Educazione linguistica e curricolo verticale: sillabi possibili di contenuti grammaticali
Premessa
La lingua italiana e la sua grammatica, per ovvie ragioni, anche normative, rappresentano nella scuola il terreno comune tra i diversi ordini, oltre che tra le varie discipline. Come noto le Indicazioni Nazionali prevedono che la lingua italiana sia curata da tutti i docenti e integrano la dimensione orizzontale della competenza con il piano verticale del suo sviluppo diacronico. I PTOF degli istituti comprensivi, recependo le Indicazioni Nazionali, presentano i descrittori delle competenze in continuità tra scuola primaria e scuola secondaria di primo grado, secondo l’ottica del curricolo verticale. Eppure, a sfogliare la gran parte dei manuali di grammatica in adozione nella scuola secondaria di primo grado, ad esempio, non sembra che questa impostazione, potenzialmente molto produttiva, sia stata effettivamente recepita. E non è questione di poco conto, dal momento che la manualistica, specie nella scuola del primo ciclo, rappresenta un’aspettativa anche sul piano didattico e uno strumento che orienta il lavoro del docente e che, anzi, talvolta perfino lo condiziona.
Per quanto riguarda l’insegnamento esplicito della grammatica, dunque, dalla scuola primaria alla secondaria di primo grado — e poi in realtà anche oltre fino alle superiori — i manuali propongono nello stesso ordine progressivo gli stessi blocchi di contenuti linguistici, secondo la scansione tradizionale di morfologia, analisi logica e analisi del periodo. Ciò avviene in una cornice generale nella quale la finalità stessa dell’insegnamento della grammatica rischia di sfuggire perfino al docente, configurandosi talvolta nelle forme di un insegnamento a servizio di altre discipline: per meglio apprendere la grammatica delle lingue comunitarie, per sviluppare la logica, per meglio apprendere il latino alle superiori, e così via.
Per un’educazione linguistica democratica
Vale la pena ricordare che già mezzo secolo fa le Dieci Tesi Giscel per un’educazione linguistica democratica evidenziavano (si veda in particolare il punto b) tesi VII) «l’inutilità dell’insegnamento grammaticale tradizionale rispetto ai fini primari e fondamentali dell’educazione linguistica» ed efficacemente aggiungevano che «pensare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è, più o meno, come pensare che chi meglio conosce l’anatomia delle gambe corre più svelto». Oltre alla critica esplicita alla pedagogia linguistica tradizionale, che di fatto si risolveva nell’insegnamento delle regole e nella prevalenza delle abilità produttive, il punto focale di quel documento da cui discendeva la critica, era rappresentato da una visione pluridimensionale della lingua (piano pragmatico, socio-linguistico eccetera) ma entro una prospettiva organica, che teneva presente «il suo radicamento nella vita biologica, emozionale, intellettuale, sociale» dell’individuo e che, soprattutto, chiariva inequivocabilmente come la finalità dell’insegnamento linguistico fosse l’emancipazione delle classi più svantaggiate. Ciò che qualificava la capacità di usare la lingua in quel documento, il discrimine dell’effettiva competenza — si potrebbe dire con terminologia più aggiornata — non era il fatto che la competenza linguistica rendesse performante l’individuo in un contesto professionale, quanto il fatto che gli potesse consentire di resistere alla pressione di un modello politico-sociale dominante, anche sul piano del linguaggio, tema quanto mai attuale. Oggi però sembrerebbe accadere il contrario, per cui anche lo sviluppo della competenza linguistica nei documenti normativi viene finalizzato a un sempre più agevole inserimento dell’individuo in un contesto sociale e produttivo dato come ineludibile e che non si mette in discussione. Non sarà quindi un caso che pure gli aspetti potenzialmente produttivi della nozione di competenza — assumendo che la si inquadri nella stessa ottica pluridimensionale e democratica delle Dieci Tesi, per intenderci — facciano fatica a imporsi come patrimonio condiviso, mentre anzi si osservano pericolosi deragliamenti, come nel caso della sopravvalutazione e uso improprio, sotto molteplici punti di vista, dei test Invalsi. Alla base si riscontra, in definitiva, una divergenza tra le tendenze che spingono la scuola sempre più verso l’aziendalizzazione, da un lato, e dall’altro la prospettiva educativa che continua ad orientare la classe docente.
