Didattica speciale e specialismi. Un chiarimento/Il dibattito sui BES 7
Credo che la dinamica che era stata avviata nella scuola, e che per brevità ho definito degli specialismi, vada chiarita e compresa. Se un insegnante incontra un bambino cieco, e quello stesso insegnante è totalmente sprovveduto, ossia ignora tutto di tiflologia, di didattica specifica, è abbastanza evidente che il suo lavoro risulterà poco utile e poco efficace. In anni ormai lontani, con qualche amico dell’Istituto Cavazza di Bologna, Istituto dei Ciechi, cercammo, con successo, di fornire a insegnanti impreparati un appoggio competente, con la finalità di permettere all’insegnante sprovveduto di impadronirsi delle capacità per seguire quel bambino o quella bambina “speciale”. In un anno, l’obiettivo fu raggiunto: l’insegnante non aveva più bisogno di un affiancamento specialistico, perché aveva integrato le opportune competenze. Questo modo di procedere non significa negare le specifiche esigenze, quanto piuttosto attivarsi per integrarle in un profilo professionale più completo.
La deriva degli specialismi tenta di dare risposte seguendo un’altra logica. E’la logica della separazione delle figure professionali, con da una parte insegnanti generalisti, con il rischio di essere insegnanti generici; e dall’altra insegnanti specializzati, secondo il criterio di collegare le specifiche specializzazioni ai profili diagnostici corrispondenti per specificità. Questa deriva è, a mio parere, irta di rischi.
Proviamo a indicarne uno:
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Non sono poche le situazioni che si presentano con problemi multifattoriali. Un soggetto disarmonico, potrebbe essere considerato con ritardo mentale, ma anche con problemi psichici. E potrebbe avere qualche disturbo del comportamento alimentare. E’ un esempio, ma non dovrebbe distogliere dal fatto, articolabile in un numero non piccolo di esempi, di situazioni che si collocano nel termine “multifattoriale”. Quale specializzazione mettiamo in gioco? Tante specializzazioni quante sono le sfaccettature del problema?
Proprio i ciechi hanno aperto una strada che chiameremmo del “sostegno evolutivo”, secondo la logica che un soggetto cieco deve poter crescere in un mondo organizzato da chi vede. L’insegnante specialista sa proporre una dinamica evolutiva? Questa è facilitata o ostacolata dalla Cm relativa ai BES? Se la stessa Circolare indica una linea di tendenza che corregge la direzione della deriva specialistica, vedremo in questa una possibilità che si attivi la dinamica evolutiva. Il seguito dovrà essere lo snellimento e la diminuzione delle scartoffie da stilare, delle riunioni sfiancanti, degli scaricabarile umilianti, eccetera.
Se leggiamo questa inversione di tendenza come una premessa e una promessa, consideriamo che accanto ad essa vi sia qualche altro impegno in prospettiva di:
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avviare un programma di restaurazione e bonifica degli edifici scolastici, che tenga conto delle reali esigenze di chi vive bisogni educativi speciali.
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Contenere il numero di alunni per classe, perché il gruppo classe sia vivibile per chi ha bisogni educativi speciali.
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Valorizzare modalità valutative che tengano conto della sincronia dei risultati e aprano alla diacronia delle possibilità.
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Riportare le dirigenze scolastiche alle dimensioni che ne permettano l’assunzione di responsabilità non solo burocratiche, e cioè riducendo drasticamente le reggenze.
Queste indicazioni potranno essere prospettiche, e cioè da sviluppare nel tempo. Ma vanno lette in questa possibilità di sviluppo. Sapendo che le nostre cattive abitudini possono rendere difficile la lettura in prospettiva.
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Eliminiamo l’insegnate di sostegno?
Quindi rendiamo il docente della materia capace di affrontare tutto i bisogni speciali degli alunni ed eliminiamo l’insegnate di sostegno. Invece non sarebbe meglio rendere l’insegnante di sostegno realmente capace di affrontare le varie difficoltà degli alunni e farlo diventare uno specialista del disagio? Il sostegno è oggi considerato invece una passerella con cui arrivare più facilmente al ruolo.
risposta al commento
[quote name=”Miriam Andrisani”]Quindi rendiamo il docente della materia capace di affrontare tutto i bisogni speciali degli alunni ed eliminiamo l’insegnate di sostegno. Invece non sarebbe meglio rendere l’insegnante di sostegno realmente capace di affrontare le varie difficoltà degli alunni e farlo diventare uno specialista del disagio? Il sostegno è oggi considerato invece una passerella con cui arrivare più facilmente al ruolo.[/quote]
L’insegnante di sostegno è “uno specialista del disagio” e prima di definire il sostegno una passerella, (forse per coloro che girano intorno a lei), serei un attimino più cauta. Mi dispiace se lei ha incontrato solo passeggiatrici in passerella.
BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI O BISOGNO DI UNO SPECIALE CAMBIAMENTO DELLA SCUOLA ?
[b] BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI O SPECIALE CAMBIAMENTO DELLA SCUOLA ? – 1/5 (*)
APPELLO PER UN MOVIMENTO PEDAGOGICO–EDUCATIVO DEL “PENSAMI ADULTO” [/b]
(*) Per una migliore accessibilità, abbiamo suddiviso il nostro contributo al dibattito sui “Bisogni Educativi Speciali” (BES) in 5 parti che, se ci sarà permesso, verranno pubblicati successivamente.
Di Ermanno Tarracchini e Valeria Bocchini
(Docenti specializzati per il sostegno ex docenti universitari SSIS-Sostegno ) PARTE I
A CHE COSA E A CHI SERVE DEFINIRE “SPECIALI” I BISOGNI UMANI DI CRESCITA ED APPRENDIMENTO?
E’ stato scritto che [i]“[…] il concetto di BES non ha alcun valore clinico, ma “politico” e dunque dovrebbe agire nei contesti delle politiche di riconoscimento dei diritti e di allocazione delle risorse. L’eventuale sua utilità dovrà essere in questi contesti, in cui recentemente è apparso con evidenza anche a livello nazionale con la Direttiva di Dicembre e la Circolare di Marzo[…].”[/i] ( Ianes BES 2013)
Siamo d’accordo ma…non possiamo non rilevare una contraddizione in termini quando leggiamo (sempre in Ianes BES 2013)
[i]”[…] Nel merito di questi due provvedimenti, ritengo comunque che essi siano passi avanti verso una scuola più inclusiva, anche se il concetto di BES è ancora prevalentemente centrato sulle patologie e non sul funzionamento umano ICF e quello di inclusione, di conseguenza, è ancora visto come estensione ad alcuni alunni (con BES) di azioni individuali di personalizzazione-individualizzazione (peraltro necessarie) piuttosto che strutturazione diffusa di Didattiche inclusive.[…]”[/i]
Ancora non possiamo non essere d’accordo sui principi generali riportati e sull’intento dichiarato di una [i]“strutturazione diffusa di Didattiche Inclusive” [/i] ma, l’ottica differenzialistica è tradita dalle parole [i]“alunni con BES”[/i]. Quando, un qualsivoglia provvedimento permette l’impiego di una tale terminologia (che sia “[i]I miei alumni con DSA” o “i miei alunni con Deficit di Attenzione ed Iperattività” “i miei alunni con BES” o “con FIL”…[/i]) anzichè chiamare per nome e cognome ogni singolo studente, nasconde l’ottica della ghettizzazione. Proprio per questo, esprimiamo un dubbio, un ragionevole dubbio come ricerca della verità, a proposito dell’ennesima etichettatura [i]“Bisogni Educativi Speciali”[/i] . Noi insegnanti, educatori e pedagogisti dobbiamo lavorare per una scuola migliore e di qualità per tutti, e non creare categorie e ghetti vari, funzionali alla logica della medicalizzazione – cioè del profitto – più o meno mascherata come estensione dei diritti da una categoria di bambini ad un’altra.
INVECE DOBBIAMO RIPRENDERCI L’EDUCAZIONE, per dare ad ognuno quello di cui abbisogna secondo i suoi mezzi – cioè tenendo conto e rispettando la sua personale biografia socio-apprenditiva – e non solo, “privilegiare” coloro che pagano lo stigma di una segnalazione per un presunto “disturbo” o per un bisogno educativo-apprenditivo non soddisfatto dal precedente iter scolastico e per questo etichettato o come “disturbo” o come “speciale”.
SIAMO PER UNA RIPRESA DEL RUOLO GUIDA DELLA PEDAGOGIA nella scuola e nella società, per riprenderci la delega offerta agli esperti della “psiche” ed imposta dal sopravvento della cultura “terapeutica”, intesa in senso clinico (e non in quello, etico e pedagogico, del prendersi cura del prossimo, come vorremmo noi) importata dal mondo anglosassone a partire dalla metà del secolo scorso, sottoforma di massiccia prassi medicalizzante al servizio del profitto ricavato dall’invenzione di disturbi e malattie alla moda come “il mito del bambino iperattivo.”
