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diretto da Romano Luperini

Il trauma del lockdown tra la negazione e il processo della sua elaborazione nel contesto scolastico

Con la collaborazione di Luca Malgioglio

L’adolescente e il ‘fuori’

Uno dei fattori che ha maggiormente influito sul disagio adolescenziale durante il periodo del lockdown è stata la mancanza della possibilità, nel passaggio evolutivo fondamentale che caratterizza questa età, dello spostamento dal ‘dentro’ del mondo e delle relazioni familiari al ‘fuori’ del gruppo dei pari. La funzione del gruppo dei pari è fondamentale, perché nei coetanei l’adolescente può guardare dall’esterno e comprendere negli altri, rispecchiandosi in loro, le stesse dinamiche che vive confusamente all’interno e a cui cerca con fatica di dare un senso. Un adolescente a cui questo ‘fuori’ venga impedito, viene bloccato nel suo normale sviluppo evolutivo, con le dinamiche depressive che ne possono conseguire.

Allo stesso tempo, per le persone in crescita, è fondamentale il ritrovarsi in un contesto esterno che educhi attraverso regole sensate e motivate, di cui i giovanissimi possano riconoscere la giustezza, anche quando le trasgrediscono, perché il riconoscimento resta spesso conflittuale: questa possibilità di avere confini e limiti, ad esempio nel contesto contenitivo della scuola, fa diminuire l’angoscia, rassicura e apre spazi alla libertà di pensare.

I ragazzi, nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, sono chiamati per proprio compito evolutivo a rinegoziare i limiti, in virtù dello spostamento della loro attenzione da un contesto quasi esclusivamente familiare a un contesto di gruppo esterno. Questa necessità di rinegoziare i propri limiti si associa a una necessità di sperimentare ed esplorare il mondo. Teniamo presente che i cambiamenti biologici, fisiologici e ormonali operano un cambiamento nell’immagine di sé: non si è più bambini e non si è ancora adulti. In questa nuova veste è comprensibile che il giovane, nel nuovo ambiente sociale ed extrafamiliare, tenti di forzare regole, limiti e convinzioni comuni. Ed è un bene, almeno fino a che questa sperimentazione non diventa distruttiva. Proprio per questo, nella fase di crescita adolescenziale, occorrono adulti consapevoli capaci di osservare i giovanissimi con attenzione, discrezione e rispetto, sapendo cioè quando è il momento di intervenire e quando è giusto lasciar vivere le esperienze.

ln questo senso il rapporto con gli insegnanti è fondamentale, visto il bisogno degli adolescenti di trovare figure di riferimento adulte positive al di fuori delle dinamiche familiari. Entrando in relazione con i giovanissimi, divenendo un punto di riferimento importante, attraverso il rapporto intergenerazionale, regole motivate e la proposta di conoscenze che aiutino a pensare, gli insegnanti danno agli studenti una possibilità indiretta ma preziosissima di elaborare le proprie dinamiche interiori entro dei limiti dati, che facciano diminuire l’angoscia della confusione. La relazione con il gruppo dei pari e quella intergenerazionale con adulti esterni alla sfera familiare, veicolata dal lavoro comune su conoscenze e contenuti culturali significativi, sono entrambe fondamentali in queste fasi di crescita e di passaggio.

