Kafka e Pirandello. Nei dintorni del testo di lettere d’amore e disperazione
Felice Bauer e Marta Abba. Due donne diverse: anonima dattilografa berlinese la prima; prima attrice della compagnia del Teatro d’Arte di Roma la seconda. Eppure entrambe hanno un destino comune: quello di divenire ben presto le muse di due tra i più visionari autori del Novecento, Kafka e Pirandello. Nelle numerosissime e sofferte lettere d’amore che i due indirizzarono alle rispettive destinatarie c’è l’esigenza impellente di darsi nudi nel loro rapporto ossessivo con la carta. Ma c’è di più: questi appassionati dintorni del testo conducono il lettore dietro le quinte delle officine dei due scrittori e permettono di trasformare la loro opera letteraria in libro, come voleva Genette. Un libro che è fatto anche di dintorni del testo, propaggini essenziali per la comprensione dell’opera letteraria kafkiana e pirandelliana.
In questo articolo verranno passate in disamina alcune delle lettere che Kafka e Pirandello indirizzarono a Felice Bauer e a Marta Abba. Missive che, in quanto prolungamento dell’opera dei due autori, ne assicurano la presenza nel mondo e la sua ricezione in forma di libro. E dei libri gustosi sono quelli editati da L’Orma nel 2015 – Kafka. Come non educare i figli. Lettere sulla famiglia e altre mostruosità – e nel 2017 – Pirandello. La mia arte sei tu –, libri che costituiranno la fonte principale del presente contributo.
Kafka conosce la dattilografa venticinquenne berlinese Felice Bauer il 13 agosto 1912. Nel suo taccuino Franz annota: ‘La guardai per la prima volta con maggiore attenzione (…). Ossuta, un viso vuoto che porta apertamente la sua vuotezza (…). Naso quasi rotto. Bionda, con un che di rigido, capelli insignificanti, forte di mento’. Seguiranno centinaia di lettere per i cinque anni che verranno. Un rapporto tenuto a distanza, nutrito di tormento e sfociato due volte in fidanzamento e due volte nella rottura data dalla fuga di Franz. Perché è scappato? Perché il matrimonio va a sostanziare quell’aspirazione a una vita che si vuole etica e delimitata. Per questo Franz le scrive una missiva in cui, pur chiedendo la mano di Felice, elenca tutte le ragioni per cui lei dovrebbe rifiutarlo: la salute cagionevole, il magro stipendio, il punto cruciale della scrittura. Franz, in sostanza, scrive a Felice una proposta di matrimonio per non sposarsi. Felice però non demorde: così Franz le spedisce il 28 agosto 1913 una lettera da consegnare al padre, che ha nel frattempo concesso la mano della figlia allo scrittore. Nella missiva Kafka mette in guardia da se stesso il padre della propria promessa sposa. Il 2 settembre dello stesso anno Franz parte per Vienna e Riva. Di fatto fugge e questo scioglie il suo fidanzamento con Felice. Seguiranno altre lettere, un riavvicinamento e un secondo fidanzamento, poi una seconda fuga e la rottura definitiva. Nell’edizione a cura de L’Orma si legge: «A commento di questa travagliatissima storia di angoscia amorosa, che secondo alcuni critici venne sublimata e trasposta nella trama del Processo, Kafka scrisse: ‘Credo che in nessuna fiaba, per nessuna donna si sia mai lottato di più e più disperatamente di quanto abbia fatto io per te, fin dall’inizio e sempre di nuovo e forse all’infinito’». Forse Kafka amava Felice. Solo, da primo entomologo dell’habitat familiare aveva intuito ‘il carattere strisciante della famiglia’, come scrive Marco Federici Solari a introduzione delle missive. L’impossibilità di sposarsi e di detronizzare il padre, infatti, coincide con il rifiuto delle convenzioni sociali, con il disprezzo verso l’asfittico istituto coniugale e con una difesa della propria autonomia, che altro non è che la propria schiavitù nei confronti della scrittura. ‘Io sono fatto di letteratura’ scrive Kafka: ecco perché teme di venire imprigionato dall’amore di Felice, che viene invocato da lontano. Finché fila la corrispondenza il pericolo è scongiurato, a differenza di quando l’amore minaccia di tradursi in un incontro concreto. A tal proposito ne L’assalto al confine. Vita e opera di Franz Kafka Uta Treder ha scritto: ‘Le lettere a Felice sono la lucida testimonianza di un amore impossibile, ma non per questo meno vero. Chi arriva a scrivere anche tre lettere al giorno alla donna con la quale per ben due volte si è fidanzato ufficialmente è così disperatamente aggrappato all’idea dell’amore che solo la vergogna di non esserne all’altezza gli è superiore’. Sono rari i momenti in cui Kafka mente: l’autore non nasconde la verità a Felice, non le sottace di aver subordinato tutto alla letteratura; piuttosto incastra realtà e menzogna, sulla base di un groviglio di contraddizioni, ciascuna delle quali è vera, verissima. Felice non è altro che ‘un cartaceo possesso’ della donna: ogni volta che la donna diventa presenza concreta, si trasforma nella minaccia di dover rinunciare alla letteratura. Le lettere a Felice ci descrivono a quale prezzo Kafka sia diventato uno dei più grandi autori del Novecento: la rottura del loro fidanzamento confluisce in America e nella Metamorfosi. Ma anche le lettere sono intrise di letteratura e Franz si scopre, in quelle, uno scrittore onnivoro, affamato di parole.
