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diretto da Romano Luperini

Il desiderio, la musica e la strada dell’Eden. L’ultimo libro di Eshkol Nevo, Le vie dell’Eden

Con Le vie dell’Eden Eshkol Nevo ripropone la struttura tripartita del fortunato Tre piani. Anche in questo nuovo libro, pubblicato da Neri Pozza nel 2022 con la traduzione dall’ebraico di Raffaella Scardi, siamo in presenza di tre storie, tre racconti apparentemente autonomi ed indipendenti, ma legati da un impercettibile filo rosso. Un filo che attraversa le vite umane e che in ognuna di queste storie conduce alla tempesta portando alla luce particolari inquietanti capaci di rivoluzionare l’esistenza dei personaggi.

Omissioni, sbagli segreti e mezze verità

I protagonisti dei tre racconti sono tutti accusati di qualcosa, devono pertanto difendersi, giustificarsi, e spiegare la loro versione dei fatti. Non si tratta, quindi, di una confessione innocente come avveniva in Tre piani, qui i protagonisti non possono limitarsi a tirare fuori i sentimenti dal proprio cuore, sono sotto accusa, devono essere indagati e rispondere alle domande per essere perdonati e riabilitati:

Forse evitiamo di domandare quando abbiamo paura di conoscere le risposte. O forse la ragione è più semplice: non sono un investigatore e non ho l’istinto da investigatore. Sono un uomo che si è lasciato irretire da una donna capace di premere i pulsanti giusti. É così: quando si premono i pulsanti giusti possiamo perdere la testa, possiamo cadere nell’abisso, possiamo diventare complici di un crimine.

Il protagonista del primo racconto, La Strada della Morte, Omri, padre neo-divorziato e musicista, incontra in Bolivia, a La Paz, una coppia in luna di miele. Subito c’è qualcosa che lo colpisce di Mor, la giovane sposa, «la gatta randagia» affascinante e fragile allo stesso tempo. Di notte, mentre è solo nel suo ostello, riceve la visita inaspettata di Mor, che ha lasciato il marito addormentato e, dopo avere raccontato ad Omri di sé e dei suoi problemi matrimoniali, si avvicina e lo bacia. Al rientro dal viaggio, il protagonista scopre, leggendolo su un giornale, che il marito di Mor è morto in un incidente, decide così di andare in visita alla famiglia riunita per la shivah,  la settimana di lutto. Scoprirà tuttavia di non avere compiuto il viaggio per rendere omaggio al defunto, bensì per rivedere Mor, la vedova, che nasconde un terribile segreto che rischia di coinvolgere anche lui, fino al punto di fargli perdere la libertà.

Il dottor Caro è il protagonista del secondo racconto, Storia familiare. Si tratta di un medico affermato e rispettato, vedovo dell’amata Niva e padre di due figli, che viene accusato di molestie da una specializzanda. Il processo che ne deriva provoca molti interrogativi per l’ambiguità della situazione, e nel suo monologo-confessione il dottor Caro ripercorrerà l’incontro avvenuto con Liat, la giovane, e le affinità che hanno portato i due ad avvicinarsi («un insegnamento giusto s’intuisce subito, perché risveglia in te una sensazione di qualcosa che hai sempre conosciuto»). Il protagonista scoprirà tuttavia che la ragazza ha suscitato in lui sensazioni legate ad un rimosso segreto del suo passato e della sua storia, ovvero il senso di perdita, e che tali sensazioni lo hanno spinto a maturare un sentimento protezione nei confronti della giovane fino a fargli rischiare di oltrepassare un confine delicato. Ma adesso è pronto a confessare:

La sera scolora nella notte fuori dalla mia finestra. La casa è vuota. Dal salotto non arrivano le voci dei bambini. Nella doccia l’acqua non scorre sul corpo di Niva. Le sonate di Schubert continuano a suonare in sottofondo, a basso volume. Se devo confessare tutto, questa è l’ora.

Nella terza storia una coppia entra in un frutteto, un luogo dove è solita passeggiare abitualmente, ma quel giorno Ofer, il marito, senza nessuna ragione apparente e senza lasciare trapelare alcun segno premonitore, si allontana tra i filari lasciando alla moglie Heli il telefono. Da quel momento l’uomo fa perdere ogni sua traccia, madre e figlia, tuttavia, non si rassegnano: forse non è morto, forse nel suo blog, dove scriveva brevi racconti con uno pseudonimo, c’è un segnale che può portare alla verità. E dunque chi è realmente Ofer? Da questa ricerca incessante Heli scoprirà dei lati di lui, ma anche di se stessa, che erano celati tra le pieghe di una vita apparentemente normale e che invece soltanto adesso, a posteriori, diventeranno rivelatori di mancanze e di segnali che possono essere letti come tali. Come in ogni sparizione, anche in questo racconto si genera un meccanismo di resa dei conti con l’assenza, e quindi con se stessi, che diventa devastante. Forse è per questo che proprio la terza storia è quella più sconvolgente, perché lascia che si realizzi l’inaspettato e il perturbante, ciò che nell’apparente normalità del quotidiano, nella rassicurante monotonia della vita domestica rivela un fondo ambiguo. Dalle prime pagine fino alle atmosfere stranianti del finale, la verità sembra sfuggire, intorno ad ogni personaggio si crea un alone di incertezza, di doppiezza, di difficile decodificazione, addirittura di sogno.

