Strani viaggi: attraversamento e risemantizzazione dei luoghi del Furioso
Premessa: Ripercorreremo le tappe essenziali di un percorso di ricerca-azione che ha preso le mosse da quell’«istinto esplorativo» del lettore di cui parla Ezio Raimondi. I nostri studenti, proprio come esploratori, hanno incontrato i luoghi dell’Orlando furioso, scoprendoli nuclei di intersezioni semantiche e centri di irradiazione di metamorfosi narrative. Divenuti consapevoli della semantica delle forme, i nostri liceali si sono fatti largo fra i topoi ariosteschi indagando la struttura dell’ottava e si sono cimentati nel riuso dei materiali letterari attraverso la riflessione argomentata e la narrazione digitale. Il video prodotto al termine del percorso ha raccolto e rilanciato la sfida di Ariosto: alla ricerca di qualcuno o di qualcosa, è necessario non fermarsi per dare un senso all’esistenza.
La riflessione metodologica: L’analisi del poema di Ariosto e la riflessione di natura metodologica si sono intrecciate per garantire la legittimità del percorso, scongiurando storture interpretative e derive creative. Fondamentalmente le questioni affrontate sono state quattro:
1. Perché il luogo? Cosa autorizza a privilegiare i luoghi del poema come chiavi d’accesso ai significati profondi e durevoli di esso? Bachtin ha indicato nel cronotopo «l’interconnessione dei rapporti temporali e spaziali dei quali la letteratura si è impadronita artisticamente», dove «il tempo si fa denso e compatto» e «lo spazio (…) si immette nel movimento del tempo, dell’intreccio, della storia». Nello specifico del Furioso, i luoghi – coniugati con una nozione inedita di tempo – hanno un’importanza determinante, come ha messo in luce, una volta per tutte, Caretti: «Tutti i luoghi (…) dell’inesauribile geografia ariostesca divengono, infatti, di volta in volta temporanei centri della vicenda, punti vitali di confluenza e di intersezione di alcune delle sue direttrici. …». Ma, prima ancora di subire le trasformazioni simboliche imposte dal «movimento errante della poesia d’Ariosto» (Calvino), questi luoghi hanno per il poeta una valenza biografica: l’immaginario ariostesco è governato da una fortissima componente visiva, combinazione sorprendente di paesaggi, edifici, oggetti familiari e spudoratamente amati (a me piace abitar la mia contrada, scrive nella III Satira) e altri solo immaginati attraverso libri, tele, carte geografiche ridisegnate dalla scoperta del Nuovo Mondo; a tenerli insieme è lo sguardo di colui che non esitava ad ammettere Sicuro in su le carte/ verrò, più che sui legni volteggiando.
2. Perché risemantizzare? Una volta individuato il valore semantico di quei luoghi nell’immaginario ariostesco, a che scopo ridefinirne il significato a partire dall’esperienza biografica dello studente, così storicamente e geograficamente diversa da quella di Ariosto?
Le ragioni – a nostro avviso – sono essenzialmente due. La prima è quasi implicita nella natura stessa del Furioso. Per Ariosto – scrive Casadei – «è fondamentale la libertà nell’uso della sua enciclopedia culturale»: questa libertà nel riuso dei materiali letterari e autobiografici, il dialogo incessante tra il mondo possibile e la situazione presente di chi scrive e di chi narra, fanno del poema ariostesco «forse il primo a proporre un rapporto interattivo con il lettore», al quale «viene chiesto di interrogarsi sulle implicazioni etiche delle vicende narrate, ossia di superare il mero “spasso”, il dulce del vagare di storia in storia, per cogliere le suggestioni “utili” »; e in nome di questa relazione innovativa, perfino trasgressiva, inaugurata da Ariosto col suo lettore, abbiamo creduto di poter investire anche i nostri studenti del compito esaltante, ma anche responsabilizzante, di interrogarsi sui significati del mondo possibile per rileggerli in situazione: non schiacciati sul presente, ma proiettati sulla bilancia instabile appresa da Ariosto.
