La prima prova dell’Esame di Stato 2016: paesaggio con ombre, e qualche luce
Luci
La divulgazione delle tracce della prima prova dell’Esame di Stato, e il conseguente dibattito che ogni anno si apre, è sempre molto interessante per chi si occupa di didattica delle discipline umanistiche nella scuola superiore, se non altro perché è l’unico momento dell’anno in cui le questioni che gli premono (metodi, temi, canone, valutazione, interdisciplinarità ecc.) smettono per un attimo di essere materia per addetti ai lavori e diventano, seppur con vaste e a volte sconfortanti approssimazioni, oggetto di una discussione molto più ampia. Va inoltre detto che, più di tanti altri strumenti, queste tracce hanno una potente ricaduta sulle scelte didattiche degli insegnanti che, soprattutto negli anni terminali, cercheranno di adeguare le loro azioni alle linee di tendenza che vedranno emergere dalla prova ministeriale, allo scopo di preparare al meglio i loro studenti ad affrontare quella che toccherà loro in sorte.
In questo senso, vale la pena di provare a capire quali siano le principali linee di tendenza che emergono dalla prima prova di quest’anno, se esse siano in linea con quanto accaduto negli scorsi anni, e cosa si possa immaginare (o sperare) per il futuro.
In primo luogo vorrei dire che le tracce proposte quest’anno, un po’ come il leopardiano giardino della souffrance, sono bellissime se viste da lontano ma, avvicinandoci, scopriamo che in esse non “v’è nessuna parte in cui non vi troviate del patimento”. A sentire in anteprima i rumors sui temi usciti, infatti, non ci si poteva che rallegrare per la scelta di puntare su un autore centrale, contemporaneo e stimolante come Eco, per la volontà di interrogare i ragazzi intorno a nodi cruciali come i limiti del PIL e il valore del paesaggio, il tema del confine e il voto alle donne, l’avventura spaziale e la complessità dei rapporti padri/figli nella letteratura e nell’arte. Sono tutti argomenti insieme attuali e profondi, che stimolano una didattica che abbia sempre un occhio al passato e uno a ciò che succede nel mondo qui e ora. Sembrano e in parte sono un invito ad una pratica aggiornata e stimolante delle discipline umanistiche, della lettura e della scrittura come forme di cittadinanza del presente.
Ombre
Tutto bene, dunque? No, guardiamole un po’ più da vicino queste proposte. Partiamo dai saggi brevi, la forma di scrittura più problematica (rimando, su questo, al recente contributo di Daniele Lo Vetere su questo blog) e però allo stesso tempo più fortunata (quest’anno l’hanno scelta due studenti su tre). Il saggio su padri e figli allineava tre testi canonici (affiancati ad un criptico De Chirico) che si prestavano più ad una esposizione scolastica del tema che ad una impostazione problematica; i saggi sul paesaggio e sul PIL sembrano dettati più dalla falsa coscienza di una politica su questi temi poco incisiva che da una volontà di spingere i giovani ad una riflessione vera; resta forse quello sulle magnifiche sorti e progressive dell’avventura spaziale di Guidoni e AstroSamantha, forse il più serio per i tanti e precisi riferimenti scientifici nei documenti.
Il terzo di studenti restante ha scelto per lo più il tema di ordine generale, che prendeva spunto da una citazione molto bella di Piero Zanini, ricca di suggestioni sia per uno svolgimento di carattere geopolitico, sia storico, sia più strettamente personale-esistenziale. Restano poi l’analisi del testo di Eco e il tema di argomento storico, sulle donne al voto nel 1946. Sono le tracce meno scelte in assoluto, rispettivamente dal 6,2 e dal 7% degli studenti, eppure mi sembrano quelle su cui vale la pena di soffermarsi con più attenzione.
