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Consigli di lettura per l’estate 2020 della redazione di La letteratura e noi /2

 La letteratura e noi va in vacanza fino a fine agosto. Lunedì abbiamo pubblicato la prima parte [link] dei nostri consigli per l’estate. Oggi pubblichiamo la seconda e ultima parte.

Considerando però la situazione eccezionale del 2020 e il difficile rientro di settembre, ci riserviamo la possibilità di intervenire ancora con pezzi inediti della sezione scuola.
Come già in passato, ripubblicheremo articoli già usciti nel corso del 2019-2020.
Auguriamo una serena estate ai nostri lettori. Ci rivediamo a settembre.

 
***

Alberto Bertino

L’estate  può essere il tempo adatto alle riletture oltre all’incontro con gli amici. Il che per alcuni, e per me in particolare, è spesso la stessa cosa. Tra i libri- amici che mi fa piacere incontrare, con lo stupore sottile di ritrovarli uguali ma sorprendentemente diversi rispetto all’ultima volta che ho parlato con loro, un posto speciale merita Il Maestro e Margherita (BUR o Feltrinelli) di Michail Bulgakov. Si tratta di un romanzo magico, che può essere letto in molti modi, a secondo delle preferenze del lettore, ma che per salti e trapassi  –  attraverso i due romanzi che contiene (il romanzo di Pilato e il romanzo del diavolo a Mosca) – fa parlare il Maestro della poesia e della scrittura, e Margherita dell’amore. Leggerezza e amarezza, male e amore, storia e immaginazione: sono solo alcuni aspetti presenti in un testo, capace di far ridere e di addolorare, che ogni volta lascia il dispiacere di concludersi.

Siccome, come scrive Bulgakov, «i manoscritti non bruciano» in questa estate 2020 incontriamo fresco di stampa Riccardino (Sellerio) di Andrea Camilleri. Ultimo, in quanto voluto come postumo, della serie di Montalbano. Come in ogni storia che si rispetti è la fine che dà un senso all’inizio, dunque non solo per i cultori del genere, ma anche per chi ha apprezzato la presenza di Camilleri nell’attualità politica e culturale del nostro paese, sarà utile ripercorrere la storia del personaggio e della lingua dello scrittore dalla Forma dell’acqua ad oggi. Interessante la costruzione pirandelliana dell’evento culturale post mortem e l’imbastitura del racconto tra letteratura, realtà, televisione e biografia. Ma la lingua è stata usata da Camilleri in vari modi, anche per costruire romanzi-romanzi e non solo polizieschi monopolizzati da un invadente ed esigente protagonista. Anche per questo aspetto, da rileggere, secondo me, è Il re di Girgenti (Sellerio), in cui il re contadino Zosimo ci conduce nel tempo che è storia e sospensione della storia. Raccontata in una lingua arcaica impastata di fantasia, la vicenda si dipana attraverso una folla di personaggi tutti dotati di caratteristiche indimenticabili, in modo che il nome sia legato ad un fatto e che il cunto possa proseguire.

Storia e sogno sembrano convivere in alcuni capolavori (forse non proprio in tutti) che sono costruiti come romanzi storici. E se da Girgenti ci si sposta in altro secolo e in un altro continente, in Brasile si può risentire la storia raccontata da Mario Vargas Llosa: La guerra della fine del mondo (Einaudi). Si tratta di un evento reale in cui il misticismo e la discussione dell’esistenza del male ritornano come costante della storia umana, fatta di violenza, di tradimento, di speranze e di imprevedibile altruismo. Ma sempre c’è l’aspirazione ad una vita migliore, a qualcosa che consenta anche ai più sventurati di essere contenti di essere nati. Come in ogni capolavoro ci sono pagine straordinariamente intense, ma in questo libro è impossibile isolarle dall’architettura generale del racconto.

Di fronte all’ingiustizia la reazione naturale è lo scatenamento di uno dei vizi capitali: l’ira. Di questa forza, energia e violenza, rivolta contro il sopruso, motore della vendetta come risarcimento nella fantasia o nella realtà, tratta Remo Bodei, Ira (il Mulino). La storia bimillenaria di una passione forse triste che ha contribuito, per esempio, all’emancipazione femminile. Credo che non farebbe male rivalutare il senso della giusta ira nella nostra esistenza. Ma, avvertenza: non so se esiste un‘ira moderata.

