
«Sentinella, quanto resta della notte?».[1] Sulla militarizzazione delle scuole italiane
E allora il maestro deve essere per quanto può, profeta, scrutare i “segni dei tempi”.
L. MILANI, Lettera ai giudici, Barbiana, 18 ottobre 1965
Mentre mi accingo a scrivere questo articolo, mi vengono in mente queste bellissime parole di don Lorenzo Milani, contenute nella Lettera ai giudici citata in esergo, riferite alla capacità che dovrebbe avere un insegnante «di indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso». Accenna, don Lorenzo, al dono della profezia che dovrebbe caratterizzare chi insegna, a quella intrinseca capacità di anticipare letture del presente e di indicare direzioni per il futuro. Tale capacità dovrebbe derivare da una profonda conoscenza del passato e da un ascolto attento della realtà attuale. «La scuola – scrive infatti don Milani – siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi» (ibidem). A questo ascolto profondo, a questa capacità di saper leggere i segni dei tempi con senso critico e costruttivo al tempo stesso, credo sia oggi più che mai chiamato ogni docente se vuole davvero essere in-segnante, ossia una persona che lascia un segno nel cuore dei ragazzi e nella società che, con la sua professione, contribuisce a formare.
Che tempi sono questi per la scuola italiana? Mi pare di poter dire che sono tempi oscuri. Oscuri su tanti fronti che riguardano il ruolo del docente, il suo peso culturale, il suo riconoscimento economico e sociale, ma anche i tanti problemi e le numerose emergenze che quotidianamente si affrontano a scuola. Ma in questo spazio voglio porre l’attenzione su un particolare fenomeno che in questi ultimi anni si sta diffondendo, in modo abbastanza subdolo, pericoloso e pervasivo nella politica scolastica, e cioè l’intento di militarizzare la scuola sia attraverso le indicazioni che vengono offerte per la didattica nei documenti ufficiali, sia con una serie di proposte e di iniziative che vedono membri delle Forze dell’ordine o dell’Esercito presenziare ad incontri nelle scuole o, viceversa, le scuole frequentare gli spazi dove le Forze dell’ordine o l’Esercito operano.
Un primo esempio di quanto intendo dimostrare è fornito dalle nuove Linee guida per l’educazione civica pubblicate il 7 settembre 2024. Colpisce come nel testo si sottolinei, tra le finalità dell’educazione civica, il fatto che tale disciplina «può proficuamente contribuire a formare gli studenti al significato e al valore dell’appartenenza alla comunità nazionale che è comunemente definita Patria, concetto che è espressamente richiamato e valorizzato dalla Costituzione». Nel succitato documento il termine “patria” ricorre cinque volte (tre volte in più che nella Costituzione), mentre la parola “pace” non è mai menzionata (a differenza della Costituzione, dove compare due volte). L’assenza di un qualsiasi riferimento alla pace in un testo che ha l’ambizione di orientare l’educazione civica degli studenti stride pesantemente con il fatto che proprio nei pedagogisti italiani, oggetto di studio nei programmi scolastici come nei concorsi a cattedra, l’educare alla pace è tema imprescindibile della formazione delle giovani coscienze. Il pensiero va ancora a don Milani e alla sua scuola di Barbiana saldamente attestata su un ideale non solo di generale pacifismo, ma di esplicita condanna di ogni guerra e di anti-militarismo, o alla figura di Maria Montessori per la quale «costruire la pace è l’opera dell’educazione, la politica può solo evitare la guerra…Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione» (M. Montessori, Educazione alla pace, 1949).
Ma nelle scuole ormai da tempo arrivano proposte di altro tipo, che vanno esattamente in direzione contraria.
È passata quasi inosservata, anche negli ambienti scolastici, la notizia che il 4 novembre del 2024 il MIM ha bandito il “Concorso nazionale sul ruolo delle Forze Armate e del Militare italiano” intitolato: “‘L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino’- art. 11 e art. 52 della Costituzione italiana. Il Militare italiano: baluardo dei valori di civiltà a tutela della pace e della libertà”. Tale concorso, destinato alle scuole secondarie di secondo grado, prevede che gli studenti presentino un elaborato, anche grafico o multimediale, sulle forze armate come “strumento di difesa di libertà e pace”.
