La riforma della prima prova dell’Esame di Stato /2: la scrittura alla (prima) prova
L’opportunità
Quindi l’Esame di Stato, nel 2019, cambia davvero. Il quattro ottobre il MIUR ha pubblicato una importante circolare che illustra i contorni delle nuove prove conclusive dell’istruzione secondaria in Italia, quelle che a giugno dovranno affrontare circa cinquecentomila studenti. Le novità, in larga parte (ma non del tutto) derivanti dall’attuazione della legge 107, sono rilevanti, e riguardano l’esame nel suo complesso (modifica dei criteri per l’attribuzione del voto, razionalizzazione di numero e tipologia delle prove, ridimensionamento del ruolo dell’Alternanza Scuola Lavoro e dell’INVALSI), ma offrono indicazioni preziose, anche a livello didattico, soprattutto per quel che riguarda la prima prova, quella che tradizionalmente è chiamata “prova di italiano” ma che forse sarebbe più opportuno chiamare d’ora in poi “prova di scrittura”.
La circolare era molto attesa nelle sale insegnanti e soprattutto nelle classi quinte, quelle che dovranno sperimentare sulla loro pelle, e con pochissimo preavviso, molte cose nuove; alcune già chiare, altre molto meno. Il documento MIUR, infatti, è ancora piuttosto vago su diversi aspetti, anche se va decisamente apprezzato lo sforzo di dare a insegnanti e studenti alcuni punti fermi, e di impegnarsi in un cronopogramma che dovrebbe, entro la fine del primo quadrimestre, illuminare anche gli aspetti ancora avvolti nella nebbia. Il Ministero ha anche deciso di allegare alla circolare due importanti documenti: uno redatto dalla “cabina di regia” che sta lavorando alla definizione dei quadri di riferimento e dei criteri di valutazione della seconda prova; l’altro, frutto del lavoro di un gruppo di esperti guidato dal linguista Luca Serianni, volto a dare indicazioni per la preparazione della prima prova. Sono due documenti che sembrano però testimoniare due stadi di avanzamento del lavoro molto diversi: il primo è ancora piuttosto generico, e va poco oltre la parafrasi esplicativa del decreto attuativo del 2017 che norma la materia, mentre il secondo offre indicazioni molto più dettagliate ed è chiaramente frutto di una riflessione didattica più attenta e approfondita. È quello che, in questa sede, ci interessa di più.
Ma prima di illustrare e discutere le scelte di Serianni e del suo gruppo, sarà forse il caso di ricordare il passaggio del decreto legislativo 62/2017 che ha stabilito, lo scorso anno, il perimetro entro cui la commissione si è trovata a lavorare. Tale documento, all’articolo 17, comma 3, recita:
La prima prova, in forma scritta, accerta la padronanza della lingua italiana o della diversa lingua nella quale si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato. Essa consiste nella redazione di un elaborato con differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico. La prova può essere strutturata in più parti, anche per consentire la verifica di competenze diverse, in particolare della comprensione degli aspetti linguistici, espressivi e logico-argomentativi, oltre che della riflessione critica da parte del candidato.