Linda Cavadini

La mia estate è da sempre anche “per ragazzi”, per trovare libri da presentare ai miei studenti e da acquistare per la biblioteca di classe: così mi tuffo tra classici e nuove uscite.

Eccoli qui

Un classico (per ragazzi?): Charls Dickens, Una storia tra due città (traduzione e post fazione di Mario Domenichelli, Oscar Mondadori, 2018)

Per chi come me è cresciuta a pane e “ Lady Oscar” questo libro è un negozio di caramelle, meglio, un Luna Park, in puro stile Dickens: il lettore non è inserito nel quieto e placido tram tram di inizio-svolgimento-fine, rottura della narrazione, acme e ritorno all’equilibrio, no in questo romanzo siamo catapultati in un vortice in cui si eccede in intrecci, in soprassalto e in effetti. Non c’è particolare incomprensibile e insignificante a pagina due che non trovi soluzione nelle rocambolesche cento pagine finali. Le due città sono Londra e Parigi: Londra che rappresenta la redenzione e la salvezza per i protagonisti e Parigi in cui il mondo cambia e si combatte la Rivoluzione francese. Eppure più che le vicende dei protagonisti sono le scene a restare impresse: la carrozza che investe il bambino, la mano sdegnata del conte, il sudiciume della città, la ghigliottina famelica, le donne che scalzettano nell’attesa, la Bastiglia oscura e che inghiotte i condannati, l’osteria e i capelli d’oro di Lucie. Questo è un libro che inizia lento, stende la sua trama e poi ti avviluppa e divora.

Un libro contemporaneo per preadolescenti: Kenneth Oppel, La storia più importante (Traduttore Paolo Maria Bonara, Rizzoli, 2019)

Ma dove sono finite le storie fantastiche, dove è finita l’avventura? Me lo domando spesso quando leggo libri per ragazzi: oggi sembra prevalere il realismo, il racconto di formazione con un pizzico di cinismo e dramma. Oppel invece ci restituisce il gusto per la narrazione e per il fantastico: Ethan deve consegnare le bozze della graphic novel per un progetto scolastico. Il problema è che non sa disegnare, ma tutti pensano il contrario (è o non è il figlio di uno dei più grandi fumettisti?). Ethan trova il suo aiuto in una macchia d’inchiostro che gli insegna a disegnare, non una macchia di inchiostro qualunque: una famelica e piccola macchia d’inchiostro, che cresce divorando libri e poi parla ora con la lingua scarna di Hemingway, ora con quella roboante di Anna dai capelli rossi, ora quella magica del GGG etc. Nel mezzo ci sono gli amici, una sorella a cui deve fare da genitore e un papà  disegnatore che ha perso la sua voglia di vivere (e di disegnare) e un’altra terribile macchia che cresce a dismisura nutrita da letture non così buone. Un libro che si legge d’un fiato e perché no, segnandosi il canone delle letture e della “dieta per diventare una macchia come si deve”

Un libro contemporaneo per “giovani adulti”: Allan Stratton, La casa dei cani fantasma (traduzione Anna Carbone, Mondadori Oscar Junior, 2017)

Quando hai 14 anni e da troppo tempo sei costretto a fuggire da un padre violento sei abituato a non sentirti a casa in nessun luogo e a non avere amici. Cameron non si fa illusioni nemmeno questa volta: ma in questa casa c’è un segreto sepolto. E così il senso della vita diventa scoprire e superare la paura di quei cani fantasma che ringhiano e graffiano la parete: troverà un amico che lo renderà più forte ma lo lascerà ancora più solo. Questo libro è un thriller psicologico, che come pochi altri indaga nella mente di un ragazzino che avrebbe tutto il diritto di odiare gli adulti.

Giulia Falistocco

Il paese delle meraviglie di Giuseppe Culicchia (2006, Garzanti) è una storia di amicizia e di trapassi. Sullo sfondo della provincia italiana, due ragazzi, Attila e Francesco, abbandonano l’infanzia per una disperata adolescenza, e con loro il paesaggio storico vira dagli anni Settanta, dalla RAF e dalle BR, verso gli anni Ottanta del punk e del solipsismo consumistico e edonistico. Culicchia sa guardare al mondo dell’adolescenza con trasporto e genuinità, regalandoci tutto il sapore di una stagione di vita e storica passata.

