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diretto da Romano Luperini

Insegnare letteratura. Teorie e pratiche per una didattica indocile

Il 7 ottobre sarà in libreria, a cura di Emanuele Zinato e edito da Laterza, il volume Insegnare letteratura. Teorie e pratiche per una didattica indocile, esito del lavoro di un gruppo di docenti di diverse generazioni (Filippo Grendene, Morena Marsilio, Alessandra Grandelis, Stefania Giroletti e Emanuele Zinato) impegnati nell’insegnamento della letteratura, a scuola e nell’università. Il libro, rivolto ai futuri insegnanti, cerca di suggerire delle pratiche per criticare i nessi disorganici fra contenuti disciplinari e trasversalità pedagogica e per costruire un ponte fra la teoria, la critica e la didattica della letteratura.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo qui alcuni dei quindici punti che aprono il libro.

Per cominciare: quindici mosse

I. Questo lavoro è dedicato alle future docenti e ai futuri docenti di letteratura e alle loro studentesse e studenti, nella convinzione che l’incontro guidato con le opere costituisca un’esperienza formativa preziosa e che possa avvenire con efficacia e buon senso nella scuola secondaria. Moltissimi italiani, si dice, non leggono neppure un libro all’anno: la scuola può aiutarli a scegliere letture di valore nel mare delle pubblicazioni effimere e a incontrare alcuni classici, a conoscere e apprezzare i loro nessi con il passato e con il presente. La nostra ipotesi è che l’insegnamento della letteratura comporti un atto di fiducia nell’immaginario come fonte di conoscenza, di piacere e di libertà.

II. Un testo letterario è un oggetto formativo indocile, da maneggiare con cura, e soprattutto è un oggetto didattico paradossale: sembra appartenere alla sfera dell’esperienza soggettiva eppure, per il suo adempimento, necessita di una lettura condivisa; appare anacronistico in un mondo digitale e visuale, eppure illumina l’esperienza del passato prefigurando il futuro; è fittizio e ambiguo ma le sue invenzioni sono più vere del vero.

III. La natura del paradosso letterario è data dalla coesistenza di significati logicamente incompatibili e, in sostanza, dalla componente emotiva delle formazioni retoriche e figurative sulle quali si fonda un’opera d’invenzione. Sono didatticamente noti i paradossi matematici, con il loro fascino cognitivo: la didattica dell’immaginario risponde alla domanda capitale su come sia possibile, per un lettore, provare emozioni reali per enti non esistenti nella realtà, verificando cioè in aula, con strumenti adeguati, i gradi diversi di credulità e incredulità, di critica e di credito, di empatia e di identificazione davanti a un’opera. 1

IV. L’ essenziale della didattica della letteratura è l’apprendimento della lettura: intesa come comprensione consapevole del testo e come interpretazione e scommessa sul suo senso. Leggere è un atto mentale personale che avviene con il libro aperto davanti agli occhi ma che prosegue quando, nella vita, continuiamo ad avere nella mente i personaggi e le immagini, il ritmo e le idee che quei libri ci hanno fatto incontrare. La lettura isola il lettore, lo separa dalla società, lo fa stare in silenzio con se stesso e con la sua libertà interiorizzata. Presuppone un fruitore capace di non ascoltare il rumore di fondo che lo circonda e di oltrepassare con l’immaginazione i limiti del mondo reale. La lettura a scuola fa sue tutte queste caratteristiche e le riusa in una situazione condivisa e consapevole. Oltre alla lettura solitaria vi è infatti la lettura comunitaria e a voce alta: guidare gli studenti a questa attività costituisce la base del mestiere dell’insegnante che, in una classe, propone come contemporanei e attuali i classici.