Al centro della formulazione c’è l’idea della lingua come strumento per l’espressione e l’organizzazione del pensiero; per il resto la prospettiva è, com’è giusto, interdisciplinare e vengono evidenziate in particolar modo le competenze di comprensione e l’attitudine alla riflessione critica (richiamata ben due volte). Il team di Serianni ha svolto, a partire da questi vincoli, un importante lavoro di messa a punto pedagogica e di declinazione didattica. In primo luogo ha chiarito che il focus andava messo su due parole: comprensione e argomentazione. Sono queste, in effetti, non solo due esigenze pedagogiche, ma anche due emergenze di cittadinanza, che è giusto mettere al centro non solo dell’Esame di Stato ma di ogni azione scolastica. Ha anche precisato, correggendo una ambiguità presente del decreto, che la competenza argomentativa non deve essere solo passiva (“comprensione degli aspetti […] logico argomentativi”) ma anche attiva, deve essere cioè l’ossatura, anche tecnico-retorica, su cui si deve reggere e che deve rendere chiara e comprensibile ogni “riflessione critica”. Su queste basi, ha dato indicazione per una prova suddivisa in sette tracce di tre diverse tipologie: a) analisi e interpretazione di un testo letterario italiano (due tracce); b) analisi e produzione di un testo argomentativo (tre tracce); c) riflessione critica di carattere espositivo/argomentativo su tematiche di attualità (due tracce). In realtà le prime due tipologie sono più simili di quanto possa sembrare: si tratta in entrambi i casi comprendere e analizzare un testo di media lunghezza, per poi confrontarsi con esso nella forma del commento discorsivo; cambia solo la natura del testo di origine, letterario per la tipologia A, non letterario per la tipologia B. Del resto anche la tipologia C (più simile al tradizionale tema per certi aspetti) potrà avvalersi di un testo d’appoggio, e non c’è da dubitare che questo capiterà spesso. In sostanza il modello di fondo è questo: mettere lo studente di fronte ad un testo compiuto, chiedergli in primo luogo di comprenderlo nei suoi aspetti caratteristici, quindi di confrontarsi con esso in maniera critica, informata e argomentata. È, peraltro, una tendenza che già si poteva notare ad una analisi attenta delle tracce proposte negli ultimi anni, dove la presenza di un testo di appoggio e la richiesta di strutturare una argomentazione articolata era diventata abituale nelle tipologie C (tema storico) e D (tema di carattere generale), mentre intanto i documenti dei saggi brevi diventavano di anno in anno sempre meno numerosi e sempre più lunghi.
I dubbi
È naturale che un cambiamento come questo, non radicale (lo stesso Serianni lo sottolinea ad ogni occasione, ed anche in questa recente intervista) ma in ogni caso significativo, si presti a possibili obiezioni, e a qualche resistenza. Quel che si nota per primo, in questi casi, è ciò che scompare, si perde, viene messo in soffitta. In questo caso si tratta del saggio breve/articolo di giornale e del tema di storia, e il pensionamento dei primi è forse meno problematico del secondo.
Il saggio breve/articolo, infatti, nella riflessione didattica e nella pratica di quasi vent’anni, non ha mai convinto del tutto: per quanto si sia tentato di trovare dei modi onesti e intelligenti di interpretare questa tipologia di prova, e per quanto fosse, nei fatti, una traccia sempre molto premiata dalle scelte dei candidati, erano grandi i limiti e le ambiguità della prova. A partire dal titolo: un articolo di giornale è cosa da professionisti, e un saggio breve è quasi impossibile da scrivere, per chiunque, soprattutto se breve significa un testo di quattro o cinque colonne (come da consegna ministeriale), in cui per di più devi fare i conti con un numero di documenti (e quindi di idee, di autori, di punti di vista) di solito molto ampio. Le soluzioni per cavarsela di fronte ad una richiesta del genere non sono molte, e quasi mai risultano particolarmente brillanti: o si resta sul livello di un onesto centone, o si tengono sullo sfondo i testi di appoggio e si cerca di organizzare un buon testo argomentativo, o ci si prendono delle ampie libertà sperando di incappare in un commissario non troppo rigido. L’idea di mettere a disposizione una serie di testi autorevoli su un tema e chiedere agli studenti di produrre un elaborato autonomo che tenga però conto di quei testi può essere un’ottima idea per un laboratorio in classe, in cui i ragazzi possono confrontarsi, documentarsi (a partire dai testi dati, ma non limitandosi ad essi), elaborare sotto la guida di un esperto e poi infine scrivere; è invece un’idea mediocre, se non pessima, per un lavoro da svolgere durante un’esame, in sei ore, isolati dal mondo, soli col proprio vocabolario di italiano.