Il secondo e terzo consiglio di lettura ruotano sempre intorno al decennio di piombo, partendo da Nero ananas di Valerio Aiolli (2019, Voland), romanzo incentrato sulle trame terroristiche e golpiste dei gruppi neofascisti del nord est. Anche in questo caso l’infanzia gioca un ruolo cardine. Gli eventi italiani, dalla bomba di Piazza Fontana fino all’attentato in via Fatebenefratelli, sono infatti scadenzati dal punto di vista di un bambino, mentre intorno a lui si muovono personaggi come il Samurai, l’amico Fritz – nomi fittizi sotto cui si celano Delfo Zorzi e Franco Freda- e di altre figure storiche come il Pio alias Mariano Rumor. Anche ne Il tempo infranto (2008, Piemme), Patrick Fogli fonde il complotto con la ricostruzione storica per andare a sondare tra presente e passato una delle stragi più terribili della storia d’Italia, quella della stazione di Bologna. L’atmosfera thriller si fonde con la ricostruzione dell’humus terroristico andando a indagare sempre la zona tra fascismo ed eversione.

Dall’Italia degli anni Settanta ci spostiamo in una ridente conigliera inglese. A metà tra il bestiario e l’allegoria orwelliana è l’ultimo dei consigli di lettura: La collina dei conigli pubblicato 1972 e tradotto nel 1975 per Rizzoli (seguono una trasposizione cinematografica animata del 1978 e una recente miniserie per BBC/NETFLIX). Nel mondo creato da Richard Adams, i conigli puniti per la loro arroganza dal Grande Fritz (il creatore del mondo e di tutti gli animali), sono destinati ad essere vittime di ogni sorta di predatore e pericolo, così le loro vite sono plasmate dal buio delle conigliere, dedite all’arrendevolezza, alla paura e all’accettazione di ogni limitazione possibile pur di sopravvivere. A seguito di un sogno premonitore, un gruppo di conigli, guidati da Moscardo, Quintilio e Parruccone, fugge dalla propria tana minacciata dalla distruzione dell’uomo, affrontando i mille pericoli del mondo: il lungo esodo attraverso la campagna inglese li porterà alla ricerca disperata ed epica di un luogo che non sia solo sopravvivenza, ma il regno di una vita giusta e generosa per tutti.

Dedicato a tutti quelli che stanno scappando, consigliato a tutti quelli che non smetteranno mai di cercare un mondo migliore.

Daniele Lo Vetere

Con La bufera e altro, uscito nel 2019, Mondadori ha completato la serie delle Raccolte poetiche di Eugenio Montale in edizione commentata. Ciascun volume, dagli Ossi di seppia al Quaderno di quattro anni, è introdotto e annotato da un diverso studioso ed è arricchito da saggi di critica montaliana. Il poeta – unico caso del Novecento – aveva meritato già in vita l’edizione critica dei propri versi (Contini-Bettarini). Ora è anche un classico commentato al pari di Dante, Petrarca, Leopardi e possiamo rileggerlo, studiarlo, portarlo in classe a settembre con miglior cognizione di causa.

L’editore Neri Pozza ha intrapreso da qualche anno la ripubblicazione delle opere dello storico delle idee americano Christopher Lasch. Lasch è infatti uno di quegli intellettuali, come si dice, “profetici”. Negli anni Settanta e Ottanta intuisce il mondo in cui viviamo ora: la fine della spinta propulsiva del mito del progresso (Il paradiso in terra, il suo capolavoro), l’individualismo atomizzato e fluido, il vittimismo, il narcisismo (L’io minimo e La cultura del narcisismo), la crisi dell’istituto familiare (Rifugio in un mondo senza cuore), la frattura epocale tra élite politico-intellettuali e cittadini, che ha prodotto postdemocrazia e populismo (La rivolta delle élite, nuovo titolo de La ribellione delle élite). Lasch è considerato da alcuni un pensatore di sinistra passato tout court alla destra. Non ci si lasci depistare. Egli è invece fra quanti avevano capito precocemente che da quando la destra si è identificata nei miti di smaterializzazione e abbattimento di frontiere, lacci e regole del capitalismo finanziario neoliberale, la sinistra deve puntare i piedi e conservare qualcosa di umano.