Per l’analisi del testo è stato scelto uno spezzatino tratto dalle prime pagine del saggio che apre la raccolta Sulla letteratura (Bompiani 2002) di Umberto Eco: un saggio molto bello, dal finale profondo ed emozionante (con l’occasione sono andato a rileggerlo) ridotto qui a poco più che una sequenza di aforismi forse nemmeno troppo rispondenti (come suggerisce Bartezzaghi) alla vera idea che Eco aveva della letteratura. Si contano sei tagli in venticinque righe di testo: vengono così obliterati non solo interi passaggi logici, ma anche frasi minime che non avrebbero appesantito il discorso e anzi l’avrebbero reso più chiaro. Una scelta così incomprensibile rende anche difficile l’esecuzione dell’esercizio proposto, che al primo punto prevede il riassunto del contenuto del testo: ma come si fa a riassumere un’accozzaglia di frammenti? Aggiungiamo poi che le consegne elencate sotto la rubrica “Analisi del testo” riguardano più che altro la comprensione e l’interpretazione di alcuni passaggi, e nulla hanno a che fare con le competenze specifiche di analisi; e che la richiesta di interpretazione complessiva e approfondimento è di una genericità spiazzante.
Il tema storico
Diverso il discorso relativo al tema storico, insieme a quello di ordine generale la vera sorpresa positiva di questa prova. Sia il tema proposto, il voto alle donne, reso attualissimo dalle celebrazioni del settantesimo anniversario del 2 giugno scorso, sia la prospettiva di genere, sia la scelta delle testimonianze di due scrittrici ingiustamente dimenticate, e poi il fatto stesso che nel tema di storia sia stato dato spazio alla letteratura, e alla dimensione esistenziale, privata, del fatto storico, e infine la scelta di far riferimento ad una seria rivista che, come tante altre, raccoglie il lavoro scientifico e didattico della rete degli Istituti Storici della Resistenza e dell’età contemporanea italiani: sono tutte buone notizie, che – come già avvenuto lo scorso anno con il bel tema sulla Resistenza – testimoniano di come in questo campo le tracce dell’Esame di stato stiano riuscendo ad innovarsi e ad avvicinarsi alle reali esigenze della scuola. È in questo senso significativo che, per quanto ancora le percentuali siano basse, quest’anno il tema storico sia stato scelto da circa il triplo degli studenti rispetto a quanto avveniva negli scorsi anni.
L’unico appunto su questo tema è di carattere tecnico, e riguarda la confezione della consegna (consegna che, di fatto, non c’è). La questione non è tanto il refuso nella citazione del cognome di Alba De Céspedes, a cui è stata aggiunta una buffa p finale, o l’altro relativo alla casa editrice della rivista citata, quanto proprio la struttura generale: lo studente si trova di fronte un cappello introduttivo-informativo, seguito dalla dicitura “Il 1946 nei ricordi di” e poi i nomi di Céspedes e Banti e le citazioni ad esse relative. Infine la citazione bibliografica di un saggio storico. Sfido io a capire a) cosa sia richiesto allo studente; b) da dove vengano le citazioni; c) che relazione abbia il saggio citato in conclusione con tutto il resto. Nessun elemento per capire come stiano le cose, cioè che la prima parte è un cappello redazionale dell’estensore della traccia, che le due citazioni sono tratte da un’inchiesta d’epoca curata dalla stessa De Céspedes per la rivista di cui era direttrice, “Mercurio”, che a sua volta i due passaggi sono riportati nel saggio di Gabrielli citato in calce. È vero che allo studente queste notizie non interessano poi granché, ma perché tanta approssimazione?
E quanto ad approssimazione quello del saggio storico è, quest’anno, il caso meno eclatante: la fretta nella compilazione e la sciatteria lasciano segni ben più evidenti in altre parti del documento ministeriale: lessico impreciso (o inutilmente venato di scolastichese) e ripetizioni, totale mancanza di omogeneità nei criteri di citazione bibliografica (poi magari noi insegnanti ci lamentiamo dei nostri studenti quando correggiamo le “tesine”…), soprattutto una imbarazzante e fuorviante definizione di Bob Kennedy come “ex senatore statunitense” che interroga davvero su che nozione del personaggio in questione avesse l’estensore. Più in generale, l’impressione che a volte la scelta dei documenti sia avvenuta, dato un argomento, tramite una scorsa veloce dei primi risultati di Google.
