Su Guarda le luci, amore mio, di Annie Ernaux
Ernaux e i supermercati
Non si tratta di un’inchiesta, dunque, e nemmeno di un’esplorazione sistematica, bensì di un diario, forma che corrisponde meglio al mio temperamento, in cui fissare le impressioni lasciate dalle cose e dalle persone, dalle atmosfere. Una libera rassegna di osservazioni, di sensazioni, per tentare di cogliere qualcosa della vita che vi si svolge.
Pubblicato in Italia da L’Orma Editore nel 2022 e tradotto da Lorenzo Flabbi, Guarda le luci, amore mio, l’ultimo lavoro di Annie Ernaux è dunque un diario, tenuto dal novembre 2012 all’ottobre 2013, nel quale l’autrice annota le sue visite all’ipermercato Auchan di Cergy, ubicato all’interno del Trois-Fontaine, il più grande centro commerciale della Val-d’Oise. Guarda le luci, amore mio, questo è il titolo dell’opera, nasce dalle osservazioni compiute dall’autrice nel corso delle sue visite quotidiane in questo luogo, regno della grande distribuzione, ma anche spazio pubblico in cui «agiscono e convivono individui tanto differenti, per età, reddito, cultura, origine geografica ed etnica, stile di abbigliamento». In appena un centinaio di pagine, Ernaux ci racconta le dinamiche interne a questo luogo, i cambiamenti, i bisogni, le abitudini, persino le nevrosi dell’umanità contemporanea. Descrivendo l’ordinarietà del quotidiano, la narrazione si fa strumento di comprensione della realtà, come ci suggerisce la stessa autrice:
È stato senza esitare dunque che per “raccontare la vita”, la nostra, oggi, ho scelto come oggetto gli ipermercati. Mi è parsa una buona occasione per riferire di una consuetudine reale – la loro frequentazione – senza ripetere i discorsi, abusati e spesso venati di avversione, che emergono quando si parla di questi cosiddetti non luoghi, e che non corrispondono in nulla alla mia esperienza personale.
Ernaux sceglie dunque un non-luogo, un luogo senza identità e che non ha mai goduto di dignità letteraria, per raccontare la società («mi ero chiesta perché i supermercati non fossero mai presenti nei romanzi che si pubblicavano, quanto tempo ci volesse affinché una realtà nuova potesse assurgere alla dignità letteraria»). Le ragioni di questa esclusione sono da ricercare sicuramente nel fatto che fare la spesa è «roba da donne» e dunque è un’azione «tradizionalmente invisibile». Del resto «ciò che non ha valore nella vita non ne ha nemmeno in letteratura»; ma per Ernaux c’è anche un’altra questione che può spiegare la diffidenza della letteratura verso il supermercato, e riguarda l’estrazione economica degli scrittori francesi, che fino agli anni ’70 erano «per la maggior parte di estrazione borghese e vivevano a Parigi, dove i supermercati non esistevano».
Al contrario, questo diario si apre proprio con un elenco di supermercati che la scrittrice ha frequentato e che ricorda con affetto. Ogni periodo della sua vita sembra associato alle immagini di centri commerciali e agli incontri che sono avvenuti in questi luoghi. Se i libri, l’arte, i film, da sempre si costituiscono come luoghi della memoria, capaci di conservare il ricordo e di consentire l’elaborazione del vissuto, i supermercati cominciano a figurare tra i luoghi degni di avere una loro rappresentazione soltanto negli ultimi tempi: «scegliamo i nostri oggetti e i nostri luoghi della memoria, o piuttosto è lo spirito dei tempi a decidere ciò che val la pena di essere ricordato».
Il diario di un variegato microcosmo
Sia che si trovi all’entrata dell’Auchan, o tra le corsie e gli scaffali del supermercato, Ernaux vede sfilare davanti a sé l’umanità in tutte le sue declinazioni, e la scrittrice si trasforma in un’attenta osservatrice che dimentica se stessa per dedicarsi alla contemplazione del microcosmo del supermercato. Una realtà catturata dagli occhi dell’autrice, strappata, forse, all’invisibilità, e raccontata attraverso la forza di una narrazione come sempre analitica e attenta a cogliere la vita nelle sue molteplici sfumature: «perché vedere per scrivere è vedere altrimenti. È distinguere oggetti, individui, meccanismi e conferire loro valore d’esistenza».
Non siamo, tuttavia, di fronte ad un reportage, non è, insomma, questo lavoro, un’indagine, ma un diario, e, come sempre accade nella scrittura di Ernaux, un diario che attraversa il tempo, i luoghi e l’umanità per offrirci uno spaccato della società e della realtà contemporanea. L’ipermercato diventa così il teatro all’interno del quale tutti i clienti sono attori inconsapevoli, è come un grande palcoscenico che vede quotidianamente in scena i suoi protagonisti, appartenenti a tutte le categorie sociali, li vede spostarsi tra gli scaffali, valutare le offerte speciali, scegliere i prodotti più convenienti, o quelli più costosi. Ma è anche il racconto che parla di noi, di chi siamo, di come viviamo, delle nostre abitudini, della nostra famiglia; è sufficiente osservare il modo in cui riempiamo il carrello, in quali orari facciamo la spesa, quali prodotti scegliamo, e quali ignoriamo. Insomma, anche con questo libro, Ernaux riesce ad utilizzare una dimensione personale come quella diaristica per mostrare la vita, per parlare di come viviamo, della nostra quotidianità affettiva, ma anche per fare politica e per raccontarci i nostri “anni”. Gli anni di una società globalizzata di cui il supermercato, questo grande teatro del nostro vivere collettivo, diventa lo specchio offrendo occasioni di riflessione sul multiculturalismo, sul capitalismo e il consumismo, sulla povertà, ma anche sulla disparità di genere.
Lo sguardo dell’autrice riesce a cogliere il gesto d’amore di una nonna che compra un regalo di troppo per la nipotina e la vizia consapevole di avere torto, ma è incapace di fare altrimenti perché «vuole rendere felice la sua nipotina. Ama essere amata da lei»; del resto «nel mondo dell’ipermercato e dell’economia liberale amare i bambini significa comprar loro più cose possibili». Ma sa anche scorgere la solitudine del pensionato che cerca insistentemente qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, o l’entusiasmo di una giovane mamma che si rivolge alla figlia nel passeggino e, indicandole le luci natalizie che adornano il supermercato, le dice: «Guarda le luci, amore mio».
Il non-luogo della nevrosi contemporanea
Insieme alla vita dei suoi personaggi, Ernaux riesce a indagare anche la moderna società dei consumi, dove la logica dell’accumulo sfocia nella nevrosi collettiva. Nel mondo dell’economia liberale acquistare in grande quantità è uno stile di vita, addirittura comprare è un modo per amare e prendersi cura degli altri. Il supermercato, d’altro canto, se da una parte cerca di adattarsi alla realtà umana e quindi si propone di assecondare i desideri e le necessità dei suoi clienti, dall’altra parte è esso stesso ad influenzare le scelte dei consumatori, suscitando i loro desideri e orientando addirittura il loro inconscio. Gli slogan sui cartelli, la distribuzione dei prodotti sugli scaffali, tutto in questo tempio del consumismo inneggia all’acquisto immediato, tutto spinge a desiderare i prodotti. Ma accanto alla legge del consumo, Ernaux ci mostra anche l’altro volto del capitalismo, quello che sfrutta la manodopera a basso costo nei Paesi più poveri del mondo, quello che ci ricorda che «un palazzo di otto piani è crollato vicino a Dacca, in Bangladesh. I morti sarebbero almeno 200. All’interno c’erano diverse manifatture tessili in cui lavoravano 3000 operai per conto di grandi marchi occidentali. Una precisazione diventata da tempo superflua […] Il bilancio del crollo del Rana Plaza in Bangladesh è di 1.127 morti. Tra le macerie sono state ritrovate etichette di Carrefour, Camaïeu e Auchan».
La poetica di Ernaux si è sempre mostrata molto attenta alle questioni sociali, anche a quelle di classe, e se il supermercato diventa un luogo letterario di tutto rispetto, lo è essenzialmente perché consente alla scrittura di parlarci ancora una volta delle contraddizioni della società contemporanea.
Guarda le luci, amore mio, non è sicuramente il libro più significativo di Ernaux, ma ha indubbiamente il merito di consentire di riconoscerci in un luogo che appartiene a tutti. Segnando anche l’evoluzione da quel mondo provinciale e piccolo borghese rappresentato dall’epicerie aperta dai suoi genitori e narrato ne Il posto, a quello della grande distribuzione.
Come nei romanzi precedenti, la scrittrice ha saputo rendere collettivi degli eventi che lei ha vissuto in prima persona, riuscendo a parlare di comportamenti e situazioni che, pur prendendo spunto dalla condizione soggettiva dell’autore, mettono il lettore di fronte alla Storia e lo costringono in qualche modo a farci i conti, così anche questa volta Ernaux racconta, attraverso l’osservazione di un luogo, ciò che siamo, nel bene e nel male.
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