La seconda ragione ce la suggerisce Luperini, quando parla della «civiltà del dialogo, fondata sul conflitto delle interpretazioni». È la «lettura come dialogo» a consentire questa risemantizzazione come operazione necessaria di definizione prospettica dei significati: l’interrogazione del passato con le domande del presente garantisce all’insegnamento della letteratura senso e vitalità.
3. Perché verseggiare in ottave? Compiuto lo studio necessario delle ragioni storico-letterarie e compositive che determinarono l’impiego dell’ottava all’interno del poema di Ariosto, che senso ha chiedere allo studente di raccontare in ottave i suoi “luoghi risemantizzati”?
Il più avveduto fra gli studenti ha colto immediatamente l’incongruenza della richiesta: nel poema l’ottava è un nucleo inserito in una struttura, un nucleo compiuto, ma anche “aperto”, che assume significazione in funzione della narrazione complessiva. Che valore si può attribuire dunque all’esercizio di un’ottava isolata? Per noi la risposta è nelle parole di Frasca:
Credo che a questo serva la forma, a mortificare il solipsismo più «letterario» (…) a favore di una cantabilità più socievole (…) è un procedere per approssimazioni (…). Ma il bello è che «approssimare» vuol dire avvicinarsi, perché se uno è costretto a venire a patti con una cantabilità che gli ricorda costantemente «questo c’entra, questo non c’entra», deve piegarsi a una serie convenzionale di modi di dire, di giunture sintattiche, e anche di necessitanti isofonie (…). Le tecniche della metrica (…) sono (…) un medium (…).
Il ricorso alla riscrittura in ottave è servito dunque da argine a quel narcisismo adolescenziale e – si direbbe – epocale che tende a elevare l’esperienza biografica del singolo a misura di tutte le cose, alla ricerca – piuttosto – di una misura comune; medium irrinunciabile nella narrazione degli eventi e delle emozioni, in quanto filtro capace di epurare eventi ed emozioni dalle scorie della cronaca e del sentimentalismo, restituendoli alla loro dimensione «socievole» e condivisa.
4. Perché raccontare in immagini digitali? La scelta deriva dalla constatazione del diverso modo di percepire la realtà dei nostri studenti; rispetto a tale mutazione l’atteggiamento degli insegnanti non può essere di miope rifiuto o di condiscendente comprensione. L’intento, piuttosto, è stato «quello di gettare un ponte tra le pratiche d’uso delle tecnologie espresse dagli studenti e le pratiche formative che hanno luogo nella scuola stessa» (Ferri, Marinelli). La forma della narrazione digitale ha consentito, peraltro, il recupero della struttura centrifuga e policentrica del testo ariostesco: il video mette in movimento i personaggi in azione. Le emozioni si esprimono in strutture narrative che danno corpo alle idee formalizzate dalla parola.
