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Politiche scolastiche e alternanza scuola-lavoro: appello per la mobilitazione di un gruppo di docenti del Liceo Socrate di Roma

Pubblichiamo di seguito il testo di un documento politico sottoscritto da un gruppo di docenti del Liceo Socrate di Roma al termine di un’assemblea svoltasi nei giorni scorsi. La riflessione critica sui percorsi di PCTO, e sulle politiche scolastiche in cui si inseriscono, era iniziata da tempo tra i docenti dell’istituto, anche in relazione ai problemi connessi all’emergenza sanitaria. In questo contesto si è dunque sviluppata la riflessione che ha condotto alla stesura del documento, con una inevitabile accelerazione nelle ultime settimane, a seguito della morte di Lorenzo Parelli e di Giuseppe Lenoci. I docenti del Socrate rivolgono un appello alle scuole per la mobilitazione e la costruzione di un’assemblea cittadina. Istituiti e singoli docenti possono sottoscrivere l’appello a questo link:

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSeLugoFRxwpbSGZ-ZiFMae4owGu0sPv4JkewOHHSDntjdcpJQ/viewform

«Il presente documento, che recepisce quanto emerso in un una assemblea di lavoratori del Liceo Socrate di Roma sui percorsi di PCTO, è stato sottoscritto da circa 50 docenti dello stesso Istituto.

Lo spunto immediato a riunirci e discutere sono state le tragedie che hanno coinvolto Lorenzo e Giuseppe, ma la riflessione era già in corso e riguardava il senso complessivo dell’alternanza scuola-lavoro e come questa si inquadri nelle politiche scolastiche generali degli ultimi decenni.

Il punto di partenza condiviso è che siamo perfettamente d’accordo sul fatto che la scuola, licei compresi, debba essere aperta alla società. Rifiutiamo la divisione in compartimenti stagni tra una formazione puramente teorica e una pratica, proiezione e riproduzione di demarcazioni sociali che vanno contro ciò che pensiamo la scuola debba garantire a tutti, vale a dire la promozione e la crescita complessive della persona e del cittadino. Il problema è però la determinazione della natura del rapporto tra formazione e società e, con esso, l’idea di scuola che ha chi ha strutturato i percorsi di alternanza con le caratteristiche che essi hanno ora. Questi sono stati introdotti in una scuola che era già stata fortemente depotenziata nelle risorse, con provvedimenti che avevano determinato la riduzione dell’orario scuola e l’aumento del numero degli studenti per classe. Sin da subito hanno goduto di uno status privilegiato: le 200 ore introdotte per la prima volta nei licei, come quelle aumentate a 400 negli istituti, dovevano essere svolte integralmente, e ciò continua a valere per il numero ridotto previsto dalla normativa attuale. Un caso analogo si è verificato con l’educazione civica. Essendo tutte attività che si svolgono in orario scolastico, è evidente quanto questo ne risulti ridimensionato, con la tacita accettazione della rinuncia a molte ore delle materie curricolari. Ciò è perfettamente tollerabile per un legislatore che guarda alla scuola come luogo esclusivo delle competenze: le conoscenze che concorrono a una formazione critica e consapevole rimangono ai margini, dietro un saper fare in grado di adattarsi a contesti sempre mutevoli. A ciò si sono unite la burocratizzazione crescente del lavoro degli insegnanti e la necessità di svolgere mansioni sempre nuove e diverse, anche in connessione con l’introduzione della DaD. La sensazione, suffragata dai fatti, è che per la didattica rimangano solo i resti. I PCTO, inoltre, sono entrati di diritto nella valutazione disciplinare, della condotta e soprattutto nell’Esame di Stato. Questo dà la misura dell’importanza che assegna loro il legislatore, la quale si rivela più ideologica che pratica. Nei licei infatti il contatto reale col mondo del lavoro è scarso, sostituito da quello con le università, il terzo settore, il volontariato e simili. Quel tipo di blindatura — nel numero di ore, nella valutazione, nella necessaria presenza al colloquio di maturità, nei fondi esclusivi che vi sono dedicati — dimostra come la relazione tra scuola e società, voluta da chi ha introdotto e sostenuto l’alternanza, abbia come fine esclusivo la strutturazione di un rapporto con il mondo della produzione; detta in termini più chiari, la scuola nel suo complesso deve avere come progetto complessivo quello di preparare persone in grado di spendere competenze e skills nel mercato del lavoro. L’obbligatorietà d’altro canto priva gli studenti della possibilità di scegliere autonomamente eventuali attività volontarie a cui dedicarsi nel tempo del privato.