Del resto la scrittura di Nevo ci ha abituati all’indagine e alla rivelazione di quelle verità sconcertanti che si nascondono dietro il familiare e la normalità. Nel quotidiano si annida sempre qualcosa di cupo e di ambiguo che basta una piccola vertigine, un evento cioè capace di mostrare le debolezze umane, perché venga riportato alla luce qualcosa di molto più incandescente e sconvolgente di quello che crediamo. Nevo sembra volerci dire che ogni esistenza è caratterizzata da un fondo di ambiguità, di tensione permanente, perché alla fine le nostre vite hanno sempre qualcosa di irrisolto, ma non sappiamo quando, come, e se verrà fuori.

Inoltre il terzo racconto si intitola Un uomo entra nel frutteto, titolo che in ebraico corrisponde a quello attribuito all’intera opera, e che, come viene indicato nella nota di traduzione all’inizio della narrazione dell’ultima storia, fa riferimento al Talmud, in cui si racconta di quattro saggi Maestri dell’ebraismo che entrano nel Pardès, parolaebraica per indicare il «frutteto», il giardino di Dio, o dell’Eden, da cui uno solo uscirà incolume. Il Pardès è infatti qualcosa di incerto, di non definito, dove non è possibile trovare risposte, proprio come accade in questo libro. Le vie dell’Eden-frutteto diventa pertanto la chiave per leggere non solo l’ultimo segmento del libro, ma tutto il romanzo.

Confessioni ingannevoli

L’incertezza è dunque una chiave di lettura fondamentale per quest’opera. Ciascuno dei  tre personaggi narra infatti la propria versione, ma è proprio quando raccontano (soggettivamente) la propria testimonianza che il lettore ha il sospetto che possa esserci una manipolazione da parte di chi sta raccontando. Le vie dell’Eden contiene quindi tutta l’energia della confessione, ma anche l’incertezza che è, appunto, l’altra prospettiva di lettura: nemmeno nelle confessioni c’è la certezza della verità. Nevo vuole rappresentare l’ambiguità che caratterizza la nostra esistenza, quella che riesce a farci mettere in dubbio persino se siamo colpevoli o innocenti. Ci racconta il momento in cui vacilliamo, in cui una specie di senso di colpa lontano, remoto e ancestrale riemerge improvvisamente facendoci dubitare di essere innocenti, in assoluto. Non a caso il frutteto-Eden ci ricorda la colpa del genere umano, e quindi la cacciata da questo giardino nel quale l’uomo ha perduto la propria innocenza, ma della quale è costantemente alla ricerca.

Tutto il libro, del resto, pur essendo costruito seguendo i meccanismi e i segreti del giallo e del thriller, mantiene un’indeterminatezza e un’enigmaticità di fondo che non appartengono al genere. Nel giallo ci sono sempre un colpevole e un innocente, c’è una separazione netta e certa tra buoni e cattivi, mentre obiettivo di questa scrittura è la rappresentazione delle relazioni umane, che per la loro naturale costituzione sono ambigue, come la storia, che può sempre essere letta secondo due diverse prospettive.

Una crudeltà liberatoria

Le storie dei tre personaggi, mentre ci mostrano i lati più sorprendenti e anche spaventosi dell’esperienza umana, intesa come labirinto di azioni ed emozioni, diventano quindi le tessere per costruire l’affresco di un’epoca, forse caratterizzata da paure e incertezze, persino da un senso di inadeguatezza, ma ancora in grado di fornirci gli ingredienti per riscoprire la vita, della quale il desiderio e la musica costituiscono la perfetta colonna sonora. Se il desiderio, «il pulsante dell’abbandono» che una volta premuto non ci permette più di governare le cose come prima, è una delle poche cose che ci dà ancora la certezza di essere vivi, la musica, e può essere una vecchia canzone, una canzone contemporanea o la musica di Schubert, ha il potere della rivelazione, e accompagna le esistenze dei tre personaggi con la stessa funzione, di un «amo in fondo alla canna da pesca lanciata nelle profondità della nostra anima, da cui fa riaffiorare tutto quello che è sprofondato».

Pur non possedendo la complessa e raffinata struttura di Tre piani, Le vie dell’Eden conferma la straordinaria capacità di Nevo di mettere a nudo l’esistenza umana, di raccontarci con coraggio qualcosa in più di noi con una crudeltà che sa essere liberatoria.

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