispensabile tra la sfera intrapsichica del minore e la sfera interpersonale affinando le capacità relazionali. Il corpo, sempre più mortificato entro l’esiguo spazio di aule sovraffollate e costipato tra i banchi, dimenticato per ore davanti ai mezzi telematici e a una sempre più invadente realtà virtuale, sembra essere sempre più sconnesso dal mondo emotivo del ragazzo. Le questioni del corpo degli studenti vanno poste al centro della didattica interdisciplinare.
Flipped classroom
(vedi anche SCUOLA 2.0) L’insegnamento ribaltato (flipped classroom), metodo introdotto nel 2004 da Jonathan Bergmann e Aaron Sams alla Woodland Park High School del Colorado, è fondato sulla trasformazione della didattica tradizionale top-down (dall’alto al basso) in una didattica bottom-up (dal basso in alto), euristica, sostituendo il binomio tradizionale «lezione frontale in classe + studio individuale a casa» con lezioni video, e altri materiali didattici preparati dall’insegnante, da consultare a casa e lavoro attivo in classe. In Italia è oggetto di pionieristiche sperimentazioni, di cui si può trovare traccia nel sito dell’Associazione dei Docenti Italiani (ADI): http://www.adirisorse.it/groups/progetti-in-corso/gruppo-di-discussione-su-flipped-classroom/ Per non lasciare questa sperimentazione, come di consueto, alla esclusiva buona volontà del corpo docente ma per svilupparla al pari dei Paesi più avanzati, sono necessari investimenti da parte dello Stato, che solo in questo modo potrà incentivare l’assunzione delle nuove tecnologie digitali quali strumenti indispensabili per una didattica effettualmente nuova.
Formazione
Con il termine «formazione» oggi ci si riferisce soprattutto alle nuove forze professionali che potrebbero entrare in campo nei prossimi mesi/anni (lo si auspica) all’interno del corpo docente. Formazione e aggiornamento sono dunque due componenti contigue, alle quali i professori devono dedicare una particolare applicazione, trovandosi di fronte una realtà quotidiana che consegna loro aule con studenti cosiddetti «nativi digitali» o quasi, abili e condizionati (e condizionabili) nell’utilizzo di nuove tecnologie e sistemi di comunicazione. Non si può più entrare in una classe senza conoscere le modalità e le potenzialità di un social-network, per fare un esempio; e anche per questo l’interazione, su basi diverse rispetto al passato più o meno recente, diviene sempre più necessaria. In più, non si può trascurare che nelle nostre scuole il binomio lettura-scrittura divenga ogni giorno un problema da affrontare con massima urgenza. Il livello di alfabetizzazione nelle scuole italiane va progressivamente e pericolosamente diminuendo. Formazione dunque vuol dire anche proporre iniziative che favoriscano la lettura (anche dei quotidiani, cartacei e on-line) e la scrittura in classe, attraverso lezioni frontali e laboratori, per recuperare la strada perduta in questi anni. È inoltre auspicabile istituire la presenza di figure distinte dai docenti e dotate di specifiche competenze psico-pedagogiche, in grado di favorire il confronto e il dialogo nelle relazioni tra docenti e discenti.
Handicap
La scuola deve essere inclusiva, garantendo a tutti, soprattutto a chi parte da una situazione di svantaggio, le opportunità per crescere. I tagli voluti dalla cosiddetta «riforma Gelmini» (2) investono in modo determinante i fondi per il sostegno e comportano l’assegnazione del sostegno a insegnanti non idonei. Ridurre le ore di insegnamento personalizzato o inserire più di un alunno problematico in classi numerose significa, di fatto, escludere lo studente svantaggiato da un’integrazione reale o da un eventuale inserimento nel mondo del lavoro, impedendo per altro lo svolgimento di una didattica veramente integrata. Inoltre, il patto di stabilità imposto ai Comuni ha obbligato questi ultimi a ridimensionare il numero di addetti all’assistenza di studenti incapaci di provvedere da soli ad alimentarsi o all’igiene personale, tanto che spesso i genitori o i parenti sono costretti a provvedere personalmente alle esigenze dei loro ragazzi anche in orario scolastico.
Investimenti
Basta tagli. Senza investimenti nella formazione delle nuove generazioni non esiste futuro per il paese. Occorre tornare a destinare ingenti investimenti alla scuola, necessari per finanziare adeguatamente il personale, la formazione, l’edilizia, le attrezzature. È necessario un confronto con le politiche sulla scuola messe in atto da altri Paesi europei negli ultimi anni (es. la Germania e i Paesi scandinavi).