Il paesaggio che si profila
Ma queste potrebbero sembrare pedanterie, stiamo alla questione più generale e importante, che è a mio avviso la progressiva tendenza al superamento di fatto della distinzione fra le varie tipologie testuali introdotte dalla riforma ormai quasi vent’anni fa. L’analisi del testo quest’anno non aveva nulla a che fare con lo specifico letterario (non è necessariamente un male) né – come detto sopra – con le specifiche competenze di analisi (non è certamente un bene): era la richiesta di interloquire con Umberto Eco su un tema molto complicato (il nesso letteratura-lingua-identità) a partire da un testo molto frammentario, qualcosa che ha a che fare più con le finalità tradizionali della forma “saggio breve” che non con l’analisi, insomma. D’altro canto, i “saggi brevi” si sono asciugati di molto (al massimo quattro, ma anche tre o due documenti), mentre è diventato ormai norma appoggiare su documenti sia il tema di storia sia quello d’ordine generale. Insomma, per citare i casi-limite: che differenza sostanziale c’è, a livello testuale e didattico, fra la proposta di un saggio breve fondato su una definizione enciclopedica di PIL e un brano di un famoso discorso di un politico sull’argomento, e un tema di storia basato su un cappello introduttivo informativo e due citazioni d’autore? Insomma, appare chiaro l’annacquamento delle specificità delle quattro tipologie, indice di una sostanziale presa d’atto del loro cattivo funzionamento. Si va, in buona sostanza, ad una omogeneizzazione, che rischia però di diventare una banalizzazione, come molti da anni sottolineano.
Quali soluzioni, allora? Di certo serve una semplificazione di approccio, e proposte come quella di Luperini (orientata in sostanza ad una nuova centralità dell’analisi del testo, quindi in non casuale controtendenza rispetto agli orientamenti in atto) meritano di essere vagliate con attenzione. Come merita a mio avviso una riflessione il fatto che pian piano (passata la febbre della novità) si stia tornando a consegne non troppo dissimili, per impostazione, a quelle con cui mi sono confrontato io, da studente, nel 1991, quando mi si chiese di discutere un passo dello Zibaldone; o quelle con cui fece i conti qualche anno dopo Nadia Terranova, che ricordava qualche giorno fa come lei dovette, per la sua maturità, riflettere sulla forza creatrice del passato a partire da un brano di Pavese. Fra un lento, silenzioso ritorno al passato, e la necessaria interrogazione su come possa essere esercitata e valutata la competenza di scrittura nel mondo che cambia, di sicura, probabilmente, c’è soltanto la centralità del dialogo con un testo (o con più testi) d’autore: questo, almeno, mi pare un dato acquisito definitivamente. Sui criteri di scelta di questi autori, e sulle domande che gli studenti dovranno rivolgere ai testi (e, a partire dai testi, a loro stessi), il dibattito è difficile e più che mai aperto.
___________
FOTOGRAFIA: G. Biscardi, Padre e figlio al Tiergarten, Berlino 2015.
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Editore
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Questioni di metodo
Sono molto d’accordo con le critiche mosse alle tracce: ammiccanti, piacevoli e suggestive al primo sguardo («Prof, sono bellissime!»), ma insidiose per molti motivi.
Brevemente, e scegliendo tra le mie molte osservazioni quella che considero centrale, mi pare che il nodo cruciale sia nella differenza di metodo che gli studenti dovrebbero essere formati a utilizzare per la scrittura delle diverse tipologie, e sulla – finora – incapacità di noi insegnanti a fare buona didattica in tal senso. Anche il buon Serra, su «Repubblica», a proposito della traccia B su “padri e figli” parlava ripetutamente di «Tema» e rifletteva sulle interessanti implicazioni di carattere psicologico, personale, pedagogico della traccia. Non è così.
