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diretto da Romano Luperini

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Le forme brevi della narrativa

 Stiamo vivendo nell’epoca del trionfo dello storytelling (…): oggi non solo siamo immersi nelle storie, ma siamo sommersi da un processo continuo di narrazione a rapida espansione che ha occupato buona parte del nostro spazio culturale, anche in ambiti tradizionalmente “anarrativi”, come la politica, il marketing, la medicina, costruendo un infinito universo finzionale che produce a ciclo continuo “storie” (…). Passare dalle maree dello storytelling alla solida tradizione narrativa dei generi letterari italiani significa misurare la distanza, per non dire l’estraneità del pubblico contemporaneo rispetto al sistema letterario del passato. Esiste una continuità o una discontinuità della narratio brevis? Le forme brevi più antiche sono dei reperti fossili oppure sono forme vive, che danno linfa ai nuovi generi della modernità e della contemporaneità? (Elisabetta Menetti, Generi e forme della narrativa breve italiana in Le forme brevi della narrativa, Carocci, Roma 2019, pp.31-32).

Un percorso didatticamente efficace

È uscito per Carocci, nel febbraio del 2019, Le forme brevi della narrativa. Il volume, curato da Elisabetta Menetti (che firma anche i due capitoli iniziali), non è semplicemente una raccolta di studi di autori vari intorno a quella narratio brevis che, sin dalle sue origini mediolatine, ha raggruppato intorno a sé una gran varietà di formati narrativi. Nell’intento comune di «offrire un percorso didatticamente efficace delle proprie ricerche» (Introduzione, p.12), una squadra di studiosi attenti ed estremamente sensibili traccia una mappa dettagliata e affidabile per orientarsi diacronicamente e sincronicamente nell’universo complesso della narrativa breve italiana. Basterebbe questo a fare l’utilità dell’opera: la parabola – infatti – è delle più ardite, giacché si muove tra due estremi parecchio distanti nel tempo (con quel che ne consegue) e, analizzando forme variegate, conduce il lettore dall’anonimo tardoduecentesco autore del Novellino fino ai Narratori delle pianure di Celati, peraltro esplicitamente rilanciando la sua traiettoria sino a sfiorare i “novellatori” di oggi (Marco Lodoli, Giorgio Falco, Mario Fortunato, giusto per citare alcuni fra quanti vengono espressamente menzionati).

Tuttavia, svolgendo l’itinerario storicoletterario, gli studiosi non si limitano a cogliere le variazioni di genere legate allo scorrere delle epoche, ai grandi eventi, alla trasformazione del pubblico e degli intellettuali, non si limitano a individuare alcuni narratori esemplari e a indicare affiliazioni e disconoscimenti, parentele e faide. Non parallelamente, ma complementarmente, la stessa attenzione rivolta ai cambiamenti di struttura, voce narrante, temi, finalità, viene destinata alla riflessione teorica, al mutamento di paradigma. In altre parole, al lettore è dato modo non solo di mettere a fuoco per quali ragioni storiche si trasformi la narratio brevis, quali forme assuma col passare del tempo, da quali scrittori sia praticata e perché, ma anche di seguire il dibattito teorico che ne ridisegna incessantemente la fisionomia investendola di significati sempre nuovi.

Che cos’è una forma narrativa breve? (…) è un componimento narrativo, generalmente in prosa, il cui intreccio è essenziale e concentrato sulla singolarità di una certa esperienza, raccontata senza lunghe digressioni (Menetti, p.13)