Curricolo verticale e ricorsività dei contenuti
Tornando al tema posto in apertura, infatti, se è vero che la nozione di curricolo verticale nella manualistica non si applica ai tradizionali blocchi di contenuti linguistici, è vero anche che nella prassi la didattica non segue quasi mai la progressione lineare riflessa dai manuali. Nel corso degli anni i docenti ritornano più volte su una serie di contenuti, secondo un principio che ad esempio è sistematicamente applicato nella didattica delle lingue seconde, il principio della ricorsività, che di fatto consente di progettare le attività in modo che la competenza linguistico-comunicativa possa svilupparsi «per aggiunte e ampliamenti studiatamente graduali» (si usa volutamente la terminologia delle Dieci Tesi, cfr.), vale a dire sostenuti da una ratio. Da questo punto di vista — e cioè sul piano del supporto alla didattica — la gran parte dei manuali di grammatica presenta una utilità pressoché nulla e i testi in adozione solitamente si configurano come strumenti alquanto inerti, i quali ormai rivestono più che altro la funzione di un repertorio di norme, talvolta anche assurdamente prolisse, utile forse solo alla consultazione, sia per i docenti sia per gli studenti.
Il principio della ricorsività, che nella didattica delle lingue seconde presiede alla definizione dei sillabi dei contenuti, non solo linguistici, potrebbe essere anche per l’italiano L1 (anche tenuto conto che per molti alunni l’italiano è una L2) il criterio che orienta la selezione dei contenuti per ciascuna classe e il sillabo lo strumento operativo — flessibile, autogestito e non prescrittivo — che concretamente consente di tradurre in pratica l’approccio verticale del curricolo, sia tra ordini, sia internamente a ciascun ordine. Bisogna tuttavia chiarire che il principio della ricorsività non si esaurisce nella semplice ripresa di un determinato contenuto linguistico. Il principio della ricorsività prevede infatti che questa ripresa avvenga in modo motivato e secondo una progressione che obbedisca a un qualche criterio, possibilmente di ordine linguistico e con finalità didattiche. Non solo. Sarebbe interessante, oltre che importante, valutare gli aspetti specifici legati all’apprendimento e allo sviluppo delle abilità in lingua madre, per verificare quali contenuti siano efficacemente processabili da un alunno in una determinata fase del suo sviluppo cognitivo. Sempre restando alle lingue seconde, lo studio dell’acquisizione della lingua in contesto spontaneo, ad esempio, ha evidenziato l’esistenza di sequenze di acquisizione ed è stato dimostrato che è sostanzialmente inefficace didatticamente proporre un contenuto linguistico in contesto guidato, se esso contraddice una determinata sequenza.
Per fare un esempio concreto di articolazione di un sillabo, quello di italiano L2 in uso all’Università per Stranieri di Siena[1], nel caso del pronome personale soggetto — ma il principio è lo stesso per tutti i contenuti linguistici — nel livello A1 prevede lo studio delle forme del neo-standard (io, tu, lui, lei, noi, voi, loro) e alcuni casi di omissione; nel livello A2 si prevede la ripresa dello stesso contenuto — pronome personale soggetto — che viene indicato con un (2), vale a dire un esponente che evidenzia che quel dato contenuto è affrontato per la seconda volta, e si propone lo studio di altri casi di omissione, dei casi di omissione facoltativa e di espressione obbligatoria, e così via, fino al livello C2. A questo livello, per progressivi ampliamenti, si finisce per affrontare il plurale maiestatico, l’allocutivo di cortesia di stile solenne Ella, di stile formale Loro, Voi in riferimento a una persona; l’uso della terza persona in funzione di soggetto logico di prima. È evidente che la scansione dei contenuti che si adotta in un sillabo per L2 non può essere la stessa per la L1, ma qui interessa mettere in evidenza la sussistenza di un criterio, una studiata gradualità, tenendo conto contestualmente anche delle altre dimensioni della lingua. Nei sillabi di L2, infatti, assieme ai contenuti linguistici sono indicizzati anche gli aspetti funzionali, socio-linguistici, testuali, culturali.