Saggi: testi argomentativi con impostazione – appunto – saggistica da impostare su quattro ambiti disciplinari (note, lessico e registro alto, argomentazione ben centrata su una tesi, uso rigoroso dei documenti, di arte e letteratura, non psicologia o autoanalisi!).
Articoli: una buona notizia d’attualità politico-culturale (sulla cui plausibile invenzione è molto produttivo lavorare), sviluppata con un testo espositivo o argomentativo, ma comunque d’approfondimento, e un uso più fluido dei documenti.
Temi: testo argomentativo dal taglio più libero e personale, senza obbligo di citare documenti ma con attenzione alla pertinenza.
Il punto è che molti, troppi docenti appiattiscono, anzi annullano, la didattica della scrittura senza riguardo verso la differente impostazione di destinazione e tipologia testuale, che implica progettazioni e scritture differenti. Stavolta i documenti non erano e sempre meno sono adatti a questo tipo di lavoro, e i ragazzi dovrebbero però accorgersene loro stessi, con consapevolezza, e lavorare per mantenere salda, almeno a livello di metodo, tale distinzione.
Una volta che questo principio fosse tra noi insegnanti ben saldo, si dovrebbe esigere dal ministero una selezione di documenti e una impostazione delle tracce adatta a questo lavoro, che è difficile sì, ma può dare risultati interessanti e aiutare gli studenti a confrontarsi in modo critico e sempre più adulto con l’opinione altrui, le insidie dell’argomentazione, le esigenze di lettori diversi e la necessità di essere chiari, circostanziati, interessanti.
Bla bla bla
Commissario esterno di italiano agli esami di Stato, ho letto attentamente le tracce e aspetto domani pomeriggio per la correzione. Anch’io, come l’estensore dell’articolo, sono rimasta colpita dal fatto che le tipologie B, C e D ormai siano pressoché indistinguibili: meno corposa la documentazione per il saggio breve, presenza di documenti nell’enunciato del tema… Per anni ci siamo impegnati per far capire ai ragazzi “come si fa il saggio” e “in che cosa è diverso dal tema tradizionale” e ci ritroviamo davanti consegne tutto sommato analoghe per le diverse tipologie. Io in particolare sono stata colpita dalla traccia socio-economica, quella sul PIL: due scarni documenti, uno, la definizione di PIL che dà la Treccani (perché, poi, scegliere la Treccani per ragazzi…), l’altro, un brano di Robert Kennedy, nientedimeno. Non c’era nulla di più attuale? In cinquant’anni non sono state formulate altre opinioni sull’argomento? Infine, l’unico documento instradava verso uno svolgimento obbligato: non c’è solo il prodotto lordo, molte cose non rientrano nella valutazione del benessere o dello sviluppo di un popolo, bla bla bla. Sono curiosa di leggere ciò che hanno scritto i ragazzi che l’hanno svolto. Un’altra cosa che mi ha colpito è stato l’argomento cosiddetto storico-politico: il paesaggio. Siamo certi che si trattasse di un saggio storico? Che ne sanno i ragazzi del paesaggio in senso storico? Si studia per caso, a scuola, la storia del paesaggio? Anche in questo caso, una buona dose di bla bla bla sarà stata necessaria a coloro che hanno voluto cimentarsi con questo saggio…
Confronti
Riporto qui, a mo’ di commento, ciò che ho scritto nel mio blog.
Se si dà uno sguardo d’insieme alle tracce degli esami di maturità del 2016, non possono sfuggire all’osservatore alcune costanti che le attraversano.
