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diretto da Romano Luperini

Morto un Papa…

Il detto popolare “morto un papa se ne fa un altro” allude al fatto che nessuno è indispensabile e anche una persona importantissima può essere sostituita. Al di là di un certo relativismo, può avere anche il senso della continuità dell’istituzione planetaria più antica, la Chiesa cattolica, la cui esistenza ha superato due millenni e la cui storia coincide ampiamente con quella planetaria, in particolare occidentale. I suoi meccanismi rituali sono ampiamente rodati e condivisi, compresi quelli per l’elezione del nuovo papa. Ma non penso sarà facile sostituire Papa Francesco per i fattori di novità che ha rappresentato nella storia della Chiesa. È stato detto da più parti che il papato di Jorge Bergoglio ha caratteri di unicità “rivoluzionaria”. Da sponde culturali diverse, religiose e no, ne hanno parlato Massimo Recalcati e Lucio Caracciolo. Il primo ha scritto da una specifica prospettiva religiosa: «La sua eredità apre chiaramente su di un conflitto che mette in gioco non una semplice successione, ma l’identità cristiana come tale» («La Repubblica», 25 aprile 2025). La Chiesa si dividerebbe secondo Recalcati tra chi «vorrebbe seppellire Francesco nel marmo austero e grandioso del tempio, addomesticandone il messaggio scandaloso, considerando il suo pontificato una sorta di parentesi populista-pauperistica che deve essere richiusa il prima possibile» e chi insiste «nel vedere nella sua testimonianza la ripresa di un cristianesimo radicale». Caracciolo considera il suo papato «rivoluzionario» all’interno di una istituzione, che non può essere riformata, e inevitabilmente «un sentiero interrotto» di un papa molto contestato e diverso da tutti i predecessori («Limes», Mappa Mundi, puntata registrata il 21 aprile del 2025). Una «ferita» aperta nella storia della Chiesa viene definita da Recalcati.

Umanizzazione del papato?

Abbiamo assistito a una sorta di “umanizzazione” del papato, che ha un precedente paragonabile in Giovanni XXIII, il “papa buono”, e che esordisce fin dall’inizio, dalla scelta inedita del nome, che richiama il messaggio dirompente di Francesco d’Assisi, e dal «fratelli e sorelle, buona sera», con cui esordisce dal balcone di San Pietro il 13 marzo 2013, a significare “sono un uomo comune, uno di voi”, che prosegue con il rifiuto di occupare l’appartamento papale e rimane uno straniero “dalla fine del mondo” nella foresteria di Santa Marta fino alla scelta di farsi seppellire nella nuda terra fuori dai marmi del Vaticano. Anche l’affermazione «chi sono io per giudicare un gay che cerca il Signore?» (29/7/2013) introduce l’invito a benedire con misericordia le loro unioni con grandissimo scandalo della Chiesa tradizionale e dottrinaria, che aveva presieduto all’elezione del suo predecessore, Ratzinger.

La Chiesa non è quella di prima

La Chiesa, che ha portato Bergoglio al soglio di Pietro, e ancor più quella che si lascia alle spalle, non è quella di prima: è una Chiesa de-italianizzata, de-europeizzata, molto più radicata nelle periferie del mondo, in Sud America, in Asia e in Africa, dove vive la stragrande maggioranza dei cattolici di oggi. Tale maggioranza ha voluto Bergoglio come papa e Papa Francesco l’ha privilegiata nella formazione del collegio cardinalizio, che eleggerà il suo successore. Su 135 cardinali, 133 sono convocati nel conclave che si apre il 7 maggio, 109 sono stati elevati alla porpora da Papa Francesco, solo una minoranza (59) sono europei. A fronte di una maggioranza extraeuropea, vi sono paesi europei cattolici che non esprimono alcun cardinale (Irlanda e Austria). Da un punto di vista geopolitico corrisponde anche un processo materiale: la Chiesa italiana, che per secoli ha prevalso nella gestione della curia romana, come espressione di un paese di importanza secondaria nel globo, esprime una visione universalizzante e poco nazionale. Nel pensiero di Bergoglio la centralità delle periferie assume un ruolo teorico, un punto di vista “dal basso” secondo quello che Ernesto Balducci attribuiva a Francesco d’Assisi (cfr. la biografia del 1989) o forse potremmo dire meglio «dal margine». È lo «sguardo di Magellano» come lo definiva Bergoglio stesso nel discorso del 6 gennaio del 2016 di fronte al Gotha delle istituzioni europee in occasione del conferimento del premio Carlo Magno, rivendicando la propria origine latino-americana, l’essere il vescovo di Roma chiamato dalla fine del mondo. Nel colloquio con Martin Scorsese riconobbe la loro comune provenienza “dalla strada”, ricordando la sua infanzia e adolescenza nei quartieri popolari di Buenos Aires. Il regista dedicherà un prossimo docu-film a questo incontro.