Life long learning
La scuola è il luogo di un’educazione permanente finalizzata alla crescita culturale dei cittadini. Appare necessario rimodulare il significato di formazione permanente sottraendolo all’accezione di perenne aggiornamento funzionale ad una flessibilità che altro non è che sinonimo di precarietà: al contrario, la formazione permanente va intesa come affinamento delle proprie competenze professionali con la finalità di definire in modo sempre più netto il proprio ruolo e l’immagine di sé all’interno della società. A tal fine, in un’ottica di sviluppo e innovazione, le aziende dovrebbero almeno parzialmente contribuire al finanziamento dei programmi di riqualificazione professionale dei lavoratori licenziati.
Meritocrazia
La definizione delle modalità di formazione, selezione e valutazione dei docenti non può prescindere dal riconoscimento e dalla valorizzazione del merito. Oltre a una solida e comprovata formazione accademica nella disciplina di competenza, ogni insegnante dovrebbe essere opportunamente formato e selezionato anche sulla base delle proprie capacità di trasmissione di conoscenze e competenze. Il reclutamento dovrebbe avvenire valorizzando la preparazione specifica, l’esperienza pregressa, accumulata anche con un inquadramento precario, e l’abilità comunicativa – linguistica e psicologica – del docente. Attualmente invece il Concorso Nazionale pensato dal MIUR non riconosce alcun credito al servizio prestato e accerta le competenze solo dopo un test preselettivo che non verifica la padronanza della lingua italiana. L’insegnamento dovrebbe essere accompagnato da un opportuno inquadramento contrattuale, in grado di assicurare ai docenti adeguato compenso per le mansioni svolte, ai discenti continuità didattica. La partecipazione ad attività di aggiornamento e di approfondimento non dovrebbe essere abbandonata all’iniziativa e alla motivazione dei singoli docenti, bensì inquadrata in un processo di formazione continuo, in stretta collaborazione con le facoltà universitarie, e opportunamente valutata ai fini delle progressioni di carriera.
Ora di religioni
Contestiamo il ruolo dell’insegnante di religione, nel momento in cui il suo insegnamento si limita a una sola religione e viene scelto dalla Curia, come accade oggi. Questa è una faccenda grave, denunciata da più parti e da diversi punti di vista. In questi ultimi anni sempre più studenti decidono di rinunciare all’ora di religione, perché in molti casi si tratta di uno spazio di tempo utilizzato per diffondere i dettami di quella cattolica, come da sempre richiesto dallo Stato Vaticano. Ma la Chiesa cattolica ha già l’opportunità di divulgare il proprio credo nelle scuole private, mentre la scuola pubblica deve poter garantire la pluralità delle fedi religiose, come afferma la Costituzione (art. 8). Per questo è arrivato il momento di un passaggio fondamentale, quello dall’ora di religione all’ora di religioni, prendendo spunto da corsi e seminari universitari attivi già da decenni e contenuti nella disciplina «Storia delle religioni», passando a un diverso tipo di reclutamento del corpo docente in materia, ovvero reclutando nuovi docenti adatti all’insegnamento di questa materia dall’immenso bacino di cui le università italiane dispongono. Si tratta di un passaggio divenuto ormai non più rinviabile, ma esiziale per favorire l’incontro di diverse culture tra studenti provenienti da diversi percorsi esistenziali, come sottolineato anche dal Ministro dell’Istruzione Profumo. Lo studio della Storia delle religioni deve diventare un pilastro della scuola pubblica di questo secolo, in un Paese come il nostro che deve lavorare sul concetto di interculturalità come occasione di arricchimento comune, e non come minaccia da cui difendersi.