Le ripercussioni del lockdown sullo stato psicologico degli adolescenti  

La chiusura improvvisa della maggior parte delle attività ha inevitabilmente avuto una risonanza,  anche se individualizzata, su ognuno di noi, adulti, giovani e bambini.  Ma è necessario fare una distinzione. Al di là dei possibili disagi psicologici o disturbi psichici già in atto, o episodi traumatici (perdita del lavoro ad esempio), l’adulto – avendo in linea generale raggiunto una certa stabilità nella propria identità sociale – ha avvertito la chiusura in termini molto diversi, e meno impattanti sull’equilibrio psichico, rispetto ai giovanissimi. Per stabilità dell’identità individuale e sociale si intende la capacità di integrare le rappresentazioni interne di sé in relazione agli altri e quelle degli oggetti relazionali esterni (Kernberg 2000), cioè degli altri soggetti; integrazione delle rappresentazioni di sé e degli altri (positive e negative) che determinino un’armonia sufficientemente stabile tra le immagini interiorizzate dell’infanzia e quelle delle figure di attaccamento attuali nei diversi ambienti sociali che vengono esplorati e vissuti. Mentre un soggetto adulto dovrebbe aver raggiunto questa situazione di armonia secondo un processo evolutivo psichico sufficientemente sano, l’adolescente necessita del gruppo esterno, del sociale, come strumento di un processo evolutivo in atto che lo porterà, alla fine, a raggiungere la propria identità.  Il mondo esterno, in altri termini, è per l’adolescente lo strumento più proprio del lavoro psichico. Occorre anche precisare che identità stabile non significa che questa non subisca ritocchi, evoluzioni e completamenti nell’arco della vita, grazie alle continue esperienze e interazioni vissute; si parla qui della base identitaria che è fondamento per il divenire del soggetto.

Per quanto appena detto, ci appare chiaro come un adolescente, per tutto il periodo del lockdown, abbia sperimentato la  sottrazione di uno strumento evolutivo naturale; il che, con buone probabilità, ha rallentato quel processo di confronto delle rappresentazioni di sé e dell’altro fondamentali in questo periodo, come anche la possibilità di sperimentare e ricalibrare regole e limiti interni che un ambiente non familiare richiede.

Questa frattura inevitabilmente necessita di un’elaborazione, nel momento in cui la vita sociale può riprendere il suo corso, e anche la vita psichica può farlo in modo più completo. Una negazione di questo rallentamento evolutivo invece rischia di lasciare dietro di sé aspetti interni non compresi, non accolti, forieri di un congelamento dei lutti (Racamier 1992,1995). Appaiono necessari, dunque, un processo di ripresa e una fatica rielaborativa, che abbiano come obiettivo anche quello mitigare il dolore che, a volte senza rendersene nemmeno conto, si è vissuto.

Spesso quando una frattura si risana, quando un periodo traumatico giunge al termine, è tendenza naturale dell’essere umano quella di lasciarsi tutto alle spalle e gettarsi nel presente senza curarsi di ciò che è accaduto. Questo è tanto più vero nell’adolescenza. Ma il prezzo da pagare per una mancata elaborazione del dolore sperimentato può essere, in alcuni casi, anche molto elevato. Il dolore poco compreso può favorire un attacco a ciò che determina un legame tra aspetti interni di sé e il rapporto tra sé e l’altro  (Bion 1970,1973). Questo allentamento della forza del legame può prefigurare l’accesso a un vero e proprio disagio psichico, alcune volte anche grave, che ingenera isolamento e difficoltà di comunicazione in un mondo relazionale.

Il rientro a scuola

Cosa è successo e succede con il ritorno a scuola? Il rientro in uno dei segmenti sociali più complessi che il ragazzo e il bambino possano affrontare avrebbe avuto bisogno di una “camera di decompressione”: ritornare in un ambiente intriso di obiettivi evolutivi così importanti, che toccano sia l’aspetto didattico e dell’apprendimento, sia quello relazionale con adulti e coetanei, richiederebbe l’innesco di un processo individuale di elaborazione del lutto per ciò che è accaduto, da vivere attraverso il gruppo classe. Se questo è vero, è importante non allearsi consciamente o inconsciamente con i processi di negazione delle esperienze traumatiche o di isolamento, verso i quali potrebbero spingere adulti che abbiano troppa fretta di tornare alla normalità. Bambini e adolescenti, infatti, chiedono a modo loro, con gli strumenti che gli sono propri, di affrontare le questioni, di attraversarle e di poterle superare. In tal senso, sarebbe stato importante ad esempio attivare gruppi di discussione con bambini e ragazzi, in base all’età, proprio per facilitare un processo di decompressione e di elaborazione di fantasie e contenuti psichici, in modo da riattivare un percorso evolutivo che ha subito quanto meno un rallentamento.

