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Primo Levi: guida a Se questo è un uomo. Conversazione con Alberto Cavaglion

SPECIALE LN – GIORNATA DELLA MEMORIA 2021/#1

(Inizia con questa intervista una serie di interventi che ci accompagneranno in questa settimana per celebrare la Giornata della Memoria 2021)

Per comprendere il nuovo libro di Alberto Cavaglion è necessario partire dalla sua titolazione, perché istruttiva di un’idea nuova e diversa nell’approccio all’opera leviana: Primo Levi: guida a Se questo è un uomo (Carocci). Nella sovrapproduzione saggistica che riguarda l’opera di Levi, la voce di Cavaglion è sempre originale, in questo caso il titolo individua il saggio non tanto come un invito alla lettura, ma una guida per destreggiarsi dentro un’opera, Se questo è un uomo, per nulla lineare e semplice.

Una delle più tenaci convinzioni di Cavaglion esposta nella sua  guida, può essere riassunta in questo modo: Primo Levi non è uno scrittore facile, anche se il dettato della sua lingua ordinata, composta, sempre spinta  alla ricerca della chiarezza e della più ampia comprensione del lettore, potrebbe trarre in inganno. L’analisi della scrittura leviana dimostra, come già messo in evidenza da Mengaldo sull’aggettivazione e da Cases sull’uso di dei pronomi deittici, che il dato letterario non sia scindibile dal dato testimoniale, anzi che probabilmente il dato letterario debba essere consideato preponderante nella volontà di Levi e nella sua scrittura. 

Levi stesso parla della sua opera prima come di un testo “gremito di letteratura”: l’uso di questo aggettivo è interessante e non scelto a caso da Levi, perché contiene in sé una duplice tensione. Da un lato indica il grande numero di riferimenti letterari interno a Se questo è un uomo (Dante, Bibbia, Pellico, Dostoevskij, Machiavelli), dall’altro suona simile al termine “ghermire”, che assume in sé il significato dell’essere prigioniero degli stessi fantasmi che ha convocato per la sua scrittura.

C’è un dato fondamentale nella tua Guida una sorta di assioma che potremmo tradurre così: Primo Levi è, in primo luogo, uno scrittore. Per molto tempo l’ombra del testimoniare ha oscurato la qualità, la grande qualità della scrittura leviana. Mi parso interessante questo soffermarsi – nella tua analisi-  più sulla qualità della scrittura che non su quella della testimonianza. Quali sono le motivazioni?

«Se questo è un uomo è un libro diverso dagli altri che Primo Levi pubblicherà nel corso della sua vita. L’anomalia ma anche il fascino consistono nella disposizione in forma nuova di riferimenti  letterari prima che scientifici. La rivincita della chimica sulla letteratura e sulla filosofia inizia nel 1963 e si consolida con il profilo del chimico-scrittore, il Centauro. I classici su cui si appoggia sono gli autori studiati al Liceo, con un sottile gioco intertestuale: da Lucrezio a Manzoni, non manca neppure una sottile venatura gozzaniana presente nella Torino della sua giovinezza.»

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Se questo è un uomo è, spesso, stato percepito come un hapax rispetto alla letteratura italiana, lo si avverte forse anche nel modo in cui è antologizzato Primo Levi,  o come viene trattato nell’insegnamento, come autore che tirato fuori dalla naftalina nel 27 gennaio, letto per far commuovere e per ricordare e rimesso nell’armadio per un altro anno. Questa particolarità dell’opera leviana, questa sua eccentricità, si nota anche alla difficoltà di catalogazione del testo. 

Nella Guida uno dei dati più interessanti è la messa in parallelo nel testo tra Se questo è un uomo e Scorciatoie e raccontini di Umberto Saba. A leggerli in parallelo entrambi i testi esorbitanti sembrano seguire una sorta di linea anti-romanzesca (possiamo individuare i loro padri più illustri in Machiavelli e Guicciardini), che è sotterranea della nostra letteratura. È possibile che questa produzione così ibrida abbia prodotto quella lunga incomprensione sull’opera leviana, che più volte ritorna nella sua riflessione critica? 