Quaderno
Molte voci si sono recentemente levate (2) contro le imposizioni, dall’apparenza talora arbitraria (4), di compiti da svolgere a casa che, per quantità e qualità richiedono agli studenti un impegno tale da tenerli occupati per pomeriggi interi, se non per tutta la durata delle vacanze. La questione viene per lo più demagogicamente liquidata con l’esortazione «aboliamo i compiti». I compiti, tuttavia, sono uno degli strumenti di crescita degli studenti, sin dagli anni dell’infanzia. Sono lo spazio in cui l’impegno individuale mette alla prova la capacità di concentrarsi e di organizzare in modi progressivamente sempre più autonomi i saperi acquisiti, e trovando campi di applicazione nuovi in modo consapevole e creativo. Il compito a casa non deve essere l’ottusa ripetizione mnemonica di contenuti, ma palestra del Sé, momento separato ma contiguo agli spazi di condivisione e confronto. Il compito svolto individualmente non è e non può essere considerato alternativo al modello della peer-to-peer education, ma suo naturale completamento. La delegittimazione del «compito per casa» trova un facile argomento nel fatto che l’uso di Internet ne vanificherebbe la valenza formativa. È evidente che la possibilità di scaricare informazioni o compiti già svolti (vedi, per esempio, le versioni di latino) viene ampiamente sfruttata dagli studenti, tanto più se i docenti non hanno voglia o non sono in grado di ricostruire a ritroso il percorso dal compito copiato alla fonte. La rete può, invece, diventare un risorsa straordinaria nel momento in cui venga utilizzata come strumento per sviluppare la capacità di istituire confronti e di trovare differenze, magari utilizzando tecniche di didattica partecipativa.
Relazione
Focalizzare l’attenzione sulle modalità relazionali all’interno del sistema scolastico è estremamente utile se si pensa anche all’importanza che svolgono nello sviluppo del soggetto i legami di attaccamento. Diverse ricerche nell’ambito della scuola materna sottolineano l’importanza di una relazione di attaccamento sicura fra insegnante e bambino nel percorso di crescita personale di quest’ultimo. Esistono infatti numerose correlazioni tra atteggiamenti e comportamenti degli educatori e la funzione che l’educazione assolve in un determinato sistema sociale. Da diversi studi emerge uno stereotipo di insegnante con peculiari caratteristiche: rigidità, ideologia pedagogica autoritaria e poca creatività nel lavoro. Spesso il docente, in bilico fra il conformarsi e il non conformarsi, non sa come comportarsi. Ecco che allora abdica alle sue volontà divenendo un prodotto di serie, un replicante del sistema. L’atteggiamento autoritario degli insegnanti diventa allora funzionale al mantenimento del sistema sociale dominante. Il cambiamento sta quindi nel riuscire a superare i rigidi confini assegnati al proprio ruolo dai modelli sociali e culturali, e nel cercare modalità interattive genuinamente non autoritarie. La direzione di intervento potrebbe essere allora quella del passaggio da un’obbedienza eteronoma a un’obbedienza autonoma che si basi sulla rivalutazione di sé. I codici di relazione disfunzionale esaminati sono dunque frutto di modalità distorte di insegnamento, che nascono spesso dall’inconsapevolezza di chi li mette in atto e dalla coercizione a ripetere senza riflettere seriamente sul proprio agito. Una scuola che voglia porsi per i suoi studenti come un’area di sviluppo creativo deve necessariamente tenere conto dell’aspetto relazionale, e riflettere su di esso.
Scuola 2.0
(vedi anche FLIPPED CLASSROOM) Il progetto «Cl@ssi> 2.0-Scuola digitale» è partito nell’a.s. 2009-2010 nella scuola secondaria di primo grado e si è esteso dall’anno successivo alla primaria e alla secondaria di secondo grado. L’obiettivo è quello di promuovere «un progetto per la sperimentazione di metodologie didattiche avanzate […] Alunni e docenti possono disporre di dispositivi tecnologici e device multimediali e le aule vengono progressivamente dotate di apparati per la connessione ad Internet» (5). Nel corso dell’ultimo biennio gli uffici regionali hanno sviluppato collaborazioni con classi selezionate che hanno avuto in dotazione, spesso con l’ausilio di sponsorizzazioni di privati, strumenti tecnologicamente avanzati (iPad o similari; notebooks, ecc.). In rete si trovano interessanti resoconti di queste esperienze (6). I «nativi digitali» tuttavia non esistono: la familiarità che le nuove generazioni hanno con i digital device è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni, ma questa spesso si riduce a un uso passivo e inconsapevole, limitato alla frequentazione dei social network. Quello a cui si assiste, in questa fase iniziale che appare ancora sperimentale e quantitativamente limitata, è un concentrarsi dell’attenzione più sullo strumento che sulla finalità che si intende perseguire. È per questo che gli incoraggiamenti che arrivano da settori del mondo industriale(7) e l’appoggio entusiasta di settori del mondo editoriale (gruppo «L’Espresso»)(8) appaiono discutibili. Ci chiediamo, in effetti, con Michele Dantini: «Ha senso modificare la scuola sul modello del mercato, e pretendere che individui pre-adulti siano consumatori sovrani, del tutto in grado di misurare esigenze e acquisire domini cognitivi?» (9)