Lo stesso si può dire di Luigi Pirandello, che il 7 febbraio 1925 spedisce a Marta Abba un biglietto di accompagnamento a una lettera di Massimo Bontempelli, l’autore della commedia Nostra Dea, con cui la giovane attrice milanese debutta a Roma al Teatro Odescalchi. Quando Pirandello e la Abba si conoscono, lui è uno scrittore cinquantasettenne affermato, lei è un’attrice ventiquattrenne. Pirandello la contatta per farla recitare nella pièce Nostra Dea: Marta diviene prima attrice della compagnia del Teatro d’Arte di Roma e musa del maestro. I due resteranno legati sino alla morte di Pirandello da un sentimento dispari: all’amore incondizionato del maestro fa da contraltare l’algidità della Abba. Come scrive Massimiliano Borelli nell’introduzione all’edizione curata da L’Orma, Marta è per Luigi ‘una presenza spettrale, da inseguire e corteggiare con una dissipazione di amore che non ammette dissuasione, nemmeno di fronte alle nette dimostrazioni da parte di lei che un limite al loro rapporto c’è’. L’uomo è mosso dal disperato bisogno di riempire l’assenza di quella persona che, unica, potrebbe placare la solitudine che lo perseguita. Marta è entità della creazione pirandelliana: ‘La mia arte – le scrive l’autore – per vivere ha bisogno di Te’, sublimando un contatto carnale con la donna che appare come ‘un fantasma che vortica nella mente di Luigi (…). Così è Marta Abba per Luigi Pirandello: un’immagine mai raggiunta sul palcoscenico della vita, che come la vita stessa non può essere vissuta perché dev’essere scritta. È per questo motivo che il rapporto amoroso tra il vecchio e la giovane non poteva andare al di là di una certa soglia: perché doveva dare impulso con il suo carburante inestinguibile alle fucine dell’arte’. Ma questo carburante stenta ad arrivare nella vita reale e si traduce ben presto nel rifiuto della donna: il 13 marzo 1929 Marta abbandona Pirandello a Berlino e torna a Roma. Il colpo per il maestro è tremendo e nemmeno la nomina ad Accademico d’Italia lo solleva da una acuta tristezza. Eppure fino a quel momento il maestro non aveva smesso di considerare Marta Abba la propria musa. Nel febbraio del 1931 Pirandello scrive una lettera a una Marta in cui vede il profilo dell’attrice internazionale e ‘moderna per eccellenza’, una musa ispiratrice essenziale alla sua scrittura. ‘La mia arte – le scrive – non è mai stata così piena, così varia e imprevista (…). E scrivo con gli occhi della mente fissi a Te. Poco importa che Tu non debba rappresentare questo lavoro (…): ciò che importa (…) è pensare che lo stia scrivendo per Te’.
Kafka parla di una lotta disperata per la propria donna, di una lotta mai registrata in alcuna fiaba; Pirandello arriva a subordinare la sua stessa vena creativa all’immagine spettrale della propria musa. Le due donne hanno agito nel sottobosco letterario dei due autori con una veemenza che sarebbe difficile immaginare se non si prendessero in considerazione quegli aspetti della loro opera che li accomunano. Il riferimento è, a mero titolo di esempio, alla rivolta contro il padre che ha atrofizzato nel figlio la facoltà di vivere appieno la realtà; alla tendenza all’espressionismo e al relativismo; al percorso intrapreso attraverso i terreni dell’alienazione, dell’incomunicabilità, del problema dell’identità, della regressione al mondo delle paure dell’infanzia; alla disperazione insita in amori travagliati e sofferti, alla ‘teoria animale della famiglia’ elaborata da Kafka e al tema della follia e dell’‘inferno del matrimonio’ o di una proposta di matrimonio; al gusto per il paradosso e per la deformazione grottesca; alla scelta della dissonanza e all’illusorio riordinamento del caos del materiale narrativo; alla separazione tra vita e scrittura, tanto che ‘la vita o la si vive o la si scrive’ per Pirandello e che ‘il mondo interiore può essere solo vissuto, ma non descritto’ per Kafka; alla terribile doppia vita cui sono condannati gli inetti e gli scioperati della vita; alla tendenza allo sdoppiamento e ai temi dello specchio e della crisi di identità; e, non da ultimo, all’uccisione simbolica del padre, all’angoscia per l’aggressione e al conseguente senso di colpa che informa di sé le prose kafkiane e pirandelliane.
Felice Bauer e Marta Abba. C’è molto di loro e del rapporto che le due donne intesserono con Kafka e Pirandello nell’opera di questi due visionari autori del Novecento. Nelle numerosissime e sofferte lettere d’amore che i due indirizzarono alle rispettive destinatarie c’è l’esigenza impellente di darsi nudi, nel loro rapporto ossessivo con la carta. Ma c’è di più: questi appassionati dintorni del testo conducono il lettore dietro le quinte delle officine dei due scrittori e permettono di trasformare la loro opera letteraria in libro, come voleva Genette. Un libro che è fatto, appunto, anche di dintorni del testo, propaggini essenziali per la comprensione dell’opera letteraria kafkiana e pirandelliana.
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