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diretto da Romano Luperini

sacrario dei caduti per

La Memoria e le anime morte

 A camminare si va su per l’Appennino, in provincia di Bologna, con gli amici del CAI che salgono per noi perché conoscono i sentieri a memoria, e anche l’approdo, Monte Sole. Inerpicandosi su per l’Appennino incontri il silenzio delle strade, coi pochi vecchi a contarsi le malattie e i giorni andati.  E vedi i paesi con secoli lunghi di racconti che diventano deserti, senza visi e senza memoria. Ma la memoria no, la memoria deve restare. Altrimenti tutto è perduto.

Si giunge al Parco di Monte Sole. Qui erano piccole frazioni, borghi case e drogherie osterie e scuole e chiese e querce e tarassaco e margherite. E, oggi, tanti cimiteri.

Cimiteri per ricordare 771 vittime (i martiri dell’eccidio di Marzabotto, 1944) di cui 315 donne, 189 bambini inferiori ai 12 anni, 30 giovani dai 12 ai 18 anni, 161 uomini dai 18 ai 60 anni, 76 vecchi di oltre 60 anni. E sono una parte delle vittime di eccidi che i nazisti, e i fascisti, hanno inferto alle genti di queste zone.

Monte Sole, però, è anche un tempo per rinascere.

Chiunque incontri, lo saluti. Ti riconosci. Perché qui ci si viene solo se si sa da che parte stare, dalla parte di quelli che non sono più: con quel senso di pudore per il male precipitato dentro gli uomini che ci riguarda tutti. Ce lo comanda Primo Levi; con quel suo mostrarti la via affinché la vergogna a cui stai aprendo strada dentro la tua memoria, e la tua anima, non ti lasci, non ti lasci più. Shemà, dice Primo Levi: Ascolta, in ebraico. Non è un invito, il suo, ma l’indicazione di un confine che segna un precipizio dentro ognuno di noi: se tu, uomo, che tornando a casa trovi i visi amici e un pasto caldo, dimenticherai ciò che è stato, meglio allora che ti sfaccia la casa, che i tuoi nati torcano il viso da te… perché di te non resterà nel mondo che lo scheletro di un’anima morta.

E però, quando sei a Montesole, sai anche che non è stato il tuo destino, quello che ascolti. Eppure chi può se ne fa carico, per umana pietà. Ma non basta.

Per rinnovare la scelta della parte dove si deve stare se si crede nella giustizia degli uomini.

Non basta.

Te ne fai carico perché quelli che prendevano la mira sui bambini, sono a misura tua, e questo nessuno deve dimenticarlo. Nemmeno le anime morte.

E te ne fai carico come puoi, dove puoi, in cielo e in terra e in ogni luogo, per cercare, inutilmente, di capire. Ma non basta. 

Te ne fai carico anche, sì, per scambiare un sorriso con degli sconosciuti. Accade quando prendi commiato da un luogo dove si dice addio ai morti. Uno sguardo e un sorriso a chi arriva dopo, a volte una stretta di mano a uno sconosciuto sapendo che parteciperà come te al dolore di chi non è più: la mano va stretta forte a trasmettere quel desiderio imperioso di pace di fratellanza che è speranza e amore per la vita e per il prossimo che è lì, accanto a te.

E dopo di lì, è ovunque e in ogni luogo. Anche se sai già che ovunque e in ogni luogo sarà più difficile desiderare la fratellanza: perché ovunque e in ogni luogo sono di meno quelli che sanno da che parte stare.

Ogni tanto trovarti fra uguali ti rende la vita più leggera.

Il cammino pellegrino ti porta in posti dove i bambini hanno avuto mitragliatrici che si abbassavano alle loro altezze per essere sicuri di ammazzare subito e in fretta. Dove le donne colpite hanno messo le mani sul grembo per proteggere chi aspettavano.

E non si dica che sono morti in battaglia. No, sono morti ammazzati. Per vendetta, per asciugare il mare, per rappresaglia, per dispetto, per arroganza, per sfregio, per esercizio del male, per esercizio avanzato nell’annullare le coscienze. Ma non in battaglia. I neonati di 46 giorni nessuno deve considerarli in guerra.

Che quelle morti non abbiano insegnato molto all’uomo, è un dato di fatto a guardare oggi: chi ci racconterà le storie di quelli in fondo al mare? Chi ci dirà perché una notte sono spariti dalla strada vecchia per afferrare il miracolo di una vita normale? Non ci sarà quel miracolo di una vita che sia vita davvero, per loro. Non ci sarà neppure il miracolo delle acque che si aprono, nessuno camminerà sul mare. Il mare inghiotte e fa silenzio, nessun grido nessun dolore. Quel silenzio ci è prezioso perché noi, anime morte, non sentiremo bussare alla nostra porta, nessuno ci chiederà conto di quelle storie, il mare fa il suo lavoro in silenzio. Non poteva esserci confine più rassicurante fra loro e noi, anime morte che “continuiamo a intingere i nostri bikini dentro un mare di morti” come ha detto la regista argentina, Lucrecia Martel.

Si torna giù, a valle, sempre camminando. Si pensa a come fossero le vite di quelli che sono stati ammazzati lì, sul Monte Sole, o quelle dei partigiani che sono morti combattendo, sulle montagne intorno, e sorridevano certe sere pensando al futuro. E’ così, certe volte, che si va in battaglia, pensando al futuro. E sorridendo.

E’ così che si resiste a credere che serva in ogni dove praticare il diritto alla Memoria e quello dell’esercizio delle coscienze, anche quando ci sembra inutile, anche quando viene la notte.

La memoria è un racconto, indispensabile è ascoltare. E amare ciò che si ascolta. Farlo proprio. Riconoscervi noi stessi.

Qualcuno ha sentito raccontare.

E racconta a sua volta.

A qualcuno è sembrato che ci fosse anche lui dentro quel racconto.

E lo tramanda.

Le anime morte possono risorgere se il nulla arretra. La Memoria fa miracoli.

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