Tfa
L’istituzione del Tirocinio Formativo Attivo per conseguire l’abilitazione (10) non risolve né il problema della formazione degli insegnanti né quello nell’ingresso in ruolo. «Tra gli aspiranti tirocinanti ci sono molti professori di scuola, dottori di ricerca, docenti a contratto universitari che sono già stati valutati idonei all’insegnamento da apposite commissioni. Persone che lo Stato continua a considerare giovani anche se hanno quarant’anni e che pensa di tenere occupate in una costosa e improduttiva raccolta di punti, cioè di titoli di studio» (11). Invece di impegnarsi nella costruzione di un percorso che permetta alle capacità relazionali ed empatiche dell’aspirante docente di svilupparsi a pieno, il Ministero sembra che voglia ripercorrere la strada della SSIS: via quindi a lezioni di tecnica della valutazione, di pedagogia, di storia della scuola. E via al tirocinio: esperienza fondamentale (la parte meno discutibile di tutto l’impianto), solo se si attua in uno spirito di collaborazione fattiva fra docente tutor e specializzando. Collaborazione che spesso viene a mancare, anche perché i docenti che «ospitano» i tirocinanti all’interno delle loro classi, mostrando loro come correggere i compiti e accompagnandoli all’interno degli organi collegiali, non hanno nessuno sgravio in termini di ore di lavoro e, soprattutto, non percepiscono alcun compenso, malgrado le rette elevate pagate dagli specializzandi nelle loro Università.
NOTE
Il sillabario è stato pubblicato su “Alfabeta 2” del Febbraio 2013, privo della presentazione di Lidia Massari.
1) Questa citazione è contenuta in Formare una testa ben fatta. Edgar Morin entra in classe: giochi di ruolo e didattica per problemi (2003), a cura di Luigi Tuffanelli e Dario Ianes. Una sintesi delle idee cardine del libro è presente all’indirizzo www.darioianes.it/slide/testa.pdf
2) La ex-ministro Gelmini, dopo aver ripetutamente negato i tagli, è stata denunciata da associazioni di genitori e condannata da due diversi tribunali: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/04/01/tagli-agli-insegnanti-di-sostegno-ministero-condannato-due-volte/101550/
3) La discussione si è riaccesa in Italia dopo che nel marzo di quest’anno genitori francesi riuniti in associazione hanno manifestato la loro protesta non permettendo ai propri figli di fare i compiti.
4) Caso limite appare quello della maestra che ha assegnato come compito ad alunni di seconda elementare l’apprendimento a memoria di tutti gli articoli della Premessa alla Costituzione della Repubblica.
5) http://www.istruzione.it/web/istruzione/piano_scuola_digitale/classi_2_0.
6) http://sperimentando.liceolussana.com/ebooksperimentazione/PMLKE_eBook_sperimentazione_vdef3.pdf
7) Per esempio, il patrocinio della Fondazione Agnelli al progetto «Cicero» (http://www.cicerolatintutor.it/)
8) http://www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_24480.pdf: pdf dell’articolo uscito il 17 maggio 2012 a firma di Valentina Murelli.
9) Pratiche didattiche tra lapis e laptop, «il manifesto», 26 maggio 2012.
10) http://www.istruzione.it/web/istruzione/normativa_tfa. Il TFA sostituisce la SSIS (Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario): la differenza sta nell’accesso (ora il test di ammissione è identico in tutta Italia) e nella durata (il TFA dura un anno, la SSIS ne durava due). Con nota del 29 maggio il Ministero annuncia che il percorso per neolaureati e docenti con tre anni di esperienza è stato differenziato: http://www.istruzione.it/web/ministero/focus_290512.
11) Valeria Merola, Quanto costa abilitarsi all’insegnamento, «il manifesto», 8 maggio 2012.
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Editore
G.B. Palumbo Editore
concordo su problemi del tirocinio
IL punto sui TFA è stato colto perfettamente: io sto svolgendo il mi otirocinio nell’ambito del tfa, ma la mia insegnante tutor mi sopporta a mala pena, mi critica in continuazione, non mi incoraggia, non mi aiuta a sentirmi capace di svolgere la lezione. e’ spesso acida e fredda con me e questo mi sta creando non pochi problemi, logistici, psicologici e giuridici. Il TFA è un incubo come lo era la SSiS per molti, non vedo l’ora che finisca tutto.
concordo su problemi del tirocinio
Ho problemi seri col mio tutor.