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diretto da Romano Luperini

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Anni Novanta. Individui e fluidità /1

Gli anni Novanta segnano il trionfo di un modo fluido di concepire la poesia. L’idea di canone, di genere e di poetica si allentano e si formano individualità liriche forti e sempre più irrelate. Si sviluppano dinamiche elastiche di rapporti, innesti e scambi, che fanno sì che l’idea di genere lirico tradizionalmente inteso e quella di avanguardia inizino a svuotarsi della rilevanza esemplare, più o meno stabilmente codificata, che godono per tutto il Novecento. La lirica si rifunzionalizza, l’idea di poetica e di canone assume i connotati di una sistema di ‘campi’ letterari in cui possono essere osservate connessioni fluide e antigerarchiche. Pubblichiamo la prima delle tre parti del saggio, che è già uscito su «L’Ulisse», n.18: Poetiche per il XXI secolo, aprile 2015, pp. 181-195. Le due parti successive seguiranno nei prossimi giorni.

 Individui e fluidità

1. Dopo la deriva anti-ideologica degli anni Settanta, dopo l’eclettismo postmoderno e i tentativi di restaurazione formale degli anni Ottanta, si apre una fase in cui la poesia inizia ad essere intesa come un una forma che può contenere l’autonomia e l’affermazione espressiva soggettiva – maturate a partire dai fermenti del Sessantotto – in accordo con una serie di meccanismi che garantiscono la costruzione del testo in quanto atto di una comunicazione semanticamente consapevole, non più come mera espettorazione di stati d’animo in cui i contenuti non cercano più il problema del loro stile (fenomeno abbastanza frequente nei decenni precedenti). Si tratta di un processo individuabile soprattutto a livello della rielaborazione dell’esperienza individuale che l’autore trasforma in scrittura e si verifica con un distanziamento progressivo dalle nozioni di genere, di canone, di poetica in qualità di statuti che precedono il testo come sovrastrutture e possono veicolare i suoi significati.

Ciò avviene non per un impeto di rivolta conflittuale nei confronti di un sistema di tradizione da sovvertire, come negli anni Settanta, e neppure per un’adesione mimetica alla moda postmoderna della restaurazione o per una trascrizione della complessità senza conflitto postmoderna che rispecchia un generale nichilismo non drammatico. Il processo avviene per una maturazione soprattutto endogena – interna alla scrittura come atto per lo più individuale e privato – di una necessità: consentire alla poesia, come particolare espressione letteraria, di ristabilire un suo significato espressivo che sostenga un principio di comunicazione. Questo significato non coincide più con valori condivisi collettivamente né con l’idea di una funzione intellettuale da esercitare; inoltre, non cerca un pubblico come referente comunitario e umanistico di un’arte, nell’accezione tradizionale, ma piuttosto un pubblico come una variabile di individui che possano essere raggiunti – in primo luogo nelle loro esistenze private – da un messaggio con una precisa fisionomia linguistica, che tuttavia appare sempre più distante e isolata rispetto alle forme più diffuse di comunicazione letteraria.

Già con le riviste «Braci» e «Scarto minimo» si manifesta un allontanamento dalla teoria: si tenta, ad esempio, di ristabilire un senso classico non in riferimento a degli universali, ma alla necessità di un principio di comunicazione e di intelligibilità che il testo possa recuperare intrinsecamente alla pratica della scrittura. Per questo attorno a «Braci» e «Scarto minimo» non si formano poetiche strutturate. Parimenti, negli anni Novanta, le poetiche tradizionali, come il classicismo moderno o l’ermetismo, appaiono in un orizzonte storico passato e impraticabile. Idee di poetica sono semmai mantenute nell’ambito delle nuove forme d’avanguardia; vengono attribuite anche a quella che è definita la corrente neo-orfica o neo-romantica, non in relazione a precise dichiarazioni teoriche degli autori, ma ad un’analisi critica che unisce una varietà di posizioni che possono avere somiglianze formali, ma che spesso mostrano differenze di sostanza.

