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Il bluff dell’uomo forte: sui fatti di Palermo non decide Salvini

 

Cosa c’entra dal punto di vista degli eventi, vale a dire di ciò che dovrebbe avere la massima rilevanza, il ministro Salvini con la sospensione della professoressa Dell’Aria?

Se vivessimo in un paese in cui l’obiettivo principale della stampa fosse quello di facilitare la comprensione della realtà, facendo chiarezza in merito a responsabilità, doveri e poteri delle istituzioni, sulla vicenda della sospensione dell’insegnante di Palermo forse non ci saremmo trovati ad attendere il pronunciamento del ministro dell’Interno. Soprattutto, avremmo trovato le sue prese di posizione a riguardo del tutto stonate e fuori luogo e anzi saremmo probabilmente portati a considerare i suoi interventi come una indebita ingerenza nel lavoro che spetterebbe a un altro ministro della Repubblica, in particolare al ministro dell’Istruzione.

Secondo le ricostruzioni dei fatti che sono circolate sulla stampa, il provvedimento di sospensione dell’insegnante di lettere è stato disposto dall’Ufficio scolastico provinciale di Palermo a seguito di una segnalazione partita da Facebook. Stando a quanto riferiscono alcune testate on-line (cfr. Link ; link) i contenuti postati da un attivista di destra sarebbero stati ripresi dal sottosegretario ai Beni Culturali, la leghista Lucia Borgonzoni, che sempre sui social network avrebbe dichiarato di aver segnalato i fatti a chi di dovere. Di qui gli accertamenti e la successiva ispezione, che hanno portato al provvedimento di sospensione per quindici giorni. Un provvedimento sui cui contenuti c’è ancora estrema confusione, dato che non si riesce bene a comprendere nemmeno se e chi lo abbia letto — ministri in testa — e tanto meno che cosa ci sia scritto. Ciononostante Salvini si recherà a Palermo con il ministro Bussetti per incontrare la professoressa Dell’Aria. In nome di che cosa, per fare cosa e dentro quale cornice istituzionale?

 

Occorre chiarire qualche passaggio. Primo: il ministro Salvini in questa storia c’entra solo nella misura in cui figura come tema nella ricerca realizzata dai ragazzi e per la quale si contesta alla professoressa di non aver vigilato, non ha alcuna competenza diretta in materia. Secondo: di là dalla pertinenza storica o meno dell’accostamento operato dai ragazzi, i contenuti della ricerca non possono avere alcun peso nella formulazione di un provvedimento disciplinare, dal momento che il power point è stato realizzato dagli studenti, che avrebbero potuto accostare Salvini (come chiunque altro) a qualsiasi cosa. Terzo: alla luce di questa ovvia considerazione, è solo il ministro Bussetti che si deve preoccupare di leggere il provvedimento di sospensione e chiedere ai propri funzionari di verificare la fondatezza o meno delle motivazioni a sostegno dell’azione disciplinare intrapresa. Spetta al titolare del Dicastero dell’Istruzione, di cui la professoressa Dell’Aria è dipendente, premurarsi di accertare le responsabilità di quello che sembrerebbe presentarsi come un intollerabile abuso e intervenire formalmente in modo diretto.

È del tutto evidente, quindi, che il ministro Salvini con le sue parole non può decidere chi lavora o non lavora in Italia, chi deve essere sospeso e perché, se e quando la professoressa dell’Aria potrà rientrare in classe, allo stesso modo in cui non è con le parole pronunciate quotidianamente a reti unificate che il ministro Salvini può disporre l’apertura o la chiusura dei porti. Servono atti, formalmente rispettosi delle leggi italiane, atti che non sempre spettano a lui, meno che mai nel caso dei fatti di Palermo. Anzi, dato che il ministro dell’Interno era coinvolto come tema della ricerca, rispetto istituzionale avrebbe voluto che restasse in silenzio o che almeno non entrasse nel merito di quello che andava o non andava fatto.

Va da sé che l’accreditarsi a mezzo stampa come colui al quale basta una parola per decidere oppure orientare decisioni accresce in molti la percezione che le cose stiano veramente così. Ecco, è importante ricordarci e ricordare (e sarebbe importante che anche la stampa lo ricordasse) che così non è affatto e che la costruzione di questa narrazione mediatica dell’uomo forte a cui basta una parola per decidere le sorti di noi tutti è semplicemente un bluff.

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