Per la mobilitazione e il senso critico degli insegnanti: manifesto per la scuola
Ripubblichiamo il nostro manifesto per la scuola con, in calce, l’elenco dei primi sottoscrittori. Invitiamo i nostri lettori a firmarlo e a farlo firmare a questo indirizzo: https://sites.google.com/view/manifestoperlascuola/home
I. La Scuola e lo stato presente delle cose
Chi insegna non può svolgere il suo lavoro senza porsi, in ogni proprio singolo atto educativo, domande oneste e profonde circa lo stato presente delle cose. La cosiddetta “complessità” del mondo globale non può più essere il pretesto per rimuovere queste domande, pena la superficialità o il cinismo nella pratica didattica. Un filosofo del diritto (Luigi Ferrajoli) ha usato efficacemente il concetto di “crimini di sistema” per dare un nome ai contenuti di questa rimozione: le leggi e le pratiche adottate in Italia, come in molti altri paesi, contro l’immigrazione clandestina – dice – sono responsabili del silenzioso massacro prodotto dai respingimenti alle frontiere. Lo stesso può dirsi per i milioni di morti per fame, sete e per devastazione ambientale: non si tratta di inevitabili catastrofi naturali ma di esodi e di omissioni di soccorso imputabili ai poteri selvaggi dei mercati. Senza la stigmatizzazione di questi crimini di sistema e l’attivazione nel dibattito pubblico di proposte dirette a impedirli non può più maturare il fondamento civile e culturale di ogni educazione. (cfr. L. Ferrajoli, Crimini di sistema, in L’ospite ingrato).
II. Il governo Salvini: una parentesi?
In questa situazione sarebbe sbagliato pensare che i 14 mesi di “salvinismo” imperante rappresentino una eccezione, un caso destinato a restare senza sviluppi ulteriori. Il fenomeno è più serio e più grave di un casuale incidente di percorso. È un monito e un annuncio di quanto può accaderci in un futuro non lontano.
III. Contro la legittimazione della disparità
Anche per la cultura sarebbe “finita la pacchia”, come ha affermato l’ex ministro della polizia nel candidarsi a nuovo “capo” degli italiani. Con ciò viene proclamata in corso di dismissione la garanzia dei diritti elementari e per tutti. Alcuni grandi e piccoli sintomi, nei territori, sembrano variamente provarlo: espulsione di bambini “stranieri” dalle classi e dalle mense delle scuole, rimozione di panchine dai centri storici per non far riposare gli “stranieri”, estendersi delle violenze contro le donne e riesumazione delle crociate a favore della “Famiglia”, tagli di fondi a associazioni culturali impegnate nel mutualismo e nell’accoglienza perché “troppo di nicchia”, messa al bando di libri dalle biblioteche comunali perché gli autori hanno idee politicamente o sessualmente sgradite, scrittori insultati dai rappresentanti dello Stato perché “professoroni”. La legittimazione pop del privilegio e della disparità, l’allergia al pensiero critico e la colpevolizzazione della povertà sono veleni che si respirano ogni giorno e a ogni livello del corpo sociale: si traducono, come già è accaduto, nel razzismo e nella guerra tra poveri.
IV. La regionalizzazione e l’autonomia differenziata
Emblema dello stato attuale della cultura e dell’educazione è la “regionalizzazione”, di cui si sta molto discutendo in questi ultimi mesi. Comunque evolva tale discussione, essa di per sé è oltremodo significativa delle tendenze in atto. Si tratta della differenziazione su base economica tra scuole e atenei nell’orbita di tessuti produttivi avanzati, e quelli localizzati in un’economia più debole: l’“autonomia differenziata” esalta e legittima le disparità sia sul territorio nazionale che all’interno di una stessa regione. È il rovesciamento dei principi di uguaglianza e di emancipazione economica a cui è ispirata la costituzione repubblicana: il più grave dopo l’introduzione bipartisan del pareggio di bilancio, che l’ha sfigurata. Con la regionalizzazione, il diritto allo studio, gli indirizzi disciplinari, i criteri di reclutamento dei docenti e la loro retribuzione, dipenderebbero sia dalla “ricchezza” delle regioni che dagli indirizzi politici che le stesse vorranno darvi. Non è detto infatti che a regioni ricche corrisponda un diritto allo studio più efficiente e “universalistico” quanto, piuttosto, l’accentuazione di un modello “ordoliberale” già incentivato nei nostri atenei e nelle attuali parole d’ordine egemoni della formazione: internazionalizzazione, competenze, eccellenza, innovazione.