Il discorso relativo all’eliminazione del tema di storia potrebbe essere diverso, e non manca chi già vede la sua scomparsa come un ulteriore segnale del disinteresse (se non dell’ostilità) verso una disciplina tanto importante, anzi fondamentale, come la storia. Che la scuola italiana abbia un problema con la storia è evidente ormai da molti anni: si può discutere se questo sia causa o effetto del difficile rapporto che l’Italia come paese ha con il suo passato, ma è un fatto che va ben oltre la presenza del tema di storia alla maturità, che peraltro – e certamente non per caso – veniva sempre scelto da una esigua minoranza di studenti. Certo, il fatto che nessuno lo scegliesse, di per sé, non è un buon motivo per farlo scomparire. E, altrettanto certo, eliminare una traccia esplicitamente legata ad una singola disciplina ha un evidente valore simbolico, che potrebbe essere grave se non ci saranno compensazioni di qualche tipo. Ma cosa c’è dietro alla scomparsa del tema di storia? Forse chiederselo può servire per fare qualche passo avanti. In estrema sintesi, è ragionevole pensare che a segnare la storica sfortuna della traccia C della vecchia maturità sia stato proprio l’esplicito riferimento ad una disciplina diversa dall’italiano, che andava a cozzare con una prassi fatta di rigidi steccati disciplinari secondo i quali l’unico insegnante che si occupa di insegnare come si scrive sia quello di italiano, mentre tutti gli altri si occupano quasi esclusivamente dei contenuti. Naturalmente, se ad insegnare a scrivere è solo l’insegnante di italiano, sarà naturale che i ragazzi si eserciteranno soprattutto a partire da e intorno ai testi letterari, che sono la struttura portane del corso di italiano al triennio. C’è da sperare che, con delle prove orientate alla comprensione e all’argomentazione, si faccia qualche significativo passo avanti nella direzione di una attenzione davvero interdisciplinare alla lettura e alla scrittura.
Le sfide
Probabilmente, il vero punto, il vero nervo scoperto che va a toccare la nuova prima prova dell’Esame di Stato è proprio questo: il rapporto fra le discipline nella scuola italiana, la loro difficoltà non solo a contaminarsi, ma anche a trovare forme, parole, luoghi di lavoro in comune.
Perché è chiaro che la partita delle competenze di comprensione e di argomentazione non la vince l’insegnante di italiano da solo, anzi: non la vince nessun insegnante da solo. Resterà una partita persa finché non si farà sentire comune (e quindi pratica comune) la consapevolezza – che pare emergere dal documento del gruppo di lavoro giuidato da Luca Serianni – che lettura e scrittura sono competenze davvero integrate, in cui entrano in gioco la complessità del pensiero e la peculiarità di ogni sapere disciplinare, a partire da quelli umanistici (storia, filosofia, scienze sociali, diritto, geografia, lingue e letterature straniere…).
In campo, con ogni evidenza, c’è anche la questione di quali debbano essere, questi saperi, e che ruolo debbano svolgere nella formazione degli adolescenti italiani. Su questo, visto che la legge parla ecumenicamente di una prova che vada a trattare gli ambiti «artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale», sarà molto importante il lavoro di chi concretamente dovrà preparare le tracce, e dovrà trovare il giusto equilibrio fra attenzione alla complessità del presente e sguardo rivolto al passato, alla storia, alla tradizione, che diventa ancora più urgente proprio nel momento in cui scompare il tema storico.
Resta da parlare del ruolo che, in tutto questo, avrà la letteratura. A questo proposito va detto, prima di tutto, che non era affatto scontato che essa mantenesse nel nuovo Esame di Stato un ruolo centrale. In fondo, la marginalizzazione vissuta dalla letteratura a scuola negli ultimi anni non è stata minore di quella lamentata dagli storici. Va quindi salutata come una ottima notizia, per chi crede nel valore formativo della letteratura e del confronto col testo letterario, la presenza di ben due tracce di analisi del testo letterario. Questo, in primo luogo, potrà permettere di coprire ambiti temporali e generi diversi; ma apre inoltre alla possibilità di affiancare ad una traccia magari più tradizionale una scelta più coraggiosa, orientata davvero ad una didattica della letteratura fondata sulla capacità di confrontarsi con un testo e un autore (magari non noto), e di interrogarlo a partire dal proprio vissuto, in un proficuo scambio fra rielaborazione dell’esperienza vissuta e rispetto della voce altra della letteratura: quell’incontro fra la letteratura e noi, insomma, che è l’obiettivo del lavoro di tanti insegnanti in giro per l’Italia, oltre che di questo blog.
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