Le possibili tematiche degli elaborati vanno dal ruolo delle Forze Armate nell’attuale momento storico, alla figura del militare italiano nel passato e nel presente, con particolare riferimento al suo ruolo nella società civile o nella storia, nella letteratura, nella musica, nella cultura popolare e nell’arte rinvenendo esempi e modelli da imitare; dal servizio di leva obbligatoria al servizio civile nazionale come servizio a favore della collettività fino alla celebrazione delle ricorrenze del 2 giugno e del 4 novembre. I vincitori di tale concorso saranno premiati durante la Festa della Repubblica del prossimo 2 giugno 2025. Se non bastasse il bando in oggetto a creare un forte disagio in chi si occupa di formazione dei giovani, merita sottolineare come lo stesso sia stato pubblicizzato anche nella pagina web della Cdo Opere Educative-FOE, una associazione cattolica aderente a Compagnia delle Opere e a Cdo Opere Sociali che – come si legge nel sito stesso – “è costituita da enti gestori di scuole non statali, centri di formazione professionale e istituzioni educative, che hanno come fine l’educazione, la formazione e l’istruzione dei giovani”. Inevitabili allora alcune domande: di quale educazione stiamo parlando? A quali valori si intende far riferimento nella costruzione dell’uomo e del cittadino di domani? Quale forma si intende dare alle nuove generazioni? Di cosa vogliamo informarli perché prendano forma umana? Non ci sfiora il dubbio che un certo tipo di formazione e informazione concorra a deformare piuttosto che a formare i nostri ragazzi, inducendoli ad aderire a proposte ideologicamente non neutre?
Le iniziative che si inseriscono in questo progetto di militarizzazione delle scuole si moltiplicano a dismisura: si va dall’invito dell’Aeronautica Militare alla giornata per i giovani dal titolo “Proteggiamo ciò che ami” prevista per il 26 marzo scorso presso l’aeroporto militare di Ghedi (BS) (in cui preme qui sottolineare sono depositate decine di bombe atomiche di ultima generazione, le B61-12) durante la quale sono state svolte attività di informazione e orientamento a favore degli studenti, con particolare riferimento agli aspetti relativi alle prospettive di carriera e all’arruolamento in Aeronautica Militare, alla circolare che il MIM ha diramato ai dirigenti scolastici del territorio di Avellino, Benevento e Salerno nella quale si auspicava il coinvolgimento di studenti e studentesse dell’istruzione secondaria di secondo grado nelle attività di promozione dell’Aeronautica Militare; dalla circolare in cui il MIM, sempre d’intesa con il Ministero della Difesa, ha pubblicizzato il tour della nave scuola della Marina Militare “Amerigo Vespucci” e invitato le scuole ad incontrare il suo “personale altamente qualificato” per un percorso di orientamento, al progetto promosso dal Comando Interregionale Marittimo Sud, intitolato “Il mare e Taranto, un gioco di Squadra!” che ha visto ben 250 tra studenti e studentesse dell’IIS Liside-Cabrini di Taranto all’interno della Portaerei Cavour, l’ammiraglia della Marina Militare; o ancora ad attività sempre di orientamento come quelle proposte dall’associazione AssOrienta che nel torinese ha incontrato alcune classi quinte per presentare le “Carriere in Divisa”, con il dichiarato intento di informare gli studenti sulle opportunità professionali e di studio nel settore militare, fino ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, oggi PCTO, che prevedono la presenza degli studenti in basi e infrastrutture militari, anche dentro le maggiori aziende del comparto militare-industriale.
E gli esempi, relativi alle scuole di ogni ordine e grado, potrebbero moltiplicarsi.
In relazione al tentativo di propaganda militare negli ambienti scolastici la questione risulta ancora più seria se allarghiamo il nostro sguardo al contesto europeo. Il giornalista Sigfrido Ranucci ha infatti recentemente denunciato quanto è accaduto al Parlamento europeo in merito alle direttive che sono state date agli stati membri sulle politiche scolastiche da adottare. Il 2 aprile 2025 è stato approvato a Strasburgo l’articolo 164 della Risoluzione sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune che così recita: «Il Parlamento europeo invita l’UE e i suoi stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, per le scuole, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate». Qualche riga più sotto, nell’articolo 167, si legge che il Parlamento europeo «chiede, inoltre, di mettere a punto programmi di formazione dei formatori (quindi di formazione degli insegnanti, n.d.r.) e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell’UE, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili» (Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024). Questo documento è stato pubblicato pochi giorni dopo la diffusione del video, sul proprio account social, della commissaria europea per la gestione delle crisi Hadja Lahbib, in cui la stessa mostrava, non senza una punta di ironia, il suo kit di sopravvivenza in caso di guerra (se ne è scritto anche su questo blog). Anche il Parlamento europeo, dunque, invita ad educare i giovani alla guerra e addirittura a mettere a punto giochi di ruolo ed esercitazioni che simulano la guerra nelle università.