La risemantizzazione: Gli studenti sono stati sollecitati in prima battuta a una ricognizione dei luoghi del Furioso. La loro attenzione si è fermata principalmente sulla Selva, sul Castello di Atlante, sulla Grotta di Medoro, sull’Isola di Alcina e infine sulla Luna. Tracciata una mappa dei luoghi, si è chiesto agli studenti di trovare per ciascuno di essi un corrispettivo reale, scegliendo una dimensione spaziale nota e familiare. Così, per esempio, la luna ha assunto le forme inquietanti dei crateri etnei, il castello è stato quello d’Aci o quello federiciano nel cuore di Catania e via discorrendo. Questo passaggio non solo ha contribuito ad avvicinare fisicamente gli studenti ai luoghi ariosteschi, rendendoli pensabili e percorribili, ma ha consentito loro di coglierne la duplice significazione: la valenza esistenziale è emersa accanto alla valenza oggettiva. I luoghi, in quanto punti di convergenza dell’esperienza fisica ed emotiva, assumono nella loro concretezza indubbio spessore di verità individuale e di archetipi dell’immaginario collettivo. Questo snodo fondamentale ha agevolato la riflessione sul valore simbolico dei luoghi del poema, quello voluto da Ariosto, e quello attribuito dagli studenti, ragazzi e ragazze comuni: lettori di romanzi e fumetti, spettatori di film e fiction, non certo, al di fuori degli obblighi scolastici, lettori abituali di poemi. Per scongiurare banalizzazioni autobiografiche e autoreferenziali, questo lavoro di riappropriazione del Furioso è stato accompagnato dalla stesura di brevi testi argomentativi capaci di dare rigorosamente ragione di associazioni e parallelismi. Così si è disegnata una geografia in cui i luoghi hanno un senso per quello che oggettivamente sono, contenitori fisici, reali di accadimenti, a cui è indissolubilmente associata la dimensione esistenziale. Lucy – per esempio – scrive che la Selva del Furioso oggi sarebbe un aeroporto:
Un luogo così è un immenso contenitore di incontri fortuiti. L’aeroporto suggerisce l’idea di perdizione e allo stesso tempo di scoperta del primo canto. È un luogo di transito e di transizione, che ognuno di noi attraversa assolutamente ignaro della particolarità delle storie che lo circondano e consapevole solamente della loro vastità. Come Angelica corre tra alberi e piante apparentemente tutti uguali, senza sapere cosa si cela dietro, noi passiamo con noncuranza tra migliaia di persone così diverse e tutte indistinguibili ai nostri occhi. Gli unici punti di riferimento rimangono gli elementi più vistosi, le stelle nella selva come le luci del terminal a Fiumicino.
Mara e Nicole compiono un’operazione di elaborazione simbolica ancora più estrema:
La selva, con l’intrigo della sua vegetazione, si presta a fughe ed inseguimenti, ad occultamenti e riapparizioni improvvise; offre ristoro, ma cela minacce. Spesso ci si perde e la ricerca, appena iniziata, viene deviata su un nuovo oggetto “disorientato”. La selva di Ariosto è soffocante, non perché ristretta, ma perché è enorme. Io la immagino non come un vero e proprio luogo, ma come un sistema tentacolare: come la burocrazia italiana, un labirinto dalle direzioni incerte, circolare nei percorsi per la mancanza di un’entrata e di un’uscita che siano ben chiare! (Mara)
Della selva ariostesca, alla quale ho associato l’immagine dei boschi di castagni etnei, ho analizzato le fisionomie che la rendono uno dei luoghi chiave del Furioso. Nella selva, dal carattere dinamico e mutevole, entrano ed escono quasi tutti i personaggi. C’è chi cerca rifugio, chi una strada, chi cerca ragioni e chi insegue l’amore, chi ci finisce per caso. In questo fluire non mancano gli incontri e gli scontri, perdite e ritrovamenti, ed è un piccolo universo entro il quale sembra regnare l’incostanza della caotica fortuna. La religione ha un po’ la stessa fisionomia della selva. Tutti per un motivo o per un altro, ci inciampano dentro, per rispondere a domande, per trovare conforto, per conoscere nuove idee. E una volta dentro, ognuno batte il proprio percorso. Sceglie da che parte andare, se girare a destra dopo il primo pioppo, o a sinistra dopo il terzo faggio. E nel complesso delle sue ramificazioni anche la religione sa essere caotica. Caotica per l’affacciarsi di qualche nuovo credo, per il modificarsi di alcune, lo scindersi di altre… Ciascuno ha un modo proprio per affrontarla: la fede guida gli animi in modo particolare e offre a ciascuno la propria unica uscita. (Nicole)
Giada, creativa e grafica in erba, associa il Palazzo d’Atlante al labirinto e pensa sorridendo alle scale di Hogwarts nella saga di Harry Potter e poi, facendosi più seria, alle prospettive stranianti di Escher:
Lo ammetto: all’inizio ho pensato alle scale di Hogwarts! Ma poi a un palazzo di Escher: un edificio costruito su più piani, non necessariamente paralleli, e collegati da scale che si intrecciano e compongono formando un labirinto; un luogo inesistente, nel quale vanno ad annullarsi le leggi della fisica a noi note, ma, più in generale, il tempo e lo spazio; un posto sconnesso dal resto del mondo, in cui muovendoti non sai mai dove andrai a finire, perché è esso stesso in movimento, e mai statico. Io lo penso così, il Palazzo d’Atlante: perdita di punti di riferimento e di razionalità.