V. La negazione delle garanzie e dei principi
Il sovvertimento delle garanzie e dei principi su cui si fondava il compito educativo dell’istruzione pubblica è anch’esso, come il pareggio di bilancio, di natura bipartisan: è infatti condiviso da tutte le parti apparentemente in contrasto sulla scena politica italiana. Tutte le principali forze politiche concordano su alcune idee inerenti il futuro della formazione. Per sanare i “problemi di sempre” bisognerebbe mettere in pratica le ricette che le riforme dell’ultimo ventennio hanno varato: l’autonomia, le indicazioni nazionali, la valutazione di sistema. Bisognerebbe insomma, si dice, far uscire la scuola dalla sua “comoda autoreferenzialità”, integrare “innovazione” e “umanesimo”, abbattere il muro che la separa dal mondo dell’economia. Questo invito a ‘modernizzarsi’ in fretta e a disfarsi di inibizioni e pregiudizi, così come la richiesta di smetterla con la contesa tra i depositari della «scuola della Costituzione» e i fautori “della cosiddetta deriva aziendalista”, è la base retorica del discorso attualmente egemone sulla scuola. L’ “allineamento” fra educazione e mercato è inverato nelle bozze sulla regionalizzazione (la “secessione dei ricchi”): dove l’adeguamento “integrato” dell’offerta formativa al mercato si concreta nei finanziamenti delle regioni “virtuose” a nuovi corsi di laurea basati sulle “esigenze espresse dal contesto economico e produttivo”.
VI. Per una Scuola contro l’ideologia egemone
Oggi è ancora possibile, tuttavia, parlare di scuola con un altro lessico, non subalterno all’ideologia egemone. È possibile ricordare che la razionalizzazione del mondo ha escluso, nei due secoli che ci stanno alle spalle, i subalterni, i proletari, i colonizzati, le donne. Va detto che l’ideologia dominante con cui oggi viene pensata la scuola (vale a dire il collegamento integrato fra saperi tecnico-scientifici e lavoro) non è solo ottusamente tecnocratica, è anche immemore del legame che da secoli esiste tra razionalizzazione del mondo e sfruttamento, che può giungere a casi estremi come, al presente, i “crimini di sistema” planetari (desertificazione, riscaldamento del pianeta ecc.). D’altronde, come si sa, civilizzazione e barbarie coesistono in una unità problematica.
VII. Le tecnologie pedagogiche
È il momento di ricordare che i poteri, in una democrazia autentica, si possono sottoporre a verifica a partire dai luoghi di elaborazione e di trasmissione dei saperi. Chiunque abbia avuto a che fare con le “tecnologie pedagogiche” così come sono state parcellizzate nella formazione dei nuovi docenti, sa bene che esse non sono neutrali né innocenti ma sono viceversa – a partire dai concetti-termini prevalenti – ispirate a una sola ideologia: congelano il processo di apprendimento in una neolingua di pseudoconcetti e slogan (Imparare facendo! Passare dalle conoscenze alle esperienze alle competenze!). Semplificano e azzerano le ricerche dei migliori insegnanti e i tentativi di vitalizzare in senso critico il concetto di competenza. Agiscono prevedendo un consenso totale da parte dei docenti, in apparenza in forza del “fare” neutrale, moderno e concreto, ma in profondità in forza della medesima ideologia che pretende, tautologicamente, il mercato come la sola forma di organizzazione infra-umana, l’individuo da formare come un imprenditore di se stesso e i diritti come inscindibilmente conseguenti alle libertà di mercato. La legge 107 del 2015 ha imposto una scuola che riconosce il suo modello nell’azienda, esattamente come è accaduto all’Università, nel 2010, con la Legge 240. Eccellenza, valutazione e competenza è la triade concettuale, automatica e ideologica, che consegue al nuovo modello di apprendimento, comune a scuola e a università.