Basta dunque unire i puntini per rendersi conto del disegno sotteso a questi progetti, ovvero il tentativo di convertire le scuole e le università in spazi di propaganda militare in un tempo storico fortemente connotato da conflitti in varie zone del mondo, anche molto vicine a noi, e da insistenti politiche di riarmo. Colpisce come questo subdolo disegno che passa purtroppo inosservato alla maggioranza di coloro che nella scuola lavorano quotidianamente, non sia invece sfuggito ai genitori degli studenti del Polo Liceale Statale “Lucio Piccolo” di Capo d’Orlando (ME) la cui dirigente aveva inviato una circolare avente come oggetto l’organizzazione di un incontro di orientamento scolastico con gli ufficiali del 24° Reggimento “Peloritani” di Messina, reparto della Brigata meccanizzata “Aosta” dell’Esercito italiano. Lo scopo dell’incontro era quello di far conoscere ai ragazzi del biennio le scuole di alta formazione culturale e militare la Nunziatella di Napoli e la Teulié di Milano e fornire agli alunni della classe quinta informazioni riguardanti la storia e le attività delle Forze Armate, i possibili sbocchi occupazionali nonché tutte le indicazioni relative al concorso per l’accesso all’Accademia Militare di Modena.
In risposta a tale circolare, alcuni genitori hanno scritto una lettera alla dirigente «nella speranza di stimolare, anche tra i docenti, una seria riflessione sull’urgenza della pace e sulla necessità di lasciare la guerra fuori dalla scuola». «Pensiamo – hanno scritto – che sia inopportuno che la scuola, che è il luogo in cui si formano le coscienze, si coltivano i valori e si costruisce il futuro, venga trasformata in terreno fertile per la diffusione di ideologie militariste e per l’orientamento dei giovani alla guerra. Nell’attuale scenario sociale e politico stiamo assistendo alla normalizzazione dell’educazione alla guerra in un clima sempre più preoccupante. (…). Ogni guerra è una sconfitta per l’umanità. La guerra è morte, distruzione, sofferenza indicibile e non può mai essere presentata come una soluzione ai conflitti. La scuola ha il compito di insegnare ai giovani l’arte del confronto, del dialogo e della comprensione reciproca. Dovrebbe essere un ambiente in cui si promuove la cultura della pace, della diplomazia e del rispetto delle differenze. Ogni tentativo di introdurre attività dal sapore militarista rischia di minare questi obiettivi fondamentali. (…) Non si può permettere che scuole e studenti diventino un bacino di reclutamento o un veicolo di consenso per attività militari. La Costituzione italiana all’art. 11 afferma chiaramente che l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Questa non è una frase vuota ma un principio fondamentale che deve guidare ogni scelta educativa. Ogni studente ha diritto ad un’educazione che lo formi come cittadino consapevole, critico e capace di contribuire ad un mondo migliore. Non come futuro soldato di conflitti che arricchiscono pochi e distruggono le vite di molti. La scuola è il cuore pulsante della società e deve restare uno spazio di pace».
È proprio per far fronte alla propaganda militarista che a marzo 2023 alla Camera dei Deputati è stato lanciato un appello, firmato da un centinaio tra docenti di scuola pubblica e universitari, da cui è nato l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Tale organismo rappresenta oggi un importante punto di riferimento per il mondo della scuola ma anche per quel mondo politico e sociale più impegnato contro i processi di militarizzazione e riarmo e contro la guerra.
Pur essendo assolutamente consapevoli della necessità, per un Paese, di provvedere alla propria difesa, pare però oggi importante soprattutto riaffermare il ruolo della scuola come spazio democratico ove si forma a quel pensiero critico che «impedisce la cieca sottomissione ad alcuna autorità mortale» (A. EINSTEIN, Pensieri, idee, opinioni, 1950). E la salvaguardia di questo ruolo della scuola credo debba essere operata innanzitutto da chi in essa lavora, dai dirigenti come dagli insegnanti, attraverso continue scelte eticamente connotate rispetto alle proposte che da più parti vengono avanzate. La cieca obbedienza, anche oggi, non è più una virtù. Virtù è invece salvaguardare il ruolo profetico della scuola, la funzione di “sentinelle” del futuro dei suoi operatori, riappropriandosi della più necessaria delle profezie che è quella della pace e dell’educazione alla non violenza e alla convivenza pacifica tra i popoli. In fondo è una questione di futuro. E «il futuro – direbbe Herbert George Wells, visionario scrittore britannico – è una gara, una gara tra l’istruzione e la catastrofe».
[1] Isaia, 21,11.
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