E si potrebbe continuare a lungo nell’universo variegato di questi giovanissimi lettori (appena sedicenni): Liliana pensa alla Selva come a una vecchia audiocassetta, «con due facce molto diverse fra loro» e un nastro che gira «a ciclo continuo»; Simone al cubo di Rubik, che obbliga «ogni personaggio a provare infinite combinazioni, tornando talvolta sui propri passi»; Alessia a un enorme mazzo di chiavi, nel quale ognuno cerca quella che apra la propria porta di casa…
La riscrittura in ottave: «L’istituzione metrica» dell’ottava, «l’inautenticità che sola può fondare l’autentico», «la forma della presenza collettiva», secondo la felice definizione di Fortini, ha rappresentato un momento cruciale del lavoro di ricerca-azione. Gli studenti hanno dovuto affrontare il racconto dei luoghi e di sé nello spazio disciplinato e convenzionale dell’ottava, così diverso dal post su Facebook, dal diario, dal tema; hanno dovuto dirsi onestamente «questo c’entra, questo non c’entra» e operare delle scelte, nel tentativo di attingere all’autentico attraverso l’inautentico gioco combinatorio di otto endecasillabi. Qui di seguito, unicamente per brevità, si è scelto di inserire soltanto quelle ottave che hanno poi sollecitato l’immaginario degli studenti impegnati nella realizzazione della narrazione digitale; ma ci sarebbe da leggerle tutte: davvero uno stupefacente mondo possibile.
Simona e Liliana danno alla selva ariostesca i caratteri di una moderna metropolitana («chi si trova su una metropolitana ha una direzione, ma non è sempre la stessa per tutti…») e, sul modello dell’ottava I, 33, così descrivono Angelica in fuga:
Fugge per vie, osservando altri cercare,
terra di nessuno tra fuga e fine,
lì dove ombre e caos deve ordinare.
Sente le storie che son copertine
dell’ombre che uno scopo han da portare.
Crede di direzioni aver decine,
gira di là, di qua per quel sentiero
che la riporta alla fermata zero.
Nicole e Francesca associano al labirinto (della selva come del castello di Atlante) il significato della ricerca esistenziale, della domanda di senso che spesso trova, o crede di trovare, risposte nella religione («C’è chi cerca rifugio, chi una strada, chi cerca ragioni e chi insegue l’amore, chi ci finisce per caso…»):
Va ora di giù, di su, di qua di là
bramando l’oggetto della sua inchiesta
senza sapere che cosa gli accadrà
nel gran castello in mezzo alla foresta.
Come in sogno l’ombra certo sparirà
ma la ricerca vana mai s’arresta:
illusoria parvenza del reale
alïenazione quasi totale
Chiara e Thomas invece risemantizzano la Luna (XXXIV, 70-87) attribuendole il significato dell’Es freudiano, perché «come sulla luna si ritrova tutto quello che sulla Terra è smarrito (anche il senno), nell’Es si trovano tutti i pensieri e le pulsioni represse costrette a rimanere nel nostro inconscio»:
Astolfo allora in abissal sopore
la sfera onirica varca, e in tale
tetro loco un vento straziatore
istinti e pulsioni agita brutale.