VIII. La marginalizzazione dei docenti
Il governo Salvini-Conte ha ricevuto il proprio confuso consenso anche dalle frustrazioni che questa ideologia ha lungamente disseminato nel corpo sociale. Non c’è infatti soluzione di continuità tra questa visione del mondo egemone e i richiami all’identità locale, alla famiglia naturale, al ‘prima gli italiani’, che di quella rappresentano il rovescio e il rimosso. In modo analogo, diversi studenti oggi vedono con simpatia le destre fasciste e razziste perché sembrano sfuggire al linguaggio dominante, quello normativo e sedicente oggettivo della scuola-azienda, privo di verità e di futuro, che predica pari opportunità e diritti individuali senza mai mettere in discussione i rapporti di proprietà e di dominio (la “dignità sociale” dell’articolo 3 della Costituzione). Si può capire così perché il governo da poco decaduto non abbia avuto “in agenda” la scuola e abbia disattivato la formazione dei docenti: ha dato infatti per scontato che il processo sia già avvenuto e che la scuola e la formazione si siano già collegate ‘finalmente’ a uno dei mondi produttivi esterni all’aula: o meglio, a uno solo, quello raccontato e disegnato dal pensiero unico neoliberale. Senza questo lavoro di smascheramento dell’ideologia dominante, i docenti, sempre più disorientati dalla perdita di legittimità dell’insegnamento, non potranno che rassegnarsi alla rinuncia di essere persone colte necessarie in un processo collettivo di rielaborazione critica dei saperi (da ogni parte avvertito non più legittimo) e non potranno che ridursi a collaborare a una propria legittimazione come riproduttori di schemi semplificati e preconfezionati.
IX. La presa in carico di un nuovo mandato
Ai docenti il mandato educativo in quanto funzione è stato ormai revocato: il loro solo ruolo riconosciuto dal senso comune – quello in base al quale possono ottenere senza vergogne sociali un salario – è di preparare il capitale umano di cui le imprese necessitano. I giovani tuttavia sono ancora capaci di mobilitazioni straordinarie intorno ai temi del disastro ambientale, del razzismo, del sessismo, questioni che implicano una critica radicale ai “poteri selvaggi dei mercati”: come quella (subito normalizzata o cooptata) che ha riempito le piazze di tutto il mondo contro il cambiamento climatico e sui “Fridays For Future”. L’esperienza interpretativa (il dialogo critico sui contenuti, sui testi, sulla storia) è, in classe, una delle ultime occasioni istituzionali per un’ipotesi che il pensiero dominante non condivide: che l’essere è l’essere sociale e che è preferibile la gestione collettiva delle contraddizioni, che è meglio ciò che unisce e rende uguali di ciò che divide e fomenta sopraffazione e diseguaglianza. Per questo, quell’esperienza va praticata in quanti più luoghi educativi sia possibile, controcorrente rispetto alle disposizioni e ai linguaggi non neutrali delle istituzioni formative medesime.
X. Per una mobilitazione permanente da parte del mondo della Scuola
In questa situazione gli insegnanti si trovano di fatto costretti, ne siano coscienti o meno, a scegliere fra uniformarsi alle direttive che provengono dal sistema economico e dalla logica aziendale o restare fedeli alle norme della nostra Costituzione. Questa infatti pone come fine della scuola una educazione democratica che accresca il livello culturale dei giovani e contribuisca a rimuovere i dislivelli che minano la eguaglianza dei cittadini. In una scuola dello Stato italiano compito di un insegnante è, nel contempo, la istruzione pubblica (e non l’avviamento alla produzione o alla imprenditorialità, magari di se stessi) e la formazione democratica dei giovani secondo i principi e lo spirito della nostra Costituzione. Tanto più oggi quando grandi questioni internazionali sono anche grandi questioni culturali ed educative. Pensiamo in primo luogo alla emigrazione (sia quella che cerca salvezza e lavoro nei nostri confini, sia quella dei nostri studenti sempre più costretti a trovare impiego all’estero). La questione dell’emigrazione è, e sembra destinata a rimanere per molto tempo, dominante in questo nuovo secolo. Essa, infatti, costituisce un terreno fondamentale di lotta non solo politica ma anche (e per certi versi soprattutto) culturale perché pone, già nella vita concreta e quotidiana delle nostre classi, questioni decisive e discriminanti (il rispetto dell’altro, il rifiuto del razzismo, la solidarietà fra gli uomini indipendentemente dalla nazionalità e dal colore della pelle). Solo la scuola pubblica, che è e deve essere scuola di tutti, può chiarirle ai giovani, e anche per questo va difesa dall’imperialismo economico come dal dogmatismo ideologico o religioso. Solo la scuola pubblica può far crescere nei giovani una coscienza democratica, insegnando l’importanza del dialogo, l’assunzione di responsabilità nel praticarlo, il coraggio e la responsabilità nella interpretazione della storia civile e culturale del mondo in cui viviamo. Sappiamo quanto sia difficile questa lotta. Ogni giorno, spesso quasi alla chetichella, entrano nelle nostre classi idee e progetti che tendono a snaturare il nostro insegnamento. Solo la pazienza e la costanza della maggior parte dei nostri colleghi ci hanno sinora in parte protetto, ma il peggioramento della situazione è sotto gli occhi di tutti e richiede una mobilitazione permanente di autodifesa da parte del mondo della scuola.