(…)

VI. La letteratura educa all’attenzione, alla profondità, alla complessità e alla libertà oltre la superficie mediatica banalizzante: insegna a diventare soggetti consapevoli e a dare forma alle proprie emozioni e alla propria vita. Ma un testo letterario può ingenerare, oltre a piacere e libertà, incomprensione e rifiuto o perfino inettitudine e assenza di senso della realtà. Il suo insegnamento è una mediazione, aperta e rischiosa: la didattica della letteratura è una scommessa. Non si tratta dunque di una disciplina precostituita o di una scienza-tecnica, non punta sull’istruzione strumentale e professionalizzante ma su quella che forma dei cittadini capaci di conoscere se stessi e di pensare oltre l’esistente.

VII. La didattica dei testi letterari implica in concreto l’apprendimento come dialogo: fra il docente e gli studenti e con l’opera e la sua polisemia. Alle origini della cultura occidentale, il metodo socratico della conoscenza è dialogico e maieutico: prevede che l’attività del comprendere sia assistita da uno scambio di dubbi e da un lavoro mentale attraverso cui la verità è costruita insieme piuttosto che trasmessa come già data: se la verità e i saperi non si trasmettono ma si costruiscono, al contempo neppure le pubbliche decisioni possono essere comunicate in modo unidirezionale. Il polisenso dei testi abitua a pensare e ad agire il presente. Se il fine della scuola pubblica è sviluppare le potenzialità del giovani facendoli diventare persone mature, se nella scuola si impara a diventare se stessi, se la maturità non è una somma di competenze ma la capacità di distinguere il bello e il giusto, di goderne e di ragionarci, il testo letterario, educando i sentimenti e mediando fra l’immaginario del passato e quello del presente, è un crocevia dell’apprendimento dialogico.

(…)

VIII. Chi insegna non può dunque disporre di un’idea univoca di letteratura ma, al contempo, deve conoscere i confini porosi della sua materia e possedere una propria idea di letteratura da condividere con gli studenti. Per organizzare una lezione, utilizzare un manuale, proporre una lettura alla classe l’insegnante deve maneggiare alcuni strumenti della teoria della letteratura: la riflessione sullo statuto della letteratura e sugli strumenti della critica che cerca di rispondere alla domanda «che cosa è la letteratura?». La didattica della letteratura è la pratica di analisi e interpretazione di forme e temi dei testi letterari che ha luogo in una situazione formativa istituzionalizzata: si tratta, dunque, di un campo di lavoro che affianca e che segue la critica (e che la invera e la presuppone).

(…)

XII. Questo libro mira a mettere a punto alcuni strumenti per una buona didattica della letteratura, nel concreto contesto del presente. Una buona lezione implica lo sviluppo dell’attenzione a partire dalla sospensione di ciò che sta intorno all’aula, di ogni abito mentale radicato e dei conseguenti luoghi comuni. In una certa misura, la lezione ha a che fare sia con il lavoro critico che con la ritualità. Un buon insegnante deve apparire all’allievo come «qualcuno cui vale la pena di dare credito»1. Non può risultare autorevole se non tenta, per congetture condivise, di dare risposte alle domande intorno all’oggetto del proprio insegnamento: il testo con la sua alterità e le sue molteplici aporie e provocazioni.

XIII. Tutte le antologie letterarie procedono per estratti(posti in sequenze per temi o per generi alle medie e ai bienni, in una progressione storiografica negli ultimi tre anni). Lo studente è invitato dal manuale a istituire andirivieni fra l’estratto e il genere o l’opera (fra un canto e la Commedia, fra un’ottava e il Furioso, fra un passo del romanzo e i Promessi sposi) o fra l’estratto e il contesto (fra le opere e gli -ismi e le poetiche di gruppo). Il docente passivo si limita a mediare alla classe quanto già disposto dal manuale. Diversa è una didattica del frammento che implica, da parte di un docente attivo, una potenziale ricostruzione non deduttiva. Nell’età del digitale, della didattica a distanza, dell’ipertrofia dei progetti con esperti esterni e dell’alternanza scuola-lavoro, il professore di letteratura, le volte che potrà avere i suoi studenti in classe, tenterà come un critico di far sua questa scommessa: mentre il metodo sequenziale deve molto al capolavoro di Francesco De Sanctis, nel Novecento Erich Auerbach in Mimesis ha proceduto isolando dei frammenti e ha operato in situazioni di guerra e catastrofe di civiltà. La lettura e la valorizzazione di frammenti è l’operazione del docente che scommette sul senso sapendo che non potrà più ricostruire l’insieme.

