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diretto da Romano Luperini

Atti diversi, incanti di corpi. Il teatro di Pasolini

Per gentile concessione dell’autrice Irene Gianeselli e dell’editore pubblichiamo un estratto dal volume Atti diversi, incanti di corpi. Introduzione al teatro di Pier Paolo Pasolini, vol.2, Les Flâneurs Edizioni, Bari 2022.


Premessa in-formale

C’è chi insegna / guidando gli altri come cavalli / passo per passo: / forse c’è chi si sente soddisfatto / così guidato. // C’è chi insegna lodando / quanto trova di buono e divertendo: / c’è pure chi si sente soddisfatto / essendo incoraggiato. // C’è pure chi educa, senza nascondere / l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni / sviluppo ma cercando / d’essere franco all’altro come a sé, / sognando gli altri come ora non sono: / ciascuno cresce solo se sognato.

Danilo Dolci, Poesia diversa

Le Tragedie del Manifesto o Tragedie del Çjalderón (Atti diversi, incanti di corpi I 29) di Pier Paolo Pasolini sembrano tracciare una traiettoria circolare lungo l’isotopia del sognato: «la verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni» è, non a caso, l’epigrafe del film Il fiore delle Mille una notte (1974). La mia analisi, in questo secondo volume dedicato agli atti diversi e di versi in canti di corpi, intende attraversare la drammaturgia pasoliniana per cogliere anche operativamente il progetto pedagogico e didattico che si cela dietro i molteplici sogni: sogni, di fatto, sono le strutture neo-aristoteliche con le quali l’autore offre formalmente una proposta ai suoi spettatori e sogni sono le stesse possibilità di messinscena attraverso cui deve incarnarsi la Parola. Possibilità che, come vedremo, l’autore affida direttamente a noi come eredità tanto teorica quanto pratica. Nel Vol. 1 di Atti diversi, incanti di corpi (Gianeselli 2022) è stata già proposta una tesi nuova, suffragata anche dall’intervista inedita all’attore Luigi Mezzanotte: ciascuna Tragedia del Manifesto – un corpus che deve essere analizzato come dispositivo didattico e come scuola di ri-educazione linguistica che integra e amplifica le proposte del Programma ora Manifesto per un nuovo teatro – deve essere considerata e letta insieme alle altre perché il “sogno di una cosa” si ripete e trova compimento di volta in volta nel segmento di visione successivo, e proprio in virtù di questa consapevolezza è stata scelta per queste opere una nomenclatura duplice indicandole in casi specifici, come vedremo, anche Tragedie del Çjalderón. Il punto di arrivo di questa analisi letteraria, drammaturgica e pedagogica è l’idea che Bestia da stile (Teatro 759-853) si configuri come un laboratorio permanente, uno spettacolo oltre lo spettacolo che intende raggiungere ciò che si agita oltre lo squarcio aperto nel cielo di carta, attraverso la forza del pensiero e dell’azione sul pensiero che viene dalle precedenti e concomitanti organizzazioni del Teatro pasoliniano, organizzazioni tanto testuali quanto di senso. Ma tracciamo immediatamente la linea di questa isotopia del sognato: un sogno, infatti, è la chiave per comprendere a pieno la forza poetico-politica della Donna di Orgia (Teatro 243-312), sono sogni e profezie a scandire il processo auto-educativo del ribelle Pilade nell’opera omonima, è un sogno a dare avvio alla dissoluzione del Padre piccolo-borghese di Affabulazione (Teatro 467-550), Julian in Porcile (Teatro 575-643) si consuma nella visione di una utopia e muove i passi là dove il suo sogno vuole (Teatro 651), è una moltiplicazione di sogni e visioni quella che apre a Rosaura la consapevolezza di sé nella Storia in Calderón (Teatro 659-758), e il Capitale e la Rivoluzione si contendono Jan addormentato nel finale di Bestia da stile “ebbro / d’erba e di tenebre” (Teatro 830).