***
- Tomaso Montanari, Università per Stranieri di Siena
- Giulio Ferroni, Università degli Studi di Roma 1
- Raul Mordenti, Università degli studi di Roma 2, Circolo Walter Benjamin
- Mario Ambel, già docente scuola secondaria, direttore di “Insegnare” rivista del CIDI
- Cristina Lavinio, Università di Cagliari
- Giorgio Ficara, Università di Torino
- Annagrazia D’Oria, direttrice della rivista “L’immaginazione”
- Piero Manni, direttore casa editrice Manni
- Francesco Marola, Assur – scuola università ricerca
- Federico Bertoni, Università di Bologna, Presidente dell’ Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura
- Mino Conte, Università di Padova
- Riccardo Castellana, Università di Siena
- Giuseppe Bonifacino, Università degli studi di Bari
- Anna Maria Palmieri, docente e Assessore alla scuola e all’istruzione del Comune di Napoli
- Andrea Manganaro, Università di Catania
- Felice Rappazzo, Università di Catania
- Francesca Fedi, Università di Pisa
- Duccio Tongiorgi, Università di Genova
- Mario Fiorentini, Università di Trieste
- Michele Carducci, Università del Salento
- Giuseppe Saponaro, Pontificio Ateneo Antonianum, Roma, Officina dei Saperi
- Giuseppe Corlito, psichiatra, presidente ANPI Grosseto
- Felice Piemontese, giornalista e scrittore
- Piero Bevilacqua, storico, Sapienza Università di Roma / Officina dei saperi
- Lucinia Speciale, Università del Salento
- Giuseppe Aragno, storico
- Rosaria Sardo, Università di Catania
- Tiziana Drago, Università di Bari
- Angela Drago, Università di Bari
- Rossella Latempa, docente scuola secondaria, prima firmataria dell’Appello per la Scuola pubblica
- Alfonso Gambardella, già dirigente scolastico
- Francesco Trane, pensionato, ex comandante pilota civile
- Daniela Poli, Università di Firenze
- Roberto Scognamillo, docente scuola secondaria
- Gianni Vacchelli, docente scuola secondaria, primo firmatario dell’Appello per la scuola pubblica
- Franco Novelli, già docente scuola secondaria
- Stefano Dal Bianco, Università di Siena
- Rosario Paone, docente scuola secondaria
- Mimmo Cangiano, The Hebrew University of Jerusalem
- Giovanni Carosotti, docente scuola secondaria, primo firmatario dell’Appello per la scuola pubblica
- Anna Angelucci, docente scuola secondaria, Circolo Walter Benjamin, Università Tor Vergata Roma, presidente dell’Associazione “Per la scuola della Repubblica”
- Luigi Matt, Università di Sassari
- Chiara Fenoglio, Università di Torino
- Roberta Olmastroni, docente scuola secondaria
- Piero Totaro, grecista Università di Bari / Officina dei saperi
- Enzo Scandurra, urbanista Sapienza Università di Roma / Officina dei
saperi - Alberto Ziparo, urbanista Università di Firenze / Officina dei saperi
- Paolo Favilli, storico Università di Genova / Officina dei saperi
- Rossano Pazzagli, storico Università del Molise / Officina dei saperi
- Tonino Perna, economista e sociologo, Università degli studi di
Messina / Officina dei saperi - Dino Vitale, già preside Liceo Galluppi Catanzaro / Officina dei
saperi - Sabiana Brugnolini, docente scuola secondaria
- Redazione di OperaViva Magazine (https://operavivamagazine.org/)
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Caporedattore
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Editore
G.B. Palumbo Editore
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