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“La forma dell’io. Identità personale e strategie narrative da Buzzati a Lodoli” di Bruno Mellarini (Metauro)

I saggi che Bruno Mellarini ha riunito nel volume La forma dell’io. Identità personale e strategie narrative da Buzzati a Lodoli (Metauro 2022), si propongono di interrogare le cosiddette scritture del sé e, più specificamente, il senso che la scrittura autobiografica assume, nelle sue diverse declinazioni, che vanno dal romanzo autobiografico al diario, negli autori e nelle opere prese in esame. A tal fine si sono tenute presenti le diverse letture che, a livello metodologico, sono state offerte in passato da studiosi come Bonifazi e Ricoeur, e, in anni più recenti, da Maria Anna Mariani e da Fabrizio Scrivano. Si sono così evidenziati i diversi elementi che spostano le scritture autobiografiche verso i territori della finzionalità: dalla costruzione dell’intrigo alla “rifigurazione” narrativa del tempo umano, dall’intervento sull’orchestrazione narratologica dei testi alle dislocazioni in ordine al rapporto tra autore, narratore e personaggio, fino alle strategie, anche di matrice psicoanalitica, di ridefinizione e di travestimento dell’io, il cui destino è di trasfigurarsi in una sorta di “io narrativo” dall’identità inafferrabile e sfuggente, come dimostrano, in particolare, i protagonisti delle opere di Francesca Sanvitale e di Marco Lodoli.


In questo libro si prendono in esame scrittori che appartengono al secondo Novecento (con la parziale eccezione di Buzzati, che esordisce com’è noto negli anni Trenta) e che esprimono, con ogni evidenza, interessi, inclinazioni e poetiche molto diverse tra loro: si va infatti da Buzzati a Giorgio Voghera, da Calvino a Volponi, da Francesca Sanvitale a Marco Lodoli, l’unico autore attualmente ancora in attività e con il quale si chiude la rassegna proposta.

L’evidente, innegabile eterogeneità è frutto di una scelta consapevole e voluta: nell’arco che va da Buzzati, le cui prime prove si inscrivono nel solco della cosiddetta “prosa d’arte”, a un autore contemporaneo come Lodoli è davvero compresa, in sintesi, l’evoluzione novecentesca della narrativa italiana e delle sue forme. Ma non è solo questo. Vi sono infatti, al di là di questa dichiarata eterogeneità, alcuni aspetti ed elementi comuni che, ricorrendo in diversa misura in tutti gli autori considerati, contribuiscono a tracciare un profilo sostanzialmente unitario, contrassegnato cioè da una coerenza e continuità di fondo sia per quanto riguarda il tipo di approccio alla letteratura, e il conseguente impegno che essa richiede, sia per quanto attiene alle scelte di ordine specificamente formale. In particolare, sono tre gli elementi che si impongono immediatamente all’attenzione: a) la fedeltà al genere del romanzo, a riprova di quel primato della narrativa che caratterizzerebbe, secondo Segre, la produzione letteraria italiana all’indomani della Seconda guerra mondiale: una fedeltà che si declina, ovviamente, attraverso forme e modalità differenziate, che vanno dal romanzo analitico di impianto tradizionale (Il segreto dell’Anonimo Triestino [Giorgio Voghera]), al romanzo-saggio esemplato sugli esempi di Mann, Musil e Broch (Il cuore borghese di Francesca Sanvitale), fino al Bildungsroman rivisitato e criticamente aggiornato, in un intreccio che valorizza in modo originale la connessione tra mito classico e scavo nell’inconscio (Il lanciatore di giavellotto di Paolo Volponi); b) il rapporto, vitale e insostituibile, con la tradizione, anche in questo caso declinato secondo forme e modalità diversificate, ma tuttavia ben riconoscibile nella maggior parte degli autori considerati (e si badi che si tratta di un legame, quello con la tradizione, che nulla ha a che vedere con l’uso tipicamente postmoderno della ripresa o della citazione colta, trattandosi, al contrario, di scrittori che della tradizione si alimentano e che nella tradizione trovano l’humus ideale in cui far crescere e sviluppare i frutti della loro attività scrittoria, a partire da un dialogo costante, sia pure non sempre esplicitato, con i testi e i modelli del passato). L’esempio più eclatante, in proposito, è forse offerto da un autore come Marco Lodoli, il cui romanzo d’esordio, Diario di un millennio che fugge (1986), può essere letto come una riscrittura del Grande Meaulnes di Alain-Fournier alla luce della Nausea sartriana, per usare una formula certamente compendiosa e semplificante ma non troppo lontana dal vero (e senza contare l’importanza decisiva di un altro modello, quello rappresentato da Rilke, centrale e imprescindibile per cogliere il senso della poetica lodoliana in tutte le sue diramazioni); c) una cura formale, in termini di ricerca stilistica e di elaborazione della lingua, che caratterizza, con i necessari distinguo, pressoché tutte le opere esaminate, e che può essere considerata quale ulteriore testimonianza di quell’appartenere a una tradizione attestata e riconoscibile di cui si è detto più sopra. A questo proposito bisogna ricordare, anzitutto, la raffinatezza espressiva di Francesca Sanvitale, la stilizzazione ad alto tasso di figuralità di Marco Lodoli, la prosa avvolgente di Calvino, il mimetismo linguistico di Volponi, che riesce, anche in virtù di precisi modelli figurativi, a tradurre sulla pagina la concreta fisicità e corporeità delle cose. Un discorso almeno in parte diverso andrebbe fatto invece per Buzzati (anche se non mancano, soprattutto nelle pagine di Un amore, soluzioni interessanti sotto il profilo ritmico-sintattico) e per Giorgio Voghera, autore che si rifà alla (vera o presunta) antiletterarietà della tradizione triestina, anteponendo l’urgenza e la “verità” dei contenuti alla cura della forma.      

Sarà inoltre da considerare, come tratto comune a tutti gli autori presi in esame, l’attenzione trasversale ai temi dell’identità personale, approfonditi attraverso un’esplorazione dell’io (o del “sé”) che si avvale, ovviamente, di strumenti più o meno raffinati, e che conduce a esiti diversi in ragione delle diverse epistemologie adottate: così, mentre il Calvino delle postume Lezioni americane arrivava a teorizzare, nel capitolo dedicato alla «Molteplicità», l’uscita dal self e, quindi, il superamento dei condizionamenti e delle limitazioni poste dalla propria soggettività, in quanto concrezione storica e vertiginosamente enciclopedica del sapere accumulato, gli altri scrittori che abbiamo considerato continuano a muoversi, in modo più tradizionale, nello spazio dell’io individuale, proponendo un confronto costante con le dimensioni elusive e sfuggenti dell’identità personale.

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