Saggio breve/articolo di giornale
Una di esse, rispetto agli anni precedenti, è la riduzione della quantità di documenti messi a disposizione del candidato. Nel caso del saggio di ambito socio-economico addirittura i documenti sono soltanto due, i quali ribadiscono essenzialmente lo stesso concetto-chiave: non rientrano nel PIL alcuni elementi fondamentali per valutare il livello di benessere. Tali elementi vengono poi enumerati nel discorso di Kennedy del 1968, riportato su “Il Sole 24” nel marzo 2013. Ridotto è anche il numero di quelli che corredano il saggio di ambito artistico-letterario, nella fattispecie tre testi letterari e uno iconico; da rilevare l’elemento cronologico disorientante per gli studenti riportato per i tre testi letterari, di cui viene citata la fonte editoriale postuma rispetto all’anno reale di pubblicazione delle opere citate. Testi volanti, sganciati, insomma, dal contesto storico-culturale. La compressione degli allegati penalizza pure la traccia di ambito tecnico-scientifico, che, tra l’altro, mutatis mutandis, fu proposta qualche anno fa(maturità 2010, Siamo soli?). I redattori delle tracce si sono, invece, sbizzarriti, con il tema di ambito storico-politico, Il valore del paesaggio, che ha offerto ai candidati ben quattro documenti, costituiti quasi tutti dalla stessa sostanza argomentativa. Chi potrebbe, infatti, confutare il valore dei paesaggi vari?
Un’altra costante riguarda la semplicità dei testi; anche le fonti citate, pur nella loro utilità, sono state a portata di comprensione da parte dei candidati.
Da qui discende una terza costante, invisibile. La volontà dei redattori di non ammonticchiare sul banco degli studenti molti testi per dare loro la possibilità di pescare nel loro bagaglio culturale e, a volere essere malpensanti, in quello allestito il giorno prima degli esami(dagli aggeggi elettronici nascosti ben bene nell’abbigliamento alle famose cinture con temi esplosivi già pronti da copiare in tutto o in parte). In ogni caso, qualunque traccia avesse scelto, il candidato avrebbe potuto riportare sé e le proprie conoscenze e riflessioni; non è stata, poi, una scelta così malvagia. Mi pare giusto che il candidato sia stato chiamato a dare prova di maturità elaborativa personale; nel concreto, però, non sempre essa è accompagnata dall’onestà intellettuale. Non la esercitano i docenti, mi sembra pretenzioso richiederla agli studenti, peraltro sconosciuti a metà della commissione esaminatrice.
La volontà di aiutare gli studenti non ha risparmiato la prima prova, l’analisi del testo saggistico che, dopo l’anno in cui fu proposto Claudio Magris, è entrato a pieno titolo nella rosa delle tracce A. Si aggiunge il fatto che da giorni la rete pompava il nome di Eco come probabile autore su cui scommettere, e così è stato. Di lui non è stato proposto alcun lacerto propriamente letterario, ma una riflessione sulla letteratura(e la lingua), da cui si sarebbe dovuta dipanare quella dei candidati. A mio modesto parere, è sembrato inadatto al contesto il quesito 2.1, nel quale si chiedeva al candidato di analizzare l’aspetto stilistico, lessicale e sintattico del testo. Transeat il sintattico! Ma quanti e quali artifici stilistici possono attraversare un testo saggistico, destinato generalmente a convincere il lettore della legittimità della tesi del suo autore? Se si esclude l’incipit del brano proposto, in cui campeggia qualche sparuto richiamo al potere immateriale della letteratura, spogliato subito di ogni valore spiritualistico-dottrinario dall’autore stesso, e un latinismo consunto, quali mirabilia lessicali e stilistici caratterizzerebbero la parte restante del brano?
Sempre nell’ottica dell’aiuto è stata strutturata la traccia di argomento generale, una riflessione sui significati del confine attraverso un testo di Zanini. Mi è parso un ritorno alle vecchie belle tracce di temi, che molti studenti abbiamo sviluppato negli anni ’80 ai tempi del liceo. Traccia fattibile e ricca di spunti di riflessione.
