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diretto da Romano Luperini

Il PNRR a scuola. Digitale, democrazia e dintorni

Verità storiche e scelte individuali

Sulla storia e sulle dinamiche economiche che stanno alla base delle azioni previste dal PNRR per la scuola, il nostro blog ha ospitato di recente le parole definitive di Orsetta Innocenti, di cui condivido lo spirito e l’analisi.

Partirò invece da una sua importante asserzione, quando spiega che “per istinto e meditazione”, non farà parte della commissione che se ne occuperà. Perché io, al contrario, “per istinto e meditazione” ho scelto di essere parte del gruppo di persone che sta lavorando per redigere e coordinare i progetti nella mia scuola; sono fra quelli che “hanno deciso di immolarsi per un processo verso il quale nutrono le mie stesse perplessità”. Le sue belle parole però – me ne rendo conto – potrebbero anche essere tradotte in termini meno nobili. Per dire, il mio fratellino insegnante, molto più radicale di me, direbbe che è solo una manifestazione del perenne democristiano che è nel fondo di tantissimi docenti. E magari più di uno fra i lettori di questo pezzo riterrà, terminata la lettura, di annoverarmi nella categoria degli “utili idioti” più o meno idealisti, sempre così necessari quando si tratta di riconoscere dignità alle porcate ministeriali.

Ѐ in questo spazio stretto e spigoloso che proverò a ragionare, esplicitando una volta di più le implicazioni illiberali e reazionarie delle politiche scolastiche del PNRR, in piena continuità con le azioni dei governi degli ultimi venticinque anni. Tuttavia, non è questo lo scopo principale del mio ragionamento: vorrei infatti indicare anche le poche ma solide opportunità di lotta che si aprono per chi voglia combattere la battaglia contro queste politiche.

I fronti aperti

Leggendo il progetto complessivo del Piano di Ripresa e Resilienza risuonano quattro segnali di grave allarme riguardo alle politiche scolastiche del futuro immediato e prossimo. Nessuno di essi viene introdotto ex novo dalle idee che ispirano i suoi estensori. Tuttavia, la grande quantità di denaro complessivamente investita (sebbene scarsa, come ha mostrato bene Innocenti, se messa in relazione con i numeri e le esigenze reali delle scuole) e la ricaduta capillare degli interventi su istituti e docenti, lascia prevedere che le trasformazioni dei prossimi tre anni incideranno in modo più profondo rispetto al passato.

Il primo allarme è la ben nota tendenza a negare qualsiasi forma di partecipazione democratica alle scuole, riguardo al ruolo sociale e culturale che intendono giocare: l’autonomia e le scelte di istituto, infatti, si realizzano all’interno di decisioni e priorità determinate altrove. Nel caso del mio liceo, ad esempio, si è deciso che non esiste un significativo problema di inclusione o dispersione: c’è invece un grande bisogno di tecnologia e informatica. Ciò è stato indiscutibilmente stabilito: abbiamo bisogno di tecnologia, punto; possiamo decidere e stiamo decidendo per farne cosa. Eppure, mentre sono qui che lavoro alla stesura di un profilo delle “innovazioni organizzative, didattiche, metodologiche e curricolari” che è lecito aspettarsi da “Next Generation Classroom” e “Next Generation Labs”, il mio pensiero va alle numerose persone che avrebbero potuto frequentare il liceo scientifico e che invece sono state respinte o riorientate in questi ultimi drammatici anni: ma investire denaro e risorse per chiedersi se sarebbe potuta andare diversamente non ci spetta. A noi quasi solo hardware, software e arredi.

Da questa constatazione emerge il secondo segnale, che risuona anch’esso (per chi voglia ascoltare) da parecchio tempo: il Piano investe sulle cose, in misura straordinariamente superiore che sulle persone. Nel caso dei progetti a noi destinati, il rapporto è di 90 a 10. Il 90% della spesa prevista, che dobbiamo organizzare e finalizzare, è destinato a acquistare cose. Un piccolo 10 % servirà invece a retribuire il contributo delle persone; e servirà un attento lavoro sindacale per fare sì che queste persone non siano poche o pochissime.