Concludo con una terna di romanzi, diversissimi per epoca, stile, genere, intenzioni, punto di vista sulla materia, eppure accomunati dal fatto che, in tutti e tre, i protagonisti siano messi di fronte all’avanzata di un potere autoritario che promette o minaccia di mettere fine al mondo che essi conoscono, e che hanno creduto eterno. In Sottomissione (2015), l’antipatico Michel Houellebecq ipotizza una Francia di dopodomani, nella quale un Fronte islamico moderato vince le elezioni. I valori di laicità, universalismo illuminista, progresso, di cui la Francia è simbolo, sono davvero l’ultima stazione della storia?, si domanda per l’ennesima volta Houellebecq, che – è evidente – li considera ormai svuotati di vigore storico, inermi e inerti. Anche Il complotto contro l’America del monumentale Philip Roth (2004) è un’ucronia: nel 1940 il presidente Roosvelt non ottiene la rielezione; alla Casa bianca va invece l’eroe dell’aeroplano Charles Lindbergh, il quale, filonazista, si rifiuterà di far entrare gli Stati Uniti in guerra contro la Germania e sarà per questo applaudito dai suoi concittadini come salvatore della pace. Nel paese, però, gli ebrei cominciano ad essere percepiti come estranei e si pretende la loro “americanizzazione”. Può il “male assoluto” del nazismo infiltrarsi anche nella “più grande democrazia del mondo”? In Addio a Berlino (1939) dell’elegantissimo Christopher Isherwood viene raccontata in prima persona la dolce vita nella Germania di Weimar. Ma tra la popolazione qualcuno comincia a mormorare “A me questo Hitler non dispiace”. Questa, ovviamente, non è un’ucronia.

Morena Marsilio

Filo conduttore dei miei consigli di lettura sarà la narrativa americana contemporanea femminile.

Tempo variabile di Jenny Offill (tradotto da Gioia Guerzoni per NNE) è esemplare della capacità prefigurante della letteratura: è un romanzo che, per frammenti minimalisti, rappresenta il mood contemporaneo. Gli esseri umani che popolano la terra – stirpe predatoria che si è imposta su tutte le altre – sono ancora creature piene di domande: Cosa sparirà prima dai negozi?  / Perché gli esseri umani hanno bisogno di miti? / Viviamo nell’Antropocene? / […] È Sbagliato mangiare carne? / Cos’è il capitalismo di sorveglianza? (p. 135); vivono in un’epoca di mutamenti climatici e di possibili pandemie («Che differenza c’è tra catastrofe ed emergenza? p. 155»). L’io narrante è Lizzie, bibliotecaria trentenne con una famiglia come tante, fatta di legami fragili e necessari, anzi tanto più necessari perchè fragili. Il titolo allude all’instabilità come cifra esistenziale del vivere odierno, un’instabilità narrata liricamente con delicatezza ed empatia.

Nessuno scompare davvero di Catherine Lacey (tradotto da Teresa Ciuffoletti per SUR) è un road novel anomalo: in effetti per tutto il tempo in cui Elyra attraversa la Nuova Zelanda in autostop, dopo aver lasciato gli Stati Uniti, il viaggio principale che l’io narrante compie è dentro di sè e il dialogo che intesse è quello con un interlocutore privilegiato, detto Marito: «Io, è il caso che tu lo sappia, me ne sono andata senza un motivo ben preciso, anche se forse un paio di motivi imprecisi ce l’avevo: sentimenti impronunciabili e segreti impronunciabili e sentimenti inintelleggibili, sentimenti provocati dai segreti e sentimenti provocati dai fatti e sentimenti provocati dai sentimenti, e siccome sono tutti in-intelleggibili non potremmo chiamarli sentimenti telleggibili?» (pp. 175-176). Nel suo viaggio tra passato e futuro, Elyra comprende che nella lunga serie di azioni che determina l’esistenza di ciascuno di noi, sono i fremiti e i tremori a contare: contano le emozioni e le riflessioni più dei gesti, in un romanzo in cui la protagonista decide di scommettere con coraggiosa dolcezza su una solitudine consapevole piuttosto che su una comoda, stantia vita di coppia.