Plausibilità dei sillabi di contenuti grammaticali in L1
Come si accennava la necessità/ opportunità di un simile modo di procedere sembrerebbe emergere anche per i docenti di italiano L1, i quali costantemente ridefiniscono le loro previsioni, riprendono, ripetono, riorganizzano. Lo fanno sulla base dell’esperienza, della riflessione, dello studio. Entro certi limiti questa necessità è fisiologica dell’azione didattica, ma forse dietro ciò che gli insegnanti osservano empiricamente in termini di difficoltà ricorrenti/ errori/ preferenze degli alunni potrebbero esserci spiegazioni che magari consentirebbero di trarre conclusioni più generali e, sulla base di queste, riorientare la scansione dei contenuti in modo ragionato, o per lo meno fare ipotesi. In questa ottica sarebbe certo auspicabile una maggiore connessione tra la ricerca accademica e la didattica, come anche bisognerebbe lasciare ai dipartimenti di lettere, sfiniti dalle contemporanee tendenze burocratizzanti, lo spazio di recuperare il ruolo che spetta loro come centri promotori di ricerca e sperimentazione.
Un esempio concreto
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte e a partire dalle difficoltà che gli alunni incontrano nella gestione dei sostituenti nominali, si propone qui, per le tre classi della secondaria di primo grado, una bozza molto rudimentale di sillabo, da intendersi solo come una esemplificazione di metodo, con tutti i limiti del caso, derivanti dal fatto che muove da osservazioni empiriche che necessiterebbero di essere verificate.
Osservazioni empiriche
Pronomi personali
• nessuna particolare difficoltà nella gestione delle forme del pronome personale soggetto;
• persistenza di valori prescrittivi nella percezione delle forme egli/ ella;
• espressione ridondante del pronome personale soggetto di prima persona;
• difficoltà nella gestione delle forme dei casi obliqui le/ gli/ loro;
• difficoltà nell’uso di alcuni clitici, in particolare ne.
Pronomi determinativi
• nessuna difficoltà particolare nel riconoscimento;
• uso circoscritto alle forme più comuni;
Pronomi relativi
• difficoltà di riconoscimento del che relativo;
• impiego di forme di che scisso (il tipo “che gli ho detto”, eccetera).
Note di commento
A partire dall’analisi di queste situazioni ricorrenti (che riflettono peraltro anche delle tendenze in atto nell’italiano contemporaneo, non ancora accolte nella norma), si può provare ad abbozzare una spiegazione e sulla base di questa tentare di riaggregare i contenuti relativi ai pronomi.
La maggiore facilità con la quale gli alunni gestiscono i pronomi personali soggetto potrebbe essere motivata sia sul piano informativo, sia su quello semantico, mentre l’espressione ridondante del soggetto di prima persona potrebbe essere motivata anche sul piano psicologico da una più spiccata istanza di definizione del sé, o comunque di riconoscimento, più accentuata nelle classi iniziali.
Quanto ai casi obliqui la forma gli tende a fagocitare le altre, in linea con la ristrutturazione del sistema in atto nell’italiano contemporaneo (che coinvolge ad esempio anche l’estensione del te in funzione di soggetto, come già accaduto per le forme lui/ lei).
La relativa facilità con la quale gli alunni riconoscono (più variegata la situazione rispetto al loro impiego) anche i pronomi determinativi può spiegarsi con il fatto che, diversamente da altri sostituenti come i clitici, non sono parole del tutto “vuote” e quindi in questo senso appaiono in qualche modo più trasparenti. Nel caso di questo/ quello inoltre può incidere anche il fatto che questi dimostrativi (anche come aggettivi) sono tra le espressioni che a livello testuale oltre alla ripresa anaforica realizzano anche la deissi spaziale, rinviando il testo alla realtà extralinguistica. Del resto, da questo punto di vista — quello della deissi — anche i pronomi personali di prima e seconda persona, rispetto a quelli di terza, appaiono diversi sia per funzione sia per natura, poiché quelli di «prima e seconda persona non sono interpretabili senza il riferimento a un’origo [= punto di osservazione del parlante]. Si dice pertanto che hanno un riferimento esclusivamente deittico»[2] anche se in questo caso si tratta di deissi personale.