Il terzo segnale d’allarme è più nascosto, ma enorme: questo Piano si accompagna infatti a riforme e decreti che investiranno la scuola nei prossimi anni. In parte non piccola, prevede di organizzare e finanziare provvedimenti già emanati, come il nuovo dimensionamento degli istituti, che serve a risparmiare sul personale amministrativo e dirigenziale e a non affrontare seriamente il problema del numero di allievi per classe. Fra le riforme organiche, spiccano le nuove norme sul reclutamento e sulla progressione di carriera dei docenti, che si stanno discutendo in sede di rinnovo della parte normativa del contratto nazionale. Ѐ in gioco una spinta fortissima verso l’adozione di tecnologie per l’insegnamento/ apprendimento (formazione dei nuovi assunti) e la creazione di profili differenziati fra chi insegna (mentor, tutor, esperto). Queste norme sono ispirate a logiche di disuguaglianza e disaggregazione delle persone che lavorano, e consolidano le forti tendenze all’individualismo e alla competizione che tentano di determinare l’aziendalizzazione dell’istruzione.

Non meno insidioso è il quarto segnale, evidente soprattutto nei progetti contro la dispersione e il loro stretto legame (pratico e ideale) con l’azione ministeriale sul tema dell’orientamento: convergono, in questa prospettiva, le pratiche di profilazione già denunciate riguardo ai dati Invalsi e all’individuazione degli studenti “fragili”, da una parte; e dall’altra la tendenza a enfatizzare l’idea del contatto fra mondo della scuola e mondo del lavoro (descritto in termini lontanissimi dalla realtà), rendendo precoci e strutturate attività di selezione e reclutamento delle persone che studiano, ai fini del loro inserimento nel meccanismo produttivo.

Libertà è partecipazione

Per le tante colleghe e colleghi capaci di ascoltare questi segnali d’allarme, la lotta è da tempo un imperativo morale. E può essere attuata, credo, sia restando fuori dai gruppi e dalle strutture che gli istituti stanno mettendo in piedi per dare attuazione al PNRR, sia partecipando alla pianificazione e alla realizzazione delle attività che il Piano prevede. Vale la pena, quindi, di riflettere sulla strategia da adottare, insieme, per sopravvivere con dignità e difendere con etico realismo la nostra professionalità e il compito educativo e formativo che abbiamo scelto di svolgere.