Qui, represse dall’Io carceratore
e costumate dal super-Io morale,
inattese emozioni scorse tante
rinchiuse dall’immenso soffocante.
Dalla narrazione in ottave alla narrazione digitale: Tutto il lavoro portato a compimento dagli studenti, la riflessione sul testo ariostesco, la selezione dei luoghi e la loro risemantizzazione, la riscrittura di alcune ottave, appena concluso è diventato il punto di partenza di una nuova storia, in una sorta di entrelacement digitale. Gli elementi sparsi, apparentemente centrifughi, sono stati raccolti, analizzati, discussi, selezionati e infine hanno trovato una nuova sistemazione nella narrazione visiva: ma il caos non può più essere risolto nell’armonica città ideale ariostesca; perciò, tramontata la fiducia nella corrispondenza rinascimentale tra microcosmo e macrocosmo (pure evocata in video dall’immagine di Palmanova in dissolvenza incrociata con una galassia), la nuova storia, contemporanea quête, racconta la ricerca di senso dei giovani in una realtà frammentata.
«In principio c’è solo una fanciulla che fugge per un bosco (…) è la protagonista di un poema incompiuto, che sta correndo per entrare in un poema appena cominciato»: l’immagine suggerita da Calvino è stata accolta dagli studenti impegnati nella tappa conclusiva del percorso, tanto da essere assunta all’inizio del nuovo testo e della nuova narrazione in video. La trama di riferimenti intertestuali tra il nuovo modo di narrare e quello consegnatoci dalla tradizione viene svelato in principio e consente di utilizzare la fanciulla in fuga come elemento anaforico significante il tragitto che lega l’incompiuto all’appena cominciato. Angelica, per questo aspetto, piuttosto che personaggio, diviene elemento retorico-formale che scandisce e struttura la sintassi del video e consente, grazie alla folgorante constatazione di Calvino, di legittimare un nuovo inizio del Furioso, una gionta, che è un’altra storia.
Una storia possibile, come ogni storia di carta, che stabilisce un nuovo rapporto con il reale dei giovani contemporanei. Se Ariosto, all’interno di convenzioni cortigiane rinascimentali, poteva tranquillamente trascolorare dal possibile al reale, dall’inautentico all’autentico, dal fittizio allo storico-biografico (Casadei), i nostri studenti hanno voluto sottolineare piuttosto la loro ricerca di autenticità che non ha necessariamente un approdo felice. La donna in fuga attraversa i luoghi ariosteschi che si trasformano in altri luoghi: e la fuga per la selva prosegue in un treno della metropolitana, e il castello di Aci Castello è descritto con i versi dedicati da Ariosto al castello di Atlante. Ma la fuga si interrompe dopo che Angelica esce dall’Orlando furioso. Abbandona il libro per entrare definitivamente in un mondo altro, quello in cui le cose conservano un significato nascosto, e i segni rivelano il loro mistero: questo mondo in cui si muovono i nostri adolescenti reali alla ricerca di sé. Nella tessitura del testo visivo assume allora una valenza logica e metaforica l’immagine della ragazza che apre gli occhi: le palpebre si sollevano a incontrare una nuova situazione, un nuovo aspetto dell’avventura, della ricerca, della vita. Angelica in fuga nel video, attraverso Calvino, sottintende e richiama la tradizione letteraria, antecedente esterno necessario e non sufficiente per la nuova storia; ma Angelica che apre gli occhi rimanda allo sguardo che osserva la realtà, dunque anche agli occhi reali che guardano il video e che cercano in ciò che vedono un significato, un appiglio che consenta di riconoscere un senso nelle immagini delle cose. Il video, dunque, è costruito come testo “interattivo” che sollecita l’interpretazione dello spettatore, e come specchio della condizione esistenziale del gruppo, della comunità ermeneutica, che si rivolge, inquieta, all’esterno in cerca di ascolto.