A nostro avviso il rapporto con la società che i licei devono avere è invece più articolato e complesso. Per prima cosa occorre riconoscere che per essi l’interlocutore primo è il mondo dell’università. La scissione tra i due segmenti della formazione e chi vi opera va superata nell’ottica di una sinergia strutturata. In tale prospettiva, un orientamento ben potenziato, con finanziamenti adeguati, può assolvere in maniera più efficace a funzioni che attualmente sono assegnate anche a PCTO. Ciò eviterebbe peraltro inutili sovrapposizioni e ambiguità di pertinenza.

Vi è poi l’area ampia dei progetti. Siamo ben consapevoli del rischio, che tutti abbiamo sperimentato, della trasformazione della scuola dell’autonomia in un progettificio. Ciò tuttavia si può arginare se il Collegio dei docenti recupera la propria centralità nella selezione e nella valutazione delle proposte sulla base della loro valenza didattica. La stessa educazione civica, anch’essa da ripensare profondamente, può contenere molto di ciò che oggi passa per i PCTO. Anche l’attività didattica ordinaria, a nostro avviso, può e deve coprire campi che erroneamente si pensa siano competenza esclusiva dell’alternanza. Le conoscenze relative alla cultura, al divenire storico, alle scienze sociali, agli ambiti propriamente scientifici così come a quelli tecnici, concorrono a fornire agli studenti coordinate di relazione con il mondo nelle sue molteplici varietà.

Si pensi ai corsi di informatica, a quelli sull’uso di programmi che si ritrovano in alcuni settori professionali, alla realizzazione di siti web, alle esperienze nei laboratori, agli esercizi su varie tipologie di scrittura, alle attività motorie, e potremmo continuare a lungo. Va da sé che questo può richiedere un aggiornamento da parte di noi insegnanti, anche un ripensamento dei nostri metodi, e siamo ben disposti a intraprendere tale percorso purché sia ben strutturato a livello contrattuale ed effettivamente coerente con i nostri bisogni.

Un discorso analogo va fatto nella direzione dell’allargamento delle esperienze a un contesto europeo, con un sistema di borse di studio che garantisca a tutti la possibilità di accesso.

Dal complesso di queste valutazioni, da cui emergono le proposte che si sono sinteticamente esposte, consegue l’idea che i PCTO così come sono strutturati vadano aboliti. Le attività che abbiamo proposto in loro sostituzione, che concorrono al mantenimento della relazione della scuola con l’esterno, andrebbero svolte in orario extra-scolastico e sarebbero scelte volontariamente dagli studenti, senza una quantificazione preventiva del numero di ore.

Occorre conoscere bene la normativa e comprendere le intenzioni profonde del legislatore, l’idea di scuola e società che dà forma ai provvedimenti. Rimaniamo pertanto sconcertati da quanto è emerso dall’audizione alla Camera del Ministro Bianchi. Pensare che una piaga come le morti sul lavoro, che coinvolge tragicamente gli studenti perché in quel frangente sono anche lavoratori, si possa arginare individuando un docente come responsabile della sicurezza, dà la misura del totale scarico di responsabilità da parte di chi dovrebbe governare i processi, se non della completa e colpevole ignoranza delle reali dinamiche del mercato del lavoro verso cui sempre più si vuole indirizzare la scuola.

Ci rivolgiamo pertanto ai colleghi degli altri istituti, a cominciare da quelli di Roma, perché sottoscrivano il nostro documento o sviluppino analoghi momenti di confronto, per costruire insieme una grande assemblea cittadina a fine marzo».

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