XIV. Gli autori di questo libro non si fanno illusioni. Le lotte per l’egemonia nella spartizione del capitale simbolico residuo nel campo umanistico hanno consolidato l’idea che, fuori dal dominio delle competenze amministrate dal problem solving tecnopedagogico, si possano erogare/apprendere come contenuti solo scampoli di saperi preconfezionati. Il senso comune dei nostri studenti, e non di rado anche la prassi dei docenti, sono sempre più spesso fondati sulla cronologia letteraria come narrazione enciclopedica e avvicendamento di -ismi, da un lato, e sulla descrizione tecnica di poche caratteristiche formali dall’altro. Il manuale e ogni altro materiale didattico di natura letteraria sono percepiti come somma di nozioni date, da memorizzare e a cui rispondere con un vero o con un falso. La triade che viene assunta come un automatismo è formata dalla Storia letteraria come narrazione mnemonica e riassuntiva di movimenti, dagli Autori come sequenze di vite e opere, e infine dalle Opere, spesso non lette, da riassumere per abstract. La lettura e l’interpretazione, invece, sono etichettate come momento privato e per pochi: istintivo, irriflesso e impressionistico.

XV. Al contempo, però, alcuni studenti continuano ad appassionarsi, per vie traverse, alla ricchezza indocile dell’esperienza letteraria: la concretezza del soprannaturale in Dante, la beffa e il corpo in Boccaccio, le figure dilemmatiche in Machiavelli, la sfida cosmologica in Galileo, l’irriducibilità antisociale in Leopardi… Fino a Conrad, Kafka, Céline, Woolf, De Lillo, Munro, Roth, Morrison, Bolaño. La testualità dei classici antichi o moderni che li cattura è quasi sempre una forma problematica, una figura vitale, un personaggio imprevisto: messi in cattività e umiliati dalle crocette dei test, vanno a male. E i giovani inconsapevolmente lo sanno. Perché è in modo paradossalmente antipedagogico che la grande letteratura mette a frutto le lacerazioni della cultura mescolando i codici fra intimità soggettiva e discorso pubblico. Quasi tutti i grandi personaggi di carta sono antisociali, rifiutano la ragionevolezza, antepongono la solitudine e il dubbio a ciò che la società riconosce come dati indiscutibili: carriera, successo, efficienza, ipocrisia, consenso. Ripartire dall’assunto minimo che la didattica del testo è un modo per insegnare la capacità di riconoscere e di godere consapevolmente il dubbio e la bellezza, significa farne occasione di educazione dei sentimenti e delle libertà. In classe si può tentare di rispondere in modo rigoroso – facendo dell’aula il luogo elementare della critica e dell’avventura conoscitiva – ad alcune domande, diffuse tra gli studenti, tanto urgenti quanto inespresse: che tipo di oggetto è questo testo che ho tra le mani? Cosa ci trovo di interessante? Che rapporto ha con la mia vita e con le mie idee? Che relazione stabilisce con il mondo? Perché di uno stesso testo si danno interpretazioni tanto disparate?

1 M. Barenghi, Cosa possiamo fare con il fuoco? Letteratura e altri ambienti, Macerata, Quodlibet 2013, p. 54.

1 Si potrebbe valorizzare una didattica della letteratura come esperienza del mondo delle emozioni e dei sentimenti (anche i più dirompenti, come i pensieri di rabbia, paura, invidia: modalità del pensiero umano che violano la logica classica). Cfr. I. Matte Blanco, Pensare, sentire, essere, Torino, Einaudi 1995 e A. Ginzburg, Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi, Pisa, Pacini 2011.

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