La definizione iniziale proposta da Menetti, nella sua apparente semplicità, rivela tutti i nodi teorici impliciti in questo genere, sempre in odore di eterodossia. La misura della brevità non è data infatti unicamente dalla estensione della narrazione, ma dalla logica compositiva, che è «connessione rapida di un nucleo di senso minimo» (p.17), laddove l’aggettivo sottintende la rapidità delle Lezioni americane; e questo, se da un lato consente una lettura compatta e conclusa in uno spazio di tempo ridotto, d’altra parte «produce molteplicità, accumulo» (ibidem), aprendo la strada alle raccolte (con cornice, alla maniera del Decameron, a tema, anche alla maniera spiazzante dei Giovani tozziani, etc.) sino ad arrivare, nel Novecento maturo, alla «struttura agglutinante del romanzo di racconti» (Ragazzi di vita di Pasolini, Altri libertini di Tondelli, etc) o al «racconto di romanzi» (Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino, Centuria di Manganelli, etc.) (cfr. Iacoli, pp.221-222).

Da questo discende anche l’impostazione dell’opera che, muovendo dalle origini medievali della novella (Menetti), accorda spazio analogo alla facezia umanistica (Curti) come alla lettera settecentesca (Forner), alla fiaba (Stromboli) e alla favola (Rodler) come alle novelle di primo (Tongiorgi) e di secondo Ottocento (Castellana), ai bozzetti dell’Italia postunitaria (Varotti) come ai «contenitori di forme brevi nel secondo Novecento» (Iacoli): una sorta di par condicio dettata proprio da quella logica compositiva, che costituisce indubbiamente criterio equanime e scientificamente orientato, ma conferisce al genere della narrativa breve confini molto ampi, che includono forme anche molto diverse fra loro. Chi dunque fosse interessato in particolare a una delle forme trattate o a uno degli scrittori indicati come “caposcuola” (Boccaccio, Verga, D’Annunzio, Pirandello, Calvino, Levi…, tanto per fare alcuni dei nomi più ricorrenti) troverà in ogni intervento del volume un sicuro e chiarissimo punto d’avvio alla propria riflessione e un supporto prezioso nella ricca bibliografia, che – mappa nella mappa – non è soltanto puntigliosa e aggiornata per quanto attiene gli studi su opere e autori, ma anche per quanto attiene le questioni teoriche di cui si diceva.

Le novelle italiane: una colonia di spugne

Tra le forme analizzate, la novella conquista uno spazio speciale: «forma breve di racconto», dotata di «struttura elastica», «varietà di dimensioni, di stili, di codici e di fonti che la rendono multifunzionale» (Menetti, p.40), essa si presta a essere a sua volta declinata in forme limitrofe o addirittura a includere queste forme al suo interno. Assai opportunamente Menetti riporta (p.40) la felice definizione di Mazzacurati (Firenze, 1996):

Avviene come nell’espansione di una colonia di spugne: gli elementi organici e le morfologie superficiali possono essere assai simili a quelle della colonia originaria ma le pasture e i liquidi marini di cui si nutrono ne modificano a poco a poco le tonalità di colore, le qualità e la funzionalità biologica.

Questa elasticità della novella, se «è la prima causa della (sua) debole codificazione» (Menetti, p.47), tuttavia ne spiega anche la flessibilità rispetto alle epoche, l’enorme potenziale autorigenerativo, la vitalità, e costituisce vettore privilegiato per traghettare il lettore dalla dimensione sociale e collettiva della novella boccacciana fino alla «epica del casuale» della novella pirandelliana (Castellana, p.210) e ancora oltre, fino al «progettare in breve» del secondo Novecento (Iacoli, p.219), attraverso la «mescidanza delle forme», l’«ibridismo che contamina in particolare il ricorso alla brevitas» (Tongiorgi, p.151). Proprio per la capacità di farsi «luogo di incontro, di sintesi e mutua ibridazione tra i generi, occasione, non di rado, per una loro ricostituzione» (Iacoli, p.220), ci sembra importante segnalare in particolare alcuni approdi significativi, utili a comprendere anche l’attenzione riservata dagli scrittori contemporanei al genere della narrativa breve.

