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La metà del mio sangue è jugoslava: per la collega Rosa Maria Dell’Aria

 La metà del mio sangue è jugoslava. Se quasi cinquant’anni fa mia madre non avesse sedotto quell’impenitente scapolo di mio padre così tanto, da farsi addirittura sposare, oggi sarei un extracomunitario. O forse, più ragionevolmente, sarei tornato a Belgrado, per morire magari insieme ad altri 2500 connazionali nel ’99 sotto le bombe della Nato; avendo però il cordoglio di Bossi, grande sostenitore del dittatore Milošević.

Nella mia Jugoslavia, nell’immediato dopoguerra un grande intellettuale e uomo politico come Milovan Gilas (braccio destro di Tito) instaurò uno strano (e pericoloso per il potere vigente) parallelo: i carri armati sovietici che difendevano la Jugoslavia gli ricordavano i carri nazisti che la occupavano. Che senso aveva avuto tutta la resistenza, se poi sempre carri armati in casa bisognava avere? Il suo obiettivo non era attaccare il maresciallo, ma tenere all’erta la popolazione: creare gli anticorpi culturali e politici perché non si scivolasse in situazioni senza ritorno. Ma si sa che il primo Tito non andava tanto per il sottile. Nel giro di pochi anni buttò fuori Gilas dalla Lega dei comunisti e da tutti gli incarichi pubblici. Lo annientò. E Gilas terminò la sua carriera politica. Divenne magari per alcuni un’icona della dissidenza, ma certamente fu ridotto a essere innocuo. Sorrisi e sorrisini, ma la maggioranza seguì un’altra strada.

*

Non è tanto diverso quanto accaduto alla collega Rosa Maria Dell’Aria di Palermo. Non viene rimossa dall’incarico perché tollera un video dei suoi studenti che paragonano la pagina più vergognosa della nostra storia all’attualità. Viene attaccata perché diventa quel dispositivo che può creare gli anticorpi democratici, che a loro volta possono impedire a qualsiasi morbo fascista di attecchire. Silurare lei, dunque, diventa più economico: si blocca in questo modo la trasmissione, da una generazione all’altra, dei valori fondanti della nostra Repubblica, nata dalla lotta antifascista e basata su una Costituzione all’insegna della tolleranza. E non c’è da stupirsene: qualsiasi regime ha bisogno di una scuola mutilata e non pensante.

Molto probabilmente la collega verrà a breve reintegrata. Ed è certamente una buona notizia. Ma il reintegro, con il beneplacito di Salvini, spaventa ancor più della sospensione. Somiglia, sinistramente, al recentissimo divieto agli atleti africani di partecipare alla maratona di Trieste, e poi al succedaneo e rapido passo indietro. Entrambi sembrano tentativi di capire il limite fino al quale ci si può spingere; e soprattutto creare precedenti, che poi quando saranno ripetuti faranno meno effetto. Fino ad arrivare, nel giro di poco, a nessuna marcia indietro. E dunque maratone senza africani, e scuole senza insegnanti: ma con funzionari che anestetizzano generazioni.

Gli studenti di Rosa Maria Dell’Aria, consapevoli o no, ci impongono una scelta. O facciamo della loro professoressa una simpatica, amabile e innocua icona della democrazia, del coraggio e dell’antifascismo (come Gilas sopra), oppure quella democrazia, quel coraggio e quell’antifascismo che il video ha messo in circolo li esercitiamo quotidianamente.

La nostra categoria è ufficialmente sotto attacco, per il ruolo delicato e strategico che ricopre. È il momento dunque di iniziare forme di resistenza. E il primo atto è uscire dalla neutralità ed esporsi. Esporsi a favore dei diritti della Costituzione, dell’antifascismo e della tolleranza.

Occorre mettere in gioco tutte le strategie affinché le cose appaiano anche per quello che sono. Occorre preservare l’intelligenza suprema di quella ragazzina di tredici anni che tempo fa mi ha chiesto: ma davvero c’è voluto così tanto tempo, così tanti paesi e così tante trattative per salvare 49 disperati dispersi in mare? Non si faceva prima a farli attraccare? Sì, si sarebbe fatto molto prima. E si sarebbe speso meno, peraltro. Ma per farlo occorre creare una cultura che dia tutto questo per scontato.

Gli insegnanti sono i primi che devono svolgere questo compito. E da oggi, dopo l’atto di grave intimidazione subita, l’urgenza è ancora più forte. Non si può più rimandare. È ora di tornare in classe: come insegnanti e come cittadini. Democratici e antifascisti.

 

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