Gli studenti, che a conclusione di un lungo processo hanno costruito una nuova storia, pensata e realizzata come video, hanno dimostrato di avere acquisito il senso profondo dell’opera ariostesca nella sua costruzione di significato attraverso un ritmo formale: la loro ricezione dell’antico testo, nel momento in cui è stato redatto un nuovo testo, è diventata consapevole della netta distinzione tra quel passato e questo presente, quella storia e questa storia. Le immagini del video hanno aperto un dialogo, rispettoso della diversità, con l’opera d’inchiostro e, così facendo, hanno aperto questo mondo alla metaforizzazione di un mondo possibile. La letteratura, che consente l’«ingresso in altri mondi» (Luperini), non può più essere percepita come estranea: è diventata, anche per questi ragazzi, la forma di plurimi contenuti. In ossequio alla lezione ariostesca, il video è stato perciò realizzato su un ordito di immagini che stabiliscono una «continuità del ritmo» pur nella «discontinuità narrativa», come suggerito da Casadei, e la risemantizzazione dei luoghi è stata comunicata attraverso la semantizzazione delle forme. Soltanto nel nuovo mondo della nuova storia è stato possibile che le ottave dei ragazzi si specchiassero nelle ottave di Ariosto, che le immagini comunicassero il riconoscimento di antichi valori rinascimentali insieme alla moderna scoperta dell’inconscio (Freud) e dell’inquietudine (Pessoa). L’armonia ariostesca è stata forse meglio compresa nel momento in cui i nostri studenti hanno potuto esprimere, attraverso il loro codice visivo, «le perfette disarmonie […] in cui viviamo» (Casadei).
Non a caso, l’ultima sequenza è dedicata alla luna, altro mondo, inconscio, regno di tutto quello che qui si è perduto e che lì si raccoglie… E quando la fuga è ormai impossibile, e rimane aperta la domanda sulla realtà della nostra esistenza, sullo schermo nero si fa sentire sulle stesse note quello stesso affanno che aveva dato inizio alla nostra storia.
Grazie ai nostri compagni di strani viaggi: Gabriele Cingolani, Silvana La Pinta, Maria Leonardi, Annalisa Nacinovich, Lucia Olini, Stefano Rossetti, Carla Sclarandis, Cinzia Spingola.
Bibliografia essenziale di riferimento
Caretti, Ariosto e Tasso, Einaudi, Torino 1961.
Dionisotti, Appunti su antichi testi, «Italia medioevale e umanistica» 8, 1964
Fortini, Saggi Italiani, Garzanti, Milano 1974.
Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino 1979.
Luperini, Insegnare la letteratura oggi, Manni, Lecce 2000
Tonelli, Aspetti del sonetto contemporaneo, ETS, Pisa 2000.
Frasca, in Un’inchiesta sulla poesia, «Versodove», n.11 (Autunno 1999/Inverno 2000), p.9 (https://versodoverivista.files.wordpress.com/2015/07/11_16.pdf)
Calvino, Italo Calvino racconta l’Orlando furioso, Einaudi, Torino 2002.
M. Praloran, Le lingue del racconto. Studi su Boiardo e Ariosto, Bulzoni, Roma 2009
Jenkins, Culture partecipative e competenze digitali, Guerini studio, Varese 2013
Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli, Milano 2013
Raimondi, Un’etica del lettore, Bologna, Il Mulino 2014
Blasucci, Sulla struttura metrica del Furioso e altri studi ariosteschi, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2014
Casadei, Ariosto: i metodi e i mondi possibili, Marsilio, Venezia 2016
Mirone, Il Furioso come città ideale: risemantizzare i luoghi del poema ariostesco fra i banchi di scuola, Atti XXI Congresso ADI, Firenze, Società Editrice Fiorentina 2019, http://www.italianisti.it/upload/userfiles/files/36_03_sclarandis_mirone.pdf
AA.VV., Ariosto tra gli specchi del Novecento, Loescher, Torino 2019
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