Uno snodo fondamentale è il passaggio tra il Settecento e l’Ottocento, quando «a trasformarsi (…) è la fisionomia stessa dei lettori, che (lentamente) crescono di numero, e sempre più appartengono a ceti sociali ai quali fino a quel momento non era stata indirizzata la produzione letteraria» (Tongiorgi, p.155), complici (anche) quelle riforme scolastiche che, anche prima dell’avvio del processo di unificazione, imprimono alla brevitas narrativa i modi nuovi di una inedita «letteratura volta al circuito formativo» (ibidem) e che contribuiscono, benché non in via esclusiva, alla nascita sia di una fiorente letteratura per l’infanzia (Varotti, p.172), sia di una vera e propria «industria della novella» (Tongiorgi, p.162): un fenomeno di cui, dall’età romantica in poi, è impossibile non tener conto  per comprendere l’investimento di risorse e le aspettative che della novella determinano anche la trasformazione strutturale.

Altra tappa irrinunciabile è quella che, anticipata dalla Scapigliatura, segna «l’apogeo della novella italiana» nel periodo compreso «tra l’affermarsi del verismo (…) e gli anni che chiudono l’età del modernismo precipitando verso la Seconda guerra mondiale» (Castellana, p.193): è qui che non solo si collocano alcune delle figure più autorevoli della narrativa breve (non solo italiana: si pensi a Verga, Pirandello, Tozzi), ma si avvia quel processo di emancipazione dalle «ipoteche moralistiche» che affranca addirittura il genere «dall’uso della parola stessa “novella”, che negli anni Trenta e Quaranta si fa da parte per lasciare il posto al nome (e al genere) del “racconto”» (Castellana, p.194). Le conseguenze di questo affrancamento sono di portata capitale: esse riguardano tanto le modalità quanto le finalità della narrazione, proiettandola in quella «tensione tutta novecentesca» che definitivamente erode «la contrapposizione fra il romanzo – tendenzialmente lungo, articolato, complesso, genere normativo – e il “controgenere” del racconto breve, limitato, semplice, frammentario e singolativo» (Iacoli, p.220).

Pertanto, in quel «campo di tensioni» che è il sistema letterario italiano (Menetti, p.30), la novella, proprio per la sua longevità e flessibilità, costituisce territorio privilegiato di osservazione di quelle trasformazioni nella postura del narratore, nel rapporto tra fabula e intreccio, nella relazione tra tempo della storia e tempo del racconto, che possiamo considerare altrettante allegorie della difficile definizione dell’identità individuale e collettiva.

Saper vivere in brigata

Ragioni di spazio ci impediscono di entrare nel dettaglio dell’opera; e tuttavia c’è almeno un altro aspetto che ci sembra quasi doveroso porre in luce ed è una qualità non sempre presente in altre opere analogamente nate dalla collaborazione di ottimi studiosi: quella che Menetti, alludendo al Decameron, chiama «dimensione conversativa collettiva» (p.48):

Ciò che resterà a lungo dopo Boccaccio non sarà l’architettura dell’opera, peraltro inimitabile, ma l’impronta della sua lezione più profonda: saper vivere in brigata e saper creare una comunità di liberi intellettuali che cercano una nuova idea di letteratura e una nuova idea di società (p.49)

Ci piace rilanciare questa «lezione» come chiave di lettura di questo lavoro collettivo. Il lettore che scorre con attenzione il volume si accorge velocemente della «dinamica dialogica» (p.48) tra i dieci interventi che lo compongono; i quali non si accampano scrupolosi e prudenti nell’area assegnata, limitandosi a svolgere (e già non sarebbe poco) rigorosamente e onestamente il proprio compito, ma creano davvero le condizioni per una riflessione condivisa, che si illumina e si arricchisce del contributo di ciascuno. E questo, in un’epoca segnata dall’individualismo sterile ed esclusivo degli studi umanistici, è da ritenersi, a nostro avviso, valore aggiunto e invito – a chi pratica la letteratura, ma non solo – a creare comunità di liberi intellettuali alla ricerca di una nuova idea di società.

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