Nessuno è come qualcun altro. Storie americane di Amy Hempel (tradotto da Silvia Pareschi per SEM) raccoglie quindici racconti che sono la quintessenza della forma breve del narrare secondo la concezione di Hemingway: la teoria dell’iceberg è qui declinata in modo magistrale. Hempel riesce, con pochi, vividi tocchi, a rappresentare un’intera esistenza raffigurandone un frammento radiante. Esemplare su tutti il racconto “Un rifugio con tutti i servizi” in cui l’io narrante – volontaria in un canile i cui “ospiti” sono destinati a venire soppressi – rimemora liricamente, tramite l’iterazione dell’espressione “Mi conoscevano come quella…”, la voluta lentezza con cui pulisce la gabbie degli animali per allontanare il momento della morte.

Luisa Mirone

Si sa che le letture estive sono sostenute dai buoni propositi, ma scompigliate da istanze eversive. Saranno così anche le mie, come ogni estate; e non m’illudo. Ma proverò almeno a dire da dove abbiano tratto avvio. In principio c’è Anna Maria Ortese: stregata dal Mare (quello che non bagna Napoli), ho deciso di proseguire con L’iguana (1965), forse la sua opera più strana, sospesa tra romanzo e favola, tra un esordio borghese e un epilogo romantico. Così Ortese ne sintetizza la vicenda in Corpo celeste: «(…) Un brav’uomo va in un’isola – è molto ricco e può andare dovunque – e conosce un mostro. Lo prende come cosa possibile, e vorrebbe reintegrarlo – suppone ci sia stata una caduta – nella società umana, anzi borghese, che ritiene il colmo della virtù. Ma si è sbagliato: perché il mostro è un vero mostro anzi esprime l’animo puro e profondo dell’Universo di cui il signore non sa più nulla, tranne che è merce». L’uomo, un nobile milanese, attraversa l’Atlantico in yacht in quanto «compratore di isole» e – dovessero sfumare gli affari immobiliari – per tentarne uno editoriale, scovando qualche manoscritto inedito che possa conquistare i lettori annoiati. S’imbatte in un’isola sconosciuta e nei suoi strani abitatori e in particolare nell’iguana di cui s’innamora: è una «bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna», creatura oltraggiata e sottomessa, istintiva e trasognata, testimone dolente della separazione tra uomo e natura e della pretesa superiorità dell’intelligenza umana sul resto del creato. 

«Un incantesimo che agisce» definì il libro Giorgio Manganelli; uno che di incantesimi s’intendeva perché «dal momento in cui la sagoma di Manganelli si staglia all’orizzonte, cambiano tutti i rapporti di prospettiva del paesaggio intorno». Così Calvino nel 1985, in occasione dell’uscita in Francia di Centuria (1979; lo stesso anno in cui usciva Se una notte d’inverno un viaggiatore); e ancora: «i cento romanzi d’una sola pagina» scatenano «una tregenda di metafore come un sabba di streghe». Mi incuriosisco: ho conosciuto Manganelli che ero troppo giovane, e forse il sabba mi ha messo paura. È arrivato il momento di entrare con qualche consapevolezza in più nell’universo di questo «racconto di romanzi» (cfr. Iacoli), che il suo stesso autore definiva «un prodigio della scienza contemporanea alleata alla retorica»;  assecondando le sue indicazioni, affronterò con coraggio «ambagi sessuali, passionali e carnali, minutamente dialogate; memorabili conversioni di anime travagliate; virili addii, femminesca costanza, inflazioni, tumulti plebei, balenanti apparizioni di eroi dal sorriso mite e terribile; persecuzioni, evasioni…». 

Tornerò a Napoli, tuttavia, dal cui Mare riottoso son partita, nella Althénopis (1981) di Fabrizia Ramondino (che di Ortese è ritenuta erede), centro di irradiazione di narrazioni familiari condotte sul filo di una originalissima memoria autobiografica, ma anche sullo sfondo della storia (1943-48) osservata da una ragazzina, occhi nell’occhio di vecchia in cui i tedeschi trasformano «l’occhio di vergine» dell’antica Neapolis.

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