L’analisi delle Tragedie procederà quindi attraverso il confronto con i manoscritti, ma alla critica si aggiungerà l’identificazione di temi e intenzioni pedagogiche che non saranno però separate dall’indagine proprio per assicurare unità programmatica al discorso: come spiegato e anticipato nel Vol. 1 di Atti diversi, incanti di corpi (Gianeselli 2022) Pasolini, uomo del Novecento che non può dimenticare di appartenere alla coscienza ierofanica della società italiana, nello specifico friulana, preindustriale e partigiana, non ragiona mai per generi, ma strutturando teoremi ad absurdum e con la forza della sineciosi (Attraverso Pasolini 20-37). Dunque, la sua ierofania si impone come una forma decisamente potente di militanza politica ed è questa intima postura che fa di lui un pedagogista rivoluzionario che interviene nella realtà e nella Storia per proporre una alternativa ai suoi interlocutori. Di fatto, a mio avviso, si pone sulla linea di una discendenza: Socrate, Marx, Gramsci. L’approdo pasoliniano alla ierosemia (Pasolini rilegge Pasolini 49-51) è, quindi, il passo, anzi il salto, verso l’umanità che permette di fare del potenziale “sogno di una cosa” un atto trasformativo della e sulla realtà ed è in questa direzione e a partire da questa analisi che continuerò a fare ricerca.

L’esito innovativo di questo percorso sarà esposto a chiusura del volume con la condivisione della prima prova laboratoriale da me condotta con l’attore Luigi Mezzanotte nell’Università degli Studi di Bari il 25 e il 26 maggio 2022 durante il Festival Conversazioni – La letteratura è di scena che ha ospitato il programma articolato in due incontri dedicati a Orgia e Pilade. Il progetto è stato organizzato con il sostegno della Bottega Progetti Poetici Permanenti – Pier Paolo Pasolini della Compagnia dei Felici Molti, del Dipartimento For. Psi. Com. di UniBa e con il patrocinio morale del Comitato Nazionale Ministeriale per le celebrazioni del centenario di Pasolini e di DIDASCO. Le due lezioni spettacolo ci permetteranno di compiere un passo importante grazie agli esiti qualitativi dell’esperimento vissuto con studentesse e studenti universitari, per una prima prova di formalizzazione della proposta didattica che il Manifesto per un nuovo teatro (Saggi sulla letteratura e sull’arte II 2481-2500)e le stesse Tragedie sussumono sin dal 1968.

Una prova operativa, questa, che supera nei fatti lo scetticismo di chi, curatore o critico, ha preferito ritenere che il Manifesto e le Tragedie dovessero essere considerati corpi separati. Le proposte del Programma del 1968, spesso archiviate come un “fuoco d’artificio” (I teatri di Pasolini 200), come vedremo, sembrano essere state in anticipo sui tempi della disgregazione del rito teatrale e l’idea pasoliniana di sostituire il “rito sociale” con il “rito culturale” è oggi, oltre che innovativa, fondamentale per superare la crisi sociale, ideologica, poetica e politica del nostro tempo.

Il Teatro di Pasolini, maestro della scena e oltre la scena, lo ribadiamo, non è una utopia: oggi, come si vedrà, prende per mano i giovani. Gli studenti stessi si sono stupiti: a loro è parso che il poeta, l’intellettuale, fosse vicino, pronto a far crescere i suoi allievi con la forza del suo Teatro di Parola.

Come è possibile questo?

È possibile perché la drammaturgia di Pasolini e la sua idea di teatro, “terzo pedagogico” (Damiano 2013; Perla 2010; Perla & Riva 2016) che raccoglie il senso della ribellione intellettuale e politica di tutta la sua opera, mostrano proprio l’assurdo che è nel mondo, restando aperti a ogni sviluppo, ma con l’onestà nei confronti dell’altro da sé. Pasolini ci ha sognato per come saremo e per come potremmo diventare, ma non si è limitato a questo: ci ha offerto l’eredità del sogno (il Manifesto e le Tragedie qui analizzate) e la possibilità del laboratorio permanente. Attraverso la Parola ci dona un esempio di umanità: come essere carne in un mondo che cambia. Pasolini continua a crescerci, a prendersi cura di noi suoi allievi anche da un altro tempo e da un altro spazio che con lui non possiamo più fisicamente condividere, ma che fa parte della Storia alla quale, volenti o nolenti, apparteniamo. Ma possiamo scegliere il suo teatro come altrove, per dirla con Louis Jouvet, in quanto intellettuali suoi pari proprio come chiedeva di essere già nel 1968 quando scriveva il Manifesto per un nuovo teatro. Il prezzo, come vedremo, è la fatica di essere pedagogisti e didatti, attori, registi, operatori culturali e spettatori militanti. È il dovere e il diritto di cominciare e poi continuare un progetto culturale e un processo educativo che affrontino il sogno con la realtà compiendo scelte. Per dirla in un solo verbo: vivendo, poiché «education is not preparation for life. Education is life itself» (Dewey & Dewey, 1915; Dewey, 1938).

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