La palma, a mio parere, va attribuita alla traccia C, il tema di argomento storico. Via le guerre e gli ismi, le Destre e le Sinistre, la Chiesa e lo Stato! Il candidato, giovandosi della lettura delle testimonianze di Anna Banti e Alba De Cespedes(nel foglio ministeriale c’è un refuso, De Cespedesp per De Cespedes), avrebbe dovuto avviare una riflessione sul ruolo che le donne italiane hanno avuto nella realizzazione del progetto di società democratica, che si delineò a partire dal 1946(e ancora prima con la Resistenza)con la partecipazione al voto e che si sarebbe consolidato negli anni a venire lungo l’arco della storia repubblicana.
A Marisa, Elisabetta e… Melchisedec
@Marisa e @Elisabetta
Ringrazio Marisa ed Elisabetta per le loro reazioni alla mia riflessione: interessanti perché legate all’esperienza concreta e perché in qualche modo fra loro complementari; sicuramente un contributo importante alla discussione.
Io, sul punto, sono convinto della necessità di distinguere fra la didattica della scrittura che si fa negli anni in classe (e lì benvenute tutte le sperimentazioni, tutte le tipologie, compresa la plausibile invenzione di notizie d’attualità) e gli strumenti con cui valutare, alla fine del percorso, il lavoro fatto. Io credo che in quest’ultimo caso sia opportuno semplificare, dare tracce chiare e allo stesso tempo aperte a vari approcci testuali: se gli studenti avranno lavorato bene nel senso indicato da Elisabetta, sapranno trovare nella loro cassetta degli attrezzi gli strumenti adatti a esprimersi e argomentare al meglio. In caso contrario, dando tracce molto vincolanti, rigide, magari anche con tesi già implicitamente suggerite, non si farà altro che chiedere una esecuzione acritica di un esercizio, o invitare al generico bla bla bla di cui parla Marisa. E, nella pratica didattica, saremo costretti (come spesso succede ora) ad addestrare all’applicazione di regole e formule astratte (insegniamo “come si fa il saggio breve”: una forma testuale inventata per la scuola e che MAI gli studenti si troveranno a scrivere fuori dalla scuola: abbiamo, in questo senso, creato una chimera peggiore del vecchio “tema”) e non a sviluppare le vere competenze di scrittura.
@melchisedec
Mentre entravo nel sito per postare il commento qui sopra, ho trovato anche il tuo, e mi ha fatto piacere scoprire che condividiamo il giudizio di massima sulle singole tracce e che anche tu consideri significativa la tendenza ad una sostanziale omogeneizzazione della struttura delle tracce. Avessi conosciuto il tuo post, avrei potuto rimandare a quello per molte parti! PS: questo nome, melchisedec, mi suonava familiare, nella blogosfera, così ho fatto una piccola ricerca e ho scoperto che c’eravamo già confrontati su questi temi nel mio blog lo scorso anno: a questo punto, visti gli interessi comuni e la vicinanza dei punti di vista, dobbiamo elaborare un progetto di riforma della prima prova degli esami di stato ;-)…
risposta a gabriele
Gentile Gabriele, l’elemento confortante è che, sebbene non ci conosciamo e non abbiamo quindi avuto modo di confrontarci sulle questione scottante della tipologia B, condividiamo molte perplessità; nella pratica didattica quotidiana quelle perplessità diventano anche motivo di “imbarazzo”, nel momento in cui si ricercano e selezionano i documenti da inserire nei saggi da destinare agli studenti. Talvolta si presume di creare delle impalcature solide, speranzosi che gli studenti possano, a loro volta, avviare un discreto lavoro di costruzione coesa e coerente, ma poi la realtà effettuale smentisce e mortifica le aspettative.
Accetto la proposta. 🙂
Se ti è possibile, ricordami l’indirizzo del tuo blog anche tramite e-mail.