Invece cos’è accaduto? Intanto, a livello didattico, si è immediatamente rimossa l’enorme questione della perdita di apprendimenti fondamentali durante la pandemia. È ovvio che meno scuola equivale a minore preparazione, eppure l’ovvietà ha significato in molti casi cancellazione o rimozione della questione. Non che gli insegnanti non si rendano conto della perdita o della mancata acquisizione di conoscenze e di abilità durante questo periodo; ma, complice anche un dibattito pubblico che ha subito virato in tutt’altra direzione, si sono trovati incanalati in un modo di essere nella scuola non proprio alleato di questa importante elaborazione: la scuola, si è detto, non sarebbe più in grado di istruire adeguatamente non perché non c’è stata, ma per una questione di metodologie vecchie e obsolete (e si ripropone in questi discorsi lo straw man argument di una “lezione frontale” di cui si presume l’unidirezionalità e il carattere meramente “trasmissivo”, nozionistico e non relazionale). È chiaro che riconoscere oppure rimuovere l’incidenza della pandemia su un periodo di due anni scolastici porta a due esiti completamente diversi: nel primo caso si tratta di ritrovare e potenziare la scuola, dopo aver elaborato il trauma della sua mancanza e recuperato almeno una parte degli apprendimenti persi; nel secondo caso, la negazione e l’assenza di una camera di decompressione cui facevamo cenno sembra favorire la tendenza a sganciare strumenti pedagogici da processi psicologici, invocando una scuola diversa, con una scissione assolutistica che può alimentare l’illusione dell’esistenza di metodologie nuove e migliori di per sé (flipped classroom, “ambienti di apprendimento innovativi”, etc), come se tutto ciò che c’era di produttivo nel prima non fosse mai esistito. Ci pare che sia in atto anche un tentativo di sganciare la pedagogia dalla psicologia, quando un’integrazione delle due discipline sarebbe auspicabile, necessaria e probabile generatrice di strumenti validi per i processi evolutivi della personalità degli studenti. Una delle conseguenze di questa scissione è che di fronte a una precisa domanda – “cos’è mancato quando è mancata la scuola?” – si dà una risposta sostanzialmente fuorviante – “la scuola così com’è è sbagliata” – mentre sarebbe necessario elaborare il dramma della scuola che è mancata con tutto il suo mondo vivo per i ragazzi e per i bambini, perché questa possa essere alimentata dalla nostalgia e da una nuova vitalità per il futuro. Lo spostare l’attenzione frettolosamente su questioni di cambiamento delle metodologie ci sembra più alleato di una certa negazione che favorevole a una vera ripresa.

Qualcosa di simile è accaduto attorno alla questione della digitalizzazione della didattica. È indubbio che gli strumenti digitali possano essere utili nell’ambito dell’insegnamento e in altre attività, e per molti aspetti lo sono stati anche nel periodo della pandemia, visto che hanno permesso l’attivazione della cosiddetta didattica a distanza; ma, in un ambiente così importante per i processi evolutivi dei bambini e degli adolescenti, è altrettanto indubbio che la “DaD” ha fatto mancare quell’atmosfera scolastica, quelle relazioni, quel mondo esterno che, come dicevamo, è strumento naturale e necessario dei processi di crescita e di formazione della personalità dei giovanissimi: non è un caso che l’assenza del sociale scolastico, negli anni della pandemia, abbia avuto un’incidenza negativa anche sulla qualità degli apprendimenti. A fronte di ciò, la retorica secondo la quale tutti i miglioramenti della didattica passerebbero miracolosamente dall’adozione, di per sé, di strumenti digitali, indipendentemente dai contenuti su cui si intende lavorare, dalle finalità conoscitive ed educative dell’istituzione scolastica, sembra seguire di nuovo il canale illusivo della negazione, nel tentativo di scindere gli strumenti dai naturali processi evolutivi dell’apprendimento e della crescita.