Prima di tutto occorre recuperare la responsabilità decisionale del Collegio dei docenti. Conosciamo tutti la deriva burocratica e ratificatoria che questo fondamentale momento della vita della comunità ha intrapreso da tempo; al punto che per parecchie persone di scuola risulta oggi preferibile svolgerlo a distanza, così da poter attendere alle proprie faccende individuali e insieme fare ciò che ci si richiede: dire di sì alle proposte del dirigente. Tuttavia, questa situazione non corrisponde alla norma e al potere reale del Collegio, che perfino le mani di Brunetta, Gelmini, Renzi e compagnia cantante non hanno scalfito nel profondo: la responsabilità delle scelte educative, didattiche e culturali di ciascuna scuola fa capo al gruppo docente, non ad altri soggetti (nemmeno quando si presentano con la faccia cattiva e il tono intimidatorio). Questo principio vale anche nel caso del PNRR. Ѐ vero, come già sottolineato in precedenza, che l’atto fondativo delle azioni del Piano è stato sottratto alle scelte libere del Collegio e denuncia una visione dell’istruzione lontana anni luce dai valori e dalle pratiche di tante e tanti fra noi; non così però l’organizzazione delle attività, la loro attuazione, la definizione degli obiettivi e il monitoraggio del loro raggiungimento. In questo senso, la scadenza del 28 febbraio implica semplicemente la presentazione di un progetto di massima, in ogni sua parte, tanto che chi ha lavorato nel gruppo o commissione che se n’è occupato non può essere retribuito con i finanziamenti erogati alla scuola: costituisce quindi l’inizio di un percorso, non la sua conclusione. A partire da quella data, il Collegio può definire obiettivi e finalità, anche su scadenza pluriennale, può proporre e articolare percorsi formativi e di aggiornamento significativi rispetto alle tematiche affrontate, può (anche negli stretti vincoli presenti nel format ministeriale) scegliere di coinvolgere il più possibile le persone che lavorano dentro l’istituzione, rifiutando invece il ruolo di appaltatrice di servizi ad aziende esterne, che potrebbe facilmente determinarsi. Tutto questo, anche nel caso sicuramente molto frequente che la prima fase del progetto sia stata vissuta e interpretata come un banale adempimento formale. Ad esempio, nel concreto della mia scuola, cercheremo di far sì che le nuove classi e laboratori siano luoghi di sperimentazione didattica e culturale, attraverso il dialogo fra linguaggi e discipline; sebbene ci sia stata imposta, proporremo di sperimentare una digitalizzazione che non si risolva nella sua dimensione tecnica/ strumentale (come introdurre e fare funzionare tanti apparecchi e programmi?), ma tocchi nel profondo le sue implicazioni culturali/ didattiche (a cosa serve la tecnologia in relazione alle diverse materie, in che condizioni può migliorare il processo di insegnamento/ apprendimento?) e etiche (quali rischi morali comporta la tecnologia in generale? E il suo utilizzo nella scuola?). Per farlo, eviteremo prima di tutto di demandare il compito di progettazione ai tecnici (informatici e matematici) cercando di coinvolgere apporti e contributi plurali e aperti.

Perché questo processo decisionale, è bene ricordarlo, non è materia di Unione Europea: è materia di ciascun Collegio dei docenti.

Accanto alla rivendicazione di responsabilità collegiale, il fronte aperto è quello della circolazione di informazioni complete e veritiere. Assai difficile a causa della situazione di disastroso conformismo dei media italiani, una simile circolazione acquista di per sé un valore di controinformazione: per esempio, stupisce scoprire che buona parte delle persone che lavorano nella scuola ignori che il PNRR è per circa metà un prestito reperito sul mercato dei capitali, e che come tale andrà restituito (fino al 2058): dunque i Collegi che deliberano decidono come impiegare una somma che figli e nipoti dovranno in parte restituire per le prossime due generazioni. Eppure è così. Il lavoro di discussione e proposta sulle azioni del Piano, dunque, diventa occasione per far circolare idee, critiche, informazioni. Naturalmente, lo svolgono tutte le persone appassionate e politicizzate e non solo quelle impegnate nei gruppi dedicati al PNRR: si diffondono in questo modo le ragioni delle prossime prevedibili iniziative di contrasto che nei prossimi mesi i sindacati e l’opposizione, se dovesse manifestarsi, organizzeranno per negoziare sulle riforme che il Piano impone. Un negoziato di importanza capitale.

In questa prospettiva, però, si impone una buona dose di onestà intellettuale e di realismo politico. Si deve infatti assumere come punto di partenza che non esistono solo le due posizioni definite da Orsetta Innocenti, divise dalla scelta se collaborare o meno, unite dalla passione civile e dall’etica professionale: ce n’è infatti una terza, silenziosa e diffusa, costituita da tante colleghe e colleghi che, per le più diverse ragioni, non vogliono altro che chiudere la porta dell’aula, fare quel che diavolo gli pare, trovare nelle logiche di opportunismo e competizione così diffuse un loro spazio di comodità e agio. Contro questa pervasiva indifferenza a tutto ciò che è collettivo, sociale, pubblico, una forma elementare di lotta è restituire valore agli organi collegiali e assembleari che oggi abbiamo e che potrebbero portarci via.

La storia non è finita, e non è affatto detto che finirà male.

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