Inoltre, se nel corso degli anni Ottanta si manifesta progressivamente il bisogno di recuperare un senso comunicativo rispetto alle divagazioni del ‘poetichese’ neo-orfico, ciò non avviene in virtù di una forte poetica alternativa in rapporto alla ridefinizione sicura di un canone. Ad esempio, contro il ‘poetichese’ irrazionalista si può sviluppare un’attitudine allegorica e criticai che cerca di ristabilire un rapporto organico con le genealogie e con la storia, nella consapevolezza che si sta attraversando una fase «postuma»ii rispetto ai valori estetici ed etico-politici vitali fino agli anni Settanta, una fase in cui il ruolo intellettuale è esercitato con disincanto; oppure si può tentare di trovare un nuovo slancio d’avanguardia, come fa il Gruppo 93, sostenendo una poetica sperimentale che comunque non sembra avere la stessa tenacia politica del Gruppo 63.

Così come il canone attraversa un’evoluzione in direzione intertestuale, trasformando i rapporti gerarchici in rapporti di influenza e di scambio sempre più aperti – lo mettono in luce, ad esempio, Genette, Bloom e Derridaiii -, i poeti iniziano ad attingere liberamente a molte tipologie di forme che vengono usate come se fossero sincroniche. Il risultato di questi incontri e di queste commistioni è estremamente fluido, come se la poesia cercasse di recuperare integrità espressive riaffiorando dalla complessità postmoderna in una condizione di liquidità che può richiamare le caratteristiche della «modernità liquida» descritta da Zygmunt Baumaniv.

2. Dopo il crollo delle genealogie e delle gerarchie, la complessità postmoderna ha posto la poesia di fronte ad una molteplicità di posizioni. Di fronte a questa molteplicità il bisogno di un principio di significazione si manifesta intrinsecamente alla scrittura, nel recupero cosciente di un atto espressivo che elabora autonomamente e individualmente il repertorio delle forme. Senza poetiche e senza canone avvertiti come imprescindibili, la poesia sviluppa un’espressione fluida che parte dallo stato individuale, articolando le varianti formali in una dizione che non passa per un orizzonte collettivo, ma va principalmente da individuo a individuo, ed è lontana, come si è già detto, dalla comunicazione letteraria più comune.

Tutto ciò comporta diversi rischi. Anzitutto una chiusura della poesia nei propri spazi istituzionali, tra cui il bacino della didattica nel quale sembrano radicalizzarsi gli interessi per la scrittura del passato rispetto a quella del presente. Il passato è, infatti, garantito da una funzione intellettuale e da modelli tradizionali accertati, dal riferimento all’idea di un canone e di poetiche che sono facilmente convertibili in una fruibilità didattica. La poesia del presente, al contrario, essendo un fenomeno linguisticamente distante dalla comunicazione letteraria più diffusa ed essendosi generalmente allontanata da un’idea di canone o di poetica, appare più difficile da affrontare in termini istituzionali di analisi e di interpretazione, e va incontro alla diminuzione della sua forza rappresentativa nel campo delle arti.

È un fatto innegabile che negli anni Novanta i poeti hanno ormai perso l’incidenza intellettuale che avevano avuto autori come Montale o Ungaretti in qualità di rappresentati di una funzione umanistica della letteratura e dei valori di una tradizione. I giovani degli anni Settanta sono stati comunque forti di un’affermazione individuale storicamente senza precedenti e, dunque, forti della novità di una posizione dirompente. Poi, nell’eclettismo postmoderno, la poesia fatica a raggiungere un’affermazione intellettuale di prestigio. Nonostante ciò, ci troviamo di fronte ad una ricerca che affronta, forse per la prima volta, il problema del testo poetico in relazione all’individuo indipendentemente da genealogie e sistemi di riferimento: il problema di come l’individuo, sulla base di un’autonomia espressiva, possa elaborare una forma poetica significante che parte prima di tutto da una coscienza individuale, slegandosi dalle impostazioni di categoria.

Se Milo De Angelis con Somiglianze riesce a innescare una prospettiva innovativa rispetto alla tradizione per un’idea tragica e assoluta di poesia, e se Maurizio Cucchi con Il disperso dà una rappresentazione mimetica e critica della frammentazione del presente ponendosi come osservatore ironico, le esperienze di Valerio Magrelli, di «Braci» e di «Scarto minimo» mostrano che non è più possibile una poesia come rappresentazione forte di un’autonomia espressiva legata a un gesto assoluto e d’impatto contro le ideologie e le gerarchie. Al testo non si chiede più di essere un gesto espressivo, ma un atto linguistico nella coscienza dell’espressione, nelle possibilità dell’espressione di mostrare e rappresentare un soggetto, ma anche di costruire un significato in funzione di un’integrità che non può più essere valorizzata da un credo assoluto nella poesia, come quello neo-orfico, né tantomeno in una convinzione intellettuale e ideologica d’avanguardia.