Occorre una risposta ai bisogni educativi personali di tutti: contro lo stigma, le etichette e le categorie dei disturbi misti o dei bisogni speciali, anche perchè… dallo “speciale” al “disturbo” il cammino potrebbe essere [i]breve e scivoloso[/i].
LA SCUOLA NON PUÒ ESSERE DISPENSATA DALL’EDUCAZIONE E DALL’ISTRUZIONE.
Premettiamo che siamo, o siamo stati, insegnanti per il sostegno da 25-30 anni e oltre, (e docenti universitari a contratto nei corsi SSIS dell’Università di Modena e Reggio E.) e che ora condividono la preoccupazione per l’applicazione, nelle variegate realtà scolastiche italiane, della Circolare n.8/13 sui cosiddetti BES e, soprattutto, per il businnes della formazione da attuare sui docenti, ambito che ha già scatenato e scatenerà feroci appetiti di monopolio universitario-accademico o psicologico-clinico e iniziative orientate all’approccio “patologico” e “dispensativo” – stile “DSA”, per intenderci – anzichè promuovere l’autoformazione dei docenti in termini di ricerca e sperimentazione di strategie pedagogico-didattiche orientate alla diversità di “funzionamento” della mente dei bambini e dei ragazzi, in rapporto ai diversi sistemi educativi e socio-economici in cui si trovano immersi ( ICF). Ci chiediamo: come fare per impedire l’ulteriore perniciosa infiltrazione dell’ottica dei disturbi nella formazione dei docenti, attraverso i BES? Come impedire che la formazione sui BES diventi tout court un potenziamento ed una ulteriore esasperazione della de-formazione sui “disturbi” che, in tutti questi anni, ha colonizzato le menti dei docenti, imperversando nel mondo della scuola attraverso l’esasperante ossessione diagnostica dei cosiddetti DSA, costringendo gli insegnanti a termini di legge (L.170/10) a dispensare gli alunni dall’apprendimento e, al contempo, a dispensare se stessi dall’insegnamento?
No, la scuola non può essere dispensata dall’educazione e dall’istruzione, come sta succedendo in questi anni! Tutti felici e contenti: insegnanti che non devono più preoccuparsi dell’apprendimento da parte degli studenti che richiedono maggior impegno, umano e professionale e che, a loro volta, sono dispensati dall’insegnamento, dal trovare strategie pedagogiche alternative per raggiungere la mente dei loro studenti (se c’è riuscita Anna Sullivan con Helen Keller, una bimba sordocieca …). Quale futuro per loro, per i nostri figli-studenti: l’identificazione e la riduzione della loro persona ad un loro presunto disturbo o bisogno speciale, oppure la valorizzazione di biografie e personalità socio-apprenditive in continua evoluzione le quali, se non verrà loro impedito, sapranno prima o poi trovare la strada per il riscatto?
“No, tu non sei una r scritta con brutta calligrafia… un’inversione di sillaba… una lettura stentata”, ripetiamo ai nostri studenti perchè non restino inchiodati alla parte eventualmente e temporaneamente mancante del loro cammino di conoscenza ed apprendimento, a causa di una etichetta che vorrebbe ridurre la loro personalità ad un errore di scrittura, lettura, calcolo o, perché no, ad un “bisogno speciale”.
Allora pensiamo ad una scuola che li pensi già adulti, una scuola che li sostenga senza stigmi, lungo il percorso bio-socio-apprenditivo di cui non conosciamo ancora gli esiti, ma che possiamo già intravedere o immaginare, alla luce di nuovi ritmi educativi e pedagogici: un nuovo clima, nella vita di classe e nel rapporto docente -discente. Una scuola più lenta. La pedagogia della lentezza, contro l’ossessione del tutto e subito, del saper scrivere e leggere perfettamente dopo tre mesi di primaria. Ritmi più lenti e diversificati più a misura di apprendimento per tutti, ossia senza la fretta e le ossessioni – valutative e diagnostiche- delle categorie più o meno medicalizzanti. La Pedagogia é la scienza, nata con l’umanità stessa, dell’accompagnamento e della valorizzazione delle potenzialità personali di ognuno, della fiducia nel loro ampio e positivo dispiegamento, nel rispetto dei tempi personali e del soddisfacimento dei bisogni di crescita dei piccoli della specie umana.
Modena, 12 Luglio 2013