In generale, a livello profondo, riprendere le attività come se niente fosse accaduto, senza elaborazione, senza una cauta riattivazione dei processi evolutivi che sono stati rallentati dalla pandemia, può portare a itinerari incerti, anche se apparentemente meno onerosi per tutti dal punto di vista emotivo. L’apparenza della normalità rischia di rivelarsi presto illusoria: sappiamo bene che elaborare le emozioni è uno strumento fondamentale per la salute psichica e per quello stato piacevole del vivere che tutti ricerchiamo. La negazione, viceversa, lavora sempre in alleanza con le esperienze spiacevoli e con i traumi. Certamente molti bambini e ragazzi hanno potuto contare sulla fortuna di avere adulti consapevoli intorno a loro, che li hanno aiutati a riprendere le fila del discorso della crescita; ma molti altri non sono stati così fortunati: proprio per questo sarebbe necessaria la presenza attenta di un’istituzione che li sostenga, anche per frenare un fenomeno di dispersione scolastica che negli anni della pandemia ha conosciuto un drammatico incremento. In ogni caso anche l’adolescente o il bambino più sostenuto ha bisogno di rivedere, rielaborare con la classe, con gli insegnanti, e in qualche caso con uno psicoterapeuta, un momento di frattura di quel sociale così necessario ai processi evolutivi.

Conclusioni

Rispetto alla necessità di un riassetto dei processi evolutivi nell’età più sensibile ai cambiamenti, lo spostamento di attenzione sulle nuove metodologie e le nuove tecnologie potrebbe veicolare l’intenzione, per alcuni versi inconsapevole, di imprimere una frattura con il passato, senza invece promuovere il riallacciarsi a una continuità storica: questo porrebbe tutto il sistema scolastico, docenti e studenti, di fronte ad un prima e un dopo privo di anelli di congiunzione, con l’illusione che il totalmente nuovo, che cancella il vecchio, possa riscattare la scuola e gli studenti da una ferita profonda legata all’assenza, all’isolamento e allo sconvolgimento dello stile di vita precedente, fondato su giornate vissute per una buona parte nello spazio scolastico.

Si tratta ovviamente di saper distinguere: il nuovo è benvenuto se è vitale, utile, sensato; ma se è al servizio della negazione di un’elaborazione che permetta ai processi della memoria episodica ed emotiva di trovare il giusto luogo di incontro, può diventare dannoso e controproducente. Un nuovo basato su un processo di elaborazione che non interrompa la continuità storica sarà con buone probabilità più equilibrato.

Anche la tecnologia è benvenuta fino a che non allontani l’esperienza relazionale fondamentale, quella che insieme alla partecipazione al gruppo permetta il confronto, il dialogo e il rispecchiamento reciproco nelle esperienze vissute del passato e del presente. Insomma, è importante preservare un’esperienza di gruppo rispetto a qualunque forma di isolamento, in modo che i ragazzi e i bambini possano vivere nella scuola ciò che vivono sempre meno nel mondo al di fuori delle mura scolastiche. Tutto ciò che imprigiona lo studente (o il docente) in un mondo proprio, individuale, esclude infatti l’elaborazione delle esperienze, poiché tale elaborazione non può avvenire se non attraverso la relazione: le fantasie individuali sono per loro natura nutritive, è vero; ma questo solo se esiste una controparte relazionale con cui confrontarle, alcune volte con il piacere della conferma, altre volte con la possibilità della frustrazione derivante dall’incontro con la realtà dell’altro.

Una vera rivoluzione scolastica, non alleata della negazione, potrebbe essere proprio quella di dare agli studenti e ai docenti nuovi strumenti di elaborazione delle esperienze complesse e profonde che prendono vita nello spazio scolastico. L’attivazione di gruppi psicologici con uno psicoterapeuta esperto e con l’insegnante, appare fondamentale per attivare un processo di elaborazione dei lutti e delle angosce inerenti alla frattura temporale e sociale del lockdown; allo stesso tempo, il recupero di apprendimenti fondamentali – che gli studenti non hanno potuto acquisire durante la pandemia – rinforza questo processo elaborativo attraverso un’opera di paziente riparazione che sia contemporaneamente didattica e pedagogica. Occorrono insomma strumenti culturali che aiutino a pensare gli altri e se stessi nel passato, nel presente e nel futuro, prima che nuove metodologie e nuove tecnologie che, se utilizzate a sproposito, rischiano di allontanare il contesto scolastico dall’obiettivo fondamentale: far crescere bambini e giovani colti e consapevoli che sapranno vivere profondamente insieme agli altri nel mondo.

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