3. Il rapporto libero degli autori con il repertorio delle forme, usate come in modo fluido e sincronico, si manifesta in diverse prospettive.

1) Nel lavoro sul verso, sia per quanto riguarda il verso libero sia per quanto riguarda il recupero delle forme di tradizione. Ne risulta un panorama caratterizzato da una «fluidità composita» in cui «i più giovani tendono a recuperare, magari poi omologandoli, non tanto tradizioni quanto individui poetici» e finiscono per dar luogo a una «varietà che è un po’ magma un po’ ricchezza di voci differenziate»v. Non a caso Gabriele Frasca considera il ritorno ai metri tradizionali come un impiego di «forme fluide» che riescono a contenere il flusso delle varietà della lingua in congegni mnemotecnicivi.

2) Nelle forme prosaiche del verso, esito di un processo novecentesco che ha progressivamente rotto le maglie del linguaggio poetico in direzione del quotidiano e dell’informale, fino a una scrittura in cui viene abbattuta la distinzione tra la lingua della poesia e la lingua della prosa. Inoltre, il rapporto libero con il repertorio delle forme si trova anche negli usi ibridi di prosa poetica, tra i cui esempi più significativi negli anni Novanta si possono ricordare quelli di Giampiero Neri (Teatro naturale, 1998). Questi esperimenti sono stati letti anche come un rifiuto del verso e dell’impostazione lirica tradizionale. Indipendentemente da eventuali bersagli critici che possono o non possono essere sentiti dagli autori, sono esperimenti che rappresentano un modo di commistione tra poesia e prosa soggetto ad un’ampia variabilità: portano il genere della prosa poetica e le scritture con intrecci tra prosa e verso ad un dinamismo mai prima manifesto attraverso una simile duttilità e fluidità.

3) Infine, il rapporto libero con il repertorio delle forme si manifesta nell’idea di una scrittura sperimentale, così come la Neoavanguardia la trasmette. La sperimentazione che decostruisce la lingua e la semantica può mantenere un assetto di poetica d’avanguardia, come nel Gruppo 93, ma può anche assumere una fisionomia autonoma che intreccia la decostruzione linguistica con bagliori di lirismo più aperto e più problematico rispetto all’impostazione tradizionale del genere, come fanno Carlo Bordini e Giuliano Mesa.

In conseguenza di queste dinamiche fluide di rapporti, innesti e scambi, sia l’idea di genere lirico tradizionalmente inteso sia quella di avanguardia iniziano a svuotarsi della rilevanza esemplare, più o meno stabilmente codificata, che godono per tutto il Novecento.

a) Il lirismo si è rifunzionalizzato ed è diventato, soprattutto, consapevolezza che esiste sì un impulso soggettivistico alla scrittura poetica, ma che lo statuto d’origine a cui si fa appello riconosce possibili aperture e combinazioni, che possono riguardare, a livello formale, tanto la ricerca sul verso in senso stretto, tanto la commistione tra prosa e verso, tanto la scelta della prosa poetica. Le tipologie e gli statuti diventano a mano a mano funzioni della pratica della scrittura e la pratica si mostra plastica, fatta di diversità che hanno un peso se riescono a costruire un’integrità della parola che comunichi, che sia una voce chiara in quanto riconoscibile, che raggiunga una integrità costitutiva nel rapporto tra forma e contenuti che la faccia apparire nella sua efficacia e nella sua unicità, non solo per gli intenti, ma anche per la sua presenza oggettuale e linguistica.