«Saba e le Scorciatoie sono il tratto di unione fra i due grandi filoni dello “scrivere dopo Auschwitz” in Italia: da un lato il percorso solitario di Levi, dall’altro la linea che unisce le Scorciatoie a 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti, fino a La storia di Elsa Morante. Si è attribuita in questi anni troppa importanza alla prima recensione di Calvino, dimenticando che Saba ebbe il coraggio che Calvino non ebbe e cioè di chiedere ragione del rifiuto del 1947 a Einaudi. Una influenza di Saba su Levi è dubbia, non escluderei però il contrario. Se questo è un uomo influì sul giudizio di Saba su 16 ottobre 1943, che il poeta triestino non giudicava “necessario” quanto il libro di Levi».

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Uno dei crucci della critica su Levi può essere riassunta in un immagine cara all’autore torinese, quella del centauro (lo stesso Cavaglion nella prima risposta a questa intervista ne fa un accenno). Sotto il segno del duplice avviene gran parte della carriera dell’autore di Se questo è un uomo.  Levi ha dovuto e voluto imporre la sua immagina di scrittore a un parte della repubblica delle lettere, che degli anni ‘60 e 70 aveva messo in secondo piano, privilegiando l’immagine del testimone. Ecco da dove proviene, quindi, l’immagine del testimone e dello scrittore, in questo rigoroso ordine, che per molto tempo fu lo stigma, con cui venne percepita la figura pubblica leviana. A tale dualità se ne aggiunge un’altra legata alla tensione tra la letteratura e la scienza. 

Un’altra annotazione interessante è legata al tema della lingua della chimica e della lingua della letteratura in Se questo è un uomo. Spesso si è insistito a lungo sulla importanza della prima sulla seconda nel definire il lessico e il vocabolario leviano; la sua ipotesi mi pare andare in senso opposto, riconoscendo alla letteratura la primogenitura, è così?

«Prima che chimico Levi era un gramaticus: “Ero bravo in latino, il latino mi piaceva molto. Ero un gramaticus”. Erano stati i professori del liceo-ginnasio a dargli quel soprannome. Analisi grammaticale, logica e del periodo precorrono la tavola di Mendeleev nel tentativo di decifrare il Caos. Il periodo ipotetico dell’irrealtà (“Se io fossi Dio”), la proposizione consecutiva («Quando mi apparve una montagna, bruna / Per la distanza, e parvemi alta tanto / Che mai veduta non ne avevo alcuna. Sì, sì, “alta tanto”, non “molto alta”, proposizione consecutiva»), il neutro singolare (“la cosa Somogy”)».

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Questa conversazione viene pubblicata nella immediata prossimità della Giornata della memoria. Il giorno della memoria è diventato, dal punto di vista editoriale, un “momento” simile per quantità di libri pubblicati alle famose “strenne natalizie”: non c’è casa editrice che in questi giorni non pubblichi libri, memoriali, fumetti, romanzi, alcune volte dozzinali, o importanti studi e saggi sull’argomento; come se improvvisamente e per alcune settimane, da metà gennaio e fine gennaio, non esistesse altro tema che questo. Tale atteggiamento produce una vera e propria ipertrofia della memoria e un suo uso altamente semplicistico. Viene da chiedersi in questi momenti cosa avrebbe detto Levi, quale sarebbe stata la sua reazione a questa moltiplicazione di eventi, film, rassegne, giornate di studi, di letture etc etc.

“La memoria umana è uno strumento prodigioso ma falce”  questa frase – oltre a mostrarci la grandezza stilistica di Levi nell’uso di questi due aggettivi legati dall’avversativa – apre anche una lunga e complessa discussione su cosa sia l’atto di ricordare e sul moltiplicarsi delle giornate sulla memoria.  Dopo tutti questi anni cosa ci insegna Levi rispetto a questa ipertrofia del rammemorare?

«Credo che Levi soffrirebbe nel vedersi trasformato in un’icona, immune da fragilità, contraddizioni. Rileggere la sua opera come un ininterrotto continuum è parte dell’ipertrofia della memoria. Bisognerebbe difendersi dagli abusi commemorativi risalendo al  messaggio di speranza e di fiducia che infonde il corpus testuale compreso tra la prima edizione De Silva (1947) e l’edizione Einaudi (1958). Un  mondo a sé stante, degno di essere interpretato iuxta propria principia, senza proiettarvi  retrospettivamente il successivo autoritratto».

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