Le difficoltà di riconoscimento del che relativo sono evidentemente connesse al fatto che la forma può assumere in italiano anche altri valori. Sul piano produttivo, invece, le occorrenze del che scisso derivano probabilmente dal doppio carico funzionale che grava sulla forma, che svolge sia la funzione di connettivo sul piano sintattico, sia quella di pronome sul piano logico. La forma analitica del tipo “che gli” pertanto rende più trasparente le informazioni, secondo una strategia che potrebbe essere connessa alla gerarchia di accessibilità delle relative[3].
I contenuti relativi all’intera classe dei pronomi, sia personali sia non personali, alla luce di queste notazioni, invece di essere affrontati unitariamente in prima media, potrebbero essere riaggregati nelle tre classi, in un’ottica verticale. Si riportano in grassetto i progressivi ampliamenti.
Prima media:
• pronomi personali soggetto;
• repertorio dei pronomi personali soggetto e variabilità diafasica;
• pronomi personali casi obliqui (gli/ le/ loro) solo forma;
• pronomi determinativi: possessivi, dimostrativi, numerali.
Seconda media:
• pronomi personali soggetto;
• pronomi personali soggetto espressione obbligatoria;
• repertorio dei pronomi personali soggetto e variabilità diafasica;
• pronomi personali complemento atoni, tonici, diretti e obliqui (forma e funzione);
• pronomi determinativi: possessivi, dimostrativi, numerali, indefiniti.
Terza media:
• pronomi personali soggetto;
• pronomi personali soggetto espressione obbligatoria;
• repertorio dei pronomi personali soggetto e variabilità diafasica;
• pronomi personali complemento atoni, tonici, diretti e obliqui (forma e funzione);
• pronomi determinativi: possessivi, dimostrativi, numerali, indefiniti; interrogativi; esclamativi;
• pronomi relativi (forme e funzioni);
• pronomi misti.
La scansione riguarda esclusivamente lo studio esplicito di queste forme, anche in relazione all’analisi della frase semplice e all’analisi della frase complessa.
[1] Antonella Benucci (a cura di), Sillabo di italiano per stranieri. Una proposta del Centro Linguistico dell’Università per Stranieri di Siena, 2010, Perugia, Guerra Edizioni.
[2] Massimo Palermo, Linguistica testuale dell’italiano, 2012, Bologna, Il Mulino.
[3] Bernard Comrie, Universali del linguaggio e tipologia linguistica, 1981, Bologna, Il Mulino.
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Editore
G.B. Palumbo Editore
Articolo meraviglioso, come di norma su questo sito. Stupenda anche l’applicazione pratica. Un discorso analogo andrebbe esteso anche alla didattica delle lingue antiche. Grazie
Bellissimo articolo. Da insegnante di Inglese ho sempre percepito questa diversa impostazione confrontandomi con le docenti di Italiano. La mia esperienza riguarda la scuola secondaria di secondo grado dove mi sembra che la grammatica della lingua italiana, proprio perché riferita alla L1 (peraltro ci si dovrebbe porre il problema delle classi con plurilinguismo perché in ogni caso per molti studenti l’italiano è L2 anche avendo studiato qui) sia insegnata senza un collegamento alla funzione comunicativa. Non si affrontano i connettivi che poi per un testo argomentativo sarebbero fondamentali e me ne accorgo perché quando lo faccio in Inglese vedo che scoprono un mondo nuovo. Trovo molto stimolante il confronto che ha fatto con la didattica L2 e credo possa essere una strada da percorrere per innovare la didattica L1.