In quest’ottica, i percorsi degli autori risultano sempre più netti nella loro unicità individuale. Nel lirismo rifunzionalizzato iniziano a muoversi, ai loro esordi, Franco Buffoni, Fabio Pusterla, Umberto Fiori, Mario Benedetti, Stefano Dal Bianco fin dagli anni Ottanta e, negli anni Novanta, pubblicano raccolte interessanti Fabio Pusterla (Le cose senza la storia, 1994 e Pietra sangue, 1999) Antonio Riccardi (Il profitto domestico, 1996), Umberto Fiori (Tutti, 1998) e Antonella Anedda (Notti di pace occidentale, 1999), ai quali possiamo affiancare le scritture articolate di Carlo Bordini, che dopo gli esordi negli anni Settanta arriva a testi di rilievo come il poemetto Polvere in cui la memoria biografica, più importante di quella letteraria, crea una composizione plastica e aperta (nella raccolta omonima del 1999), e di Giuliano Mesa, anch’egli esordiente negli anni Settanta e autore, sulla soglia del Duemila, delle interessanti sequenze del Tiresia (2000-2001) che mischiano la libertà e il collasso di una serie musicale in un incedere drammatico e nervoso.

b) Anche l’idea di avanguardia inizia a mutare. Il tentativo di riproporre l’avanguardia, come fa il Gruppo 93, è un fenomeno legato soprattutto a una critica intellettuale contro il clima postmoderno: sembra dare per acquisiti la fine di un mandato d’autore, l’interruzione irrisolvibile delle genealogie, l’impossibilità che la parola individuale possa avere davvero un peso, ma sia risucchiata nel magma postmoderno di parole plurali e, parallelamente, l’impossibilità che la lingua possa avere una effettiva fruibilità per la rappresentazione del mondo. Il risultato concreto è un’idea di scrittura sperimentale che rappresenta e critica la crisi, un’idea che si traduce in un atto di decostruzione linguistica e semantica sul testo, opposto al lirismo come realtà considerata solipsistica, distante dai problemi della storia e incentrata su un’esperienza soprattutto autobiografica. Questa idea di sperimentazione si ritrova a servirsi del palinsesto d’avanguardia, con l’aspirazione di ribellarsi, ad esempio, alle ingenuità e alle fantasie del ‘poetichese’ neo-orfico, come già detto, per porsi come un’espressione più realista e cosciente.

Il ritorno a un’idea di sperimentalismo d’avanguardia si iscrive nella critica contro la riduzione della scrittura a una forma di piacevolezza vuota, che ha perso la riflessione su un senso da comunicare, e contro la crisi dei valori, che vanno di pari passo con il trionfo postmoderno dei sembianti in cui l’arte di massa e l’arte sperimentale sembrano non essere più distinguibili l’una dall’altra. Il ritorno a un’idea di sperimentalismo d’avanguardia si pone il problema della scrittura come luogo di un senso e, per questo, può rappresentare l’altra faccia della medaglia rispetto a quello che – in seno ad una lingua non decostruita, ma semanticamente integra – molti autori cercano di fare nelle forme del lirismo rifunzionalizzato. Tuttavia, la ricerca della nuova avanguardia ripropone spesso meccanismi di struttura ideologici che la rendono un’esperienza limitante, fino a quando alcuni autori, come Gabriele Frasca, non riconoscono nei modi della sperimentazione una possibilità autonoma rispetto ad una necessaria poetica ideologica, arrivando a portare aperture nel concetto di avanguardia stesso, che verranno sviluppate in varie forme nei primi anni del Duemila.

Nota: l’immagine è Grand palais di Daniel Buren

i L’idea di un recupero del senso allegorico contro il neo-romanticismo si sviluppa a partire dalle riflessioni intorno alla rivista «Alfabeta» nel corso degli anni Ottanta e diviene poi il centro d’ispirazione del volume di Romano Luperini L’allegoria del moderno. Saggi sull’allegorismo come forma artistica del moderno e come metodo di conoscenza, Roma, Editori riuniti, 1990.

ii La condizione postuma degli ultimi decenni del Novecento è soprattutto una proposta critica che Giulio Ferroni elabora in Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura, Torino, Einaudi, 1996.

iii Cfr. Gérard Genette, Palinsesti, trad. it. di Rffaella Novità, Torino, Einaudi, 1997; Harold Bloom, L’angoscia dell’influenza, trad. it. di Mario Diacono, Milano, Feltrinelli, 1983; Jacques Derrida, La scrittura e la differenza, introduzione di Gianni Vattimo, trad. it. di Gianni Pozzi, Torino, Einaudi, 2002.

iv Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Bari, Laterza, 2002.

v Pier Vincenzo Mengaldo, Questioni metriche novecentesche (1989), in Id., La tradizione del Novecento. Terza serie, Torino, Einaudi, 1991, pp. 27-28.

vi Cfr. Gabriele Frasca, Le forme fluide, «Moderna», III, 2, 2001, p. 39.

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