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diretto da Romano Luperini

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Elogio della letteratura

 

 La frase di Hesse citata in questo libro da Bauman – «se [Walser] avesse centomila lettori, il mondo sarebbe un posto migliore» potrebbe essere riferita anche a Elogio della letteratura (Einaudi, 2017, € 16). Si tratta di un libro-conversazione estremamente