Il nucleo teorico del pensiero di Bergoglio

Si è molto discusso sulla formazione “politica” e culturale di Bergoglio, laureato in filosofia e accusato dai suoi detrattori di essere “comunista”, in particolare dagli oppositori tradizionalisti soprattutto statunitensi. Filologicamente non è provata la notizia che il mentore gesuita dei suoi studi fosse di formazione marxista, ma al suo pensiero sembrano aver contribuito anche autori marxisti. È stato fatto il nome di Antonio Gramsci a proposito della «globalizzazione dell’indifferenza» nella famosa omelia di Papa Francesco tenuta a Lampedusa nel luglio del 2013 sulla strage di migranti nel canale di Sicilia (Francesco Virga nel sito Dialoghi mediterranei, 1/7/2018). Comunque, Bergoglio ha preso pubblicamente le distanze dall’ideologia marxista nell’intervista a «La Stampa» del 15/9/2013, rifiutando le accuse degli ultra conservatori americani per le sue critiche al sistema capitalista, pur dicendo di aver «conosciuto tanti marxisti buoni come persone». Penso che il punto di vista di Bergoglio sia quello “evangelico” di Francesco d’Assisi, cioè l’ispirazione dal messaggio integrale dei Vangeli soprattutto in riferimento alla povertà. Ritorna il discorso delle “periferie”. Nell’enciclica Laudato si’ (2015), che prende le mosse dal Cantico delle creature,il nucleo teorico è l’“ecologia integrale”, la quale si fonda sull’interconnessione tra la crisi ambientale e la crisi sociale. Bergoglio propone una conversione ecologica e sociale, che riconosca la dignità di ogni essere vivente e la necessità di una giustizia riguardante i mondi naturale e umano insieme. È una sorta di decentramento antropologico, in cui l’uomo non è tanto il centro della creazione, ma è «custode e non padrone o despota della natura». Questo fonda la necessità di uno sviluppo economico sostenibile, in cui le ricchezze del pianeta siano equamente accessibili a tutti, in particolare ai poveri e agli ultimi. Lo sguardo è “marginale”, dalla parte di chi sta nelle periferie del mondo, in particolare i migranti, di cui Bergoglio si considera parte. Sono “gli scarti”, quelli che dalla cultura del consumismo e dello sviluppo economico diseguale, sono confinati ai margini del campo visivo. Nello stesso torno di tempo Bergoglio conia l’espressione «la terza guerra mondiale a pezzi» (2014), un’intuizione geopolitica di grande successo ben prima che esplodessero i conflitti in Ucraina e in Palestina, ma che teneva conto di tutti gli oltre cinquanta conflitti armati piccoli e grandi esistenti sul pianeta. La Chiesa per sua natura universale è portata a fare i conti con la geopolitica (ricordiamo Benedetto XV con la grande guerra come «inutile strage», Giovanni XXIII protagonista del disgelo della guerra fredda, Giovanni Paolo II ossessionato da mettere fine all’esperienza sovietica). Papa Francesco in epoca non sospetta colse un processo drammatico che dalle periferie muove verso il cuore dell’Occidente. Quindi il paradigma della centralità delle periferie enuncia lo sguardo “marginale”, che diventa modello generativo dell’intero pensiero di Bergoglio, il quale non può essere banalizzato come una specie di rivendicazione della propria origine, che pure ha un peso nella teorizzazione. Come si può notare dalle date i principali nuclei teorici del pensiero di Bergoglio si addensano nei primi anni di pontificato. Ciò può indicare che all’epoca dell’ascesa alla cattedra di Pietro il pensiero di Papa Francesco era già articolato nei suoi gangli essenziali.

La successione

Il punto centrale della successione sta proprio nella capacità che il prossimo conclave avrà nell’assumere l’eredità di questo pensiero, difficilmente riconducibile allo schema tutto politico della contesa tra cardinali conservatori o progressisti. Va detto, prima di addentrarci nel discorso, che tutto ciò cala una pietra tombale non tanto sulla rivendicazione italiota di un “papa finalmente italiano”, che pure potrebbe verificarsi con l’elezione di uno dei più stretti collaboratori di Papa Francesco (nell’ordine di probabilità Zuppi, Parolin o Pizzaballa), ma soprattutto sull’idea di un “collateralismo cattolico”, che darebbe nuovo fiato a un “centro” dello schieramento politico. Il conclave è remoto da questa ipotesi, ha ben altro di cui occuparsi. Chi si appiglia a questa idea non ha alcuna consapevolezza dei processi sociali, economici e culturali in atto. Intanto è cominciato il fuoco di sbarramento degli oppositori di Bergoglio, che ne vogliono mettere sotto processo il suo papato. Giocano d’anticipo perché si prospettano una lunga corsa. Dalle indiscrezioni che filtrano c’è chi prevede un conclave breve ed altri lungo. La prima opzione dipende dai seguaci di Bergoglio, soprattutto nella chiesa asiatica o comunque “altra”: se riusciranno a trovare un punto di sintesi. La seconda poggia su quanto riusciranno a coalizzarsi gli oppositori. Comunque, dal conclave uscirà una soluzione mediata. Non credo che si troverà un uomo all’altezza di Papa Francesco, con lui perdiamo la voce forse più conseguente a favore della pace contro tutte le guerre e della giustizia sociale, di cui noi comuni mortali abbiamo bisogno.

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