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diretto da Romano Luperini

Sul confine tra classe e pollaio (apologo triste)

In prima erano 30. La 1P di una scuola superiore.

Dopo circa un mese, se n’erano andati in quattro: non sapevano che l’italiano si studiasse in quel modo; che la matematica fosse quella matematica; che l’inglese si facesse così e che così si facessero pure le altre materie. Fu quel che dissero i loro genitori, prima di trasferirli in scuole con indirizzi diversi.

Prima di Natale ne andò via ancora una: stavolta i genitori dissero che l’avrebbero portata, sì, in un’altra scuola, ma con lo stesso indirizzo e una diversa sede, un posto migliore, dove i docenti e le docenti erano più generosi: lì dove l’avevano iscritta, i professori avevano la cattiva abitudine di correggere gli errori; e questo era intollerabile. Dopo Natale, anche un altro trovò che la cosa fosse intollerabile; e andò a raggiungere la compagna nella scuola-stesso-indirizzo-altra-sede.

A marzo una insidiosa epidemia trasferì le aule dagli edifici in mattoni alle stanze virtuali. Le e i docenti-poco-generosi continuarono a lavorare con gli allievi e le allieve della 1P, cercando, pure in quella situazione, di farne classe e di insegnare loro quello per cui ritenevano (nella loro modesta lungimiranza) di essere stati reclutati nella scuola: italiano, matematica, inglese, scienze, storia, etc. Nessuno fra gli allievi e le allieve fu rimandato – non si poteva nemmeno, secondo le disposizioni dell’Ente Supremo –, i docenti-poco-generosi provarono a valutare, accanto ai risultati attesi, i risultati comunque raggiunti e alla fine di agosto a tutti e tutte proposero di riprendere gli argomenti che la distanza (pensavano) avesse reso più difficili, o addirittura oscuri. Quegli incontri pretestuosi andarono in larga parte deserti. E a settembre, in aula (un’aula-a-metà, mezza fisica e mezza virtuale), allievi e allieve erano diminuiti ancora di due, andati a raggiungere quegli altri nella scuola con i docenti-più-generosi.

I docenti-poco-generosi, mutatis mutandis in grazia della didattica mista, continuarono tuttavia il loro lavoro, lo stesso di prima (italiano, matematica, inglese, scienze, storia, etc.); e per questa ragione, tacciandoli di disumanità (giacché, in quella situazione, pretendevano di fare italiano, matematica, inglese, scienze, storia, etc.), i genitori di altri tre allievi decisero di trasferire i loro figli nella scuola con i docenti-più-generosi-e-più-umani. Non che i docenti-poco-generosi non fossero preparati; e nemmeno si poteva dire che fossero antipatici o brutali (benché disumani): questo – seppure a denti stretti – i genitori lo ammettevano. Ma i voti, quelli non sapevano proprio darli, era un dato di fatto – e i genitori potevano ben dirlo, giacché si intendevano ugualmente di italiano, matematica, inglese, scienze, storia, etc. I loro figli e le loro figlie ripetevano, altroché! Li sentivano distintamente, al pomeriggio, ripetere nelle loro stanze, e sui quaderni c’erano pure, svolti, alcuni esercizi; e se in aula non riuscivano a ripetere bene (l’argomento o l’esercizio) era perché i docenti erano poco generosi, e anche disumani, benché non fossero antipatici né brutali, e fossero pure preparati; perché un docente generoso e umano, di fronte all’argomento ripetuto o all’esercizio comunque svolto, mette un 8, parliamoci chiaro; lo imparassero, questi docenti, una volta per tutte!

Ma quei docenti non impararono dai loro errori e si ostinarono in richieste spudorate: “giustificare i passaggi”, “creare connessioni logiche”, “scrivere testi coesi”, “argomentare”, “usare strumenti di analisi”; ma – quel ch’è peggio – in base a quegli indicatori impazziti continuarono a dare 6 a chi raggiungeva 6 e 10 a chi raggiungeva 10, senza comprendere (giacché disumani) quanto fosse oltraggioso, per coloro che non avevano ancora raggiunto il 10, vedere altri raggiungerlo. E questo era intollerabile. Bisognava dare una lezione a quei docenti svergognati; e anche a quegli allievi che prendevano 9 e 10, e anche a quelli che non prendevano 9 e 10 ma lavoravano confidando di prenderli, e anche ai loro genitori, che li incoraggiavano a studiare come se fosse normale. Restassero loro, in quell’inferno: i genitori – quelli attenti, quelli che avevano a cuore le sorti dei loro figli e delle loro figlie – l’avrebbero portata via da lì, la loro prole, nella scuola dei docenti-umani-e-generosi.

E così, al terzo anno, di un corso di 30 non restò che la metà. Era una buona metà. Non che per intero prendesse 9 e 10, ma si dava un gran da fare e i docenti e i genitori ne erano contenti; di più: orgogliosi ed entusiasti. Però era una classe. I docenti e le docenti  quotidianamente e non a campione leggevano i quaderni dei loro allievi e delle loro allieve, ne ascoltavano i dubbi, ne osservavano le conquiste, dialogavano con loro; omettevano addirittura di verificarne i progressi a via di test con le crocette! C’era il rischio consistente che allievi e allieve si abituassero allo status di studenti e studentesse e si rifiutassero, poi, nella vita, di fare i polli da batteria; e che accampassero diritti, diventassero critici, osassero pensare… E che dispendio, per dio! Tutti quei docenti (peraltro disumani e poco generosi, benché preparati e non brutali) per un pugno di adolescenti informi! “Via, via, siamo seri” – sentenziò severamente l’Ente Supremo –  “Ottimizzare! Ottimizzare!”.

E fu così che, terminata la terza, i quindici superstiti del corso P dovettero dirsi addio: il grosso toccò alla 4F, che di allievi ne aveva soltanto 21 e ne ricevette addirittura otto; cinque andarono alla 4G, che li accolse con insofferenza giacché ne contava già 25; e alla 4H, che con i suoi 28 credeva di averla fatta franca, toccarono i rimanenti due. La 4P fu cancellata dai registri e dalla pianta della scuola. Ai docenti-poco-generosi fu comminata la damnatio memoriae ma, poiché non c’erano abbastanza soldi per rimpiazzarli, furono riammessi in aula sotto il controllo di un docente-umano-e-generoso e la pena fu commutata in un corso intensivo di trecento ore su soft skills, sicurezza sul posto di lavoro e rischi di contagio in caso di pandemia (da cui appresero essere esenti le classi di una scuola).

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