
Breve nota sulla scuola antisemita
Leggiamo sulla prima pagina di un quotidiano («Il giornale», 29 ottobre) il titolo «LA SCUOLA ANTISEMITA», e le successive precisazioni nel sottotitolo: «“Compiti sul “genocidio” a Gaza, fake news a lezione e studenti ebrei schedati». L’occhiello precisa il senso del titolo a tutta pagina: «EMERGENZA PROF MILITANTI».
Ci prende un senso di sgomento e preoccupazione, ma siamo certi che il giornale in questione avrà già passato all’autorità giudiziaria tutte le notizie acquisite. Non è infatti sufficiente che “si muova il Ministro”, come accade spesso anche in occasioni discutibili; tutti ricordiamo ad esempio la vicenda della collega di Palermo, “colpevole” di aver consentito ai suoi studenti di esprimere un’opinione critica sul Decreto sicurezza e immigrazione di Salvini, cui il Ministero dovette restituire lo stipendio illecitamente trattenuto. Ma questo caso è sicuramente diverso. Per questo è imperativo che intervengano denunce e giudizi in tribunale: sono infatti in gioco valori e principi che la legge italiana tutela oltre ogni ragionevole dubbio, con forza particolare nella legge Mancino o nel nuovo art. 604bis del Codice Penale.
Dobbiamo quindi attendere con fiducia i processi e le inevitabili condanne, a fronte di reati gravissimi e odiosi: la schedatura degli studenti ebrei ci ricorda infatti tempi bui del nostro passato, che fonti autorevoli ci dicevano essere definitivamente superati, sebbene continuino a ossessionare alcuni intellettuali.
Nell’attesa, però, ci permettiamo di esprimere qualche dubbio sul valore dell’allarme prof militanti di Hamas, e sulla concreta possibilità che non ne segua nulla di ciò che l’opinione pubblica deve aspettarsi: l’individuazione delle persone colpevoli, al di là di una generica appartenenza al mondo della “scuola”; la lezione di educazione civica che lo Stato impartirà attraverso una punizione esemplare.
Forse, infatti, è possibile che si intenda con queste parole attaccare genericamente chi lavora in un luogo di libero confronto fra opinioni differenti. Se non fosse provata la grave accusa di antisemitismo, si tratterebbe di ingiurie e calunnie: anche queste, detto per inciso, reati gravi, ancor più se servissero a infamare un’intera categoria di servitori dello Stato.
Forse, si offendono le persone che insegnano perché si ostinano a fare il loro mestiere: ricercare le cause dei fenomeni e degli eventi, ricostruirne la storicità, riconoscerne la complessità. Insomma, insegnare a ragionare con il cervello e non con la pancia, mentre a tanti farebbe comodo che accadesse il contrario.
Forse, infine, si tende a spingere la scuola verso il conformismo presentista che caratterizza i mass media, dominati da logiche di spettacolarizzazione, semplificazione, spirito di fazione: quanto di più distante esista dalle pratiche e dai valori della stragrande maggioranza di noi insegnanti.
Sì. Noi prof siamo militanti, di una guerra culturale, che comporta rischi seri per la nostra salute fisica e psicologica. La guerra che combattiamo contro un nemico invisibile – l’ignoranza – spesso promosso da quegli stessi giornalisti e opinionisti che ogni giorno trovano nuovi motivi per criticarci.
No. La scuola non è antisemita. Non lo è, perché conosce e insegna l’antisemitismo che ci è stato consegnato dalla storia: una pratica corrente di diversi totalitarismi, nel nostro caso la dittatura fascista. Quella, se non sbaglio, di cui conserva orgogliosamente i cimeli l’attuale presidente del Senato della Repubblica italiana.
Per queste ragioni, sotto processo da anni per colpe che non abbiamo commesso, aspettiamo questo nuovo processo di cui qualcuno ha già pronunciato la sentenza.
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Come si fa a scrivere un appello come questo senza nominare e indicare l’elefante nella stanza, ossia il sionismo, ideologia imperialista, razzista e bellicista cui si devono l’origine, la persistenza e l’insolubilità della questione palestinese? Uno dei nodi ideologici posti in luce dalla resistenza del popolo palestinese alla strategia della “terra bruciata” e dell’esodo forzato portata avanti dallo Stato d’Israele è infatti quello del rapporto tra antisionismo ed antisemitismo, o meglio antigiudaismo (giacché anche gli arabi sono etnicamente semiti). Si tratta allora di opporsi nel modo più fermo, pur continuando ad usare il termine ideologicamente deviante di ‘antisemitismo’ ormai invalso nell’uso, alla fallace equazione tra antisionismo e antisemitismo, che costituisce il pernio della propaganda filosionista sul “diritto ad esistere dello Stato d’Israele”. Sennonché l’equazione fra l’antisionismo e l’antisemitismo (equazione per sua natura storicamente infondata e culturalmente offensiva, se si pensa al gran numero di ebrei antisionisti che hanno popolato la storia del Novecento) sta oggi scivolando sul piano inclinato dell’equazione fra l’antisemitismo e la semplice critica ad Israele, come risulta dall’isteria filosionista della maggior parte dei ‘mass media’ e dalla politica repressiva di totale appoggio allo Stato israeliano assunta da alcuni governi europei come la Francia, la Germania e l’Inghilterra, i quali hanno persino vietato le manifestazioni popolari a favore della Palestina nei rispettivi paesi. A questo punto, non si capisce neppure più quali sarebbero i limiti della critica legittima ad Israele, dal momento che anche l’appoggio a coloro che si battono per liberare i territori occupati nel 1967 viene ormai qualificato come espressione di antisemitismo e di terrorismo (cfr. “i prof militanti di Hamas” stigmatizzati dalla destra filosionista e fascistoide). In realtà, la crisi dell’Occidente imperialista si manifesta anche in Israele e obbliga questo Stato ad intraprendere azioni politico-militari funzionali non solo alla propria difesa, ma a quella di tutto l’Occidente, oggi incalzato dall’impetuoso sviluppo economico dei paesi emergenti. In tal modo il ruolo di cane da guardia delegato ad Israele dall’imperialismo euroamericano nel Vicino Oriente si va inciprignendo, nel mentre si acuisce la crisi politica al suo interno, come risulta nell’ultimo periodo dalle continue mobilitazioni di massa contro la politica autoritaria del governo retto da Netanyahu. Ecco perché oggi occorre dichiarare a tutte lettere che la politica israeliana e, alle sue spalle, quella statunitense, con il sostegno permanente del vassallo britannico e la complicità della quasi totalità dei governanti europei, tra i quali figura il valvassore italiano, divenuto da tempo uno dei maggiori fornitori dei micidiali sistemi d’arma con cui l’esercito israeliano semina a Gaza e nella Cisgiordania morte e distruzione sulla popolazione civile, sul territorio e sull’ambiente (il che spiega la posizione da ‘putaine respectueuse’ assunta dal governo italiano sulla recente risoluzione dell’Onu relativa al conflitto israelo-palestinese), costituiscono una fonte permanente di guerra e il pericoloso vettore di una guerra generalizzata a tutto il Vicino Oriente: una guerra che vedrebbe entrare direttamente in azione il vero gigante di quella regione asiatica, che è l’Iran, avversario tanto irriducibile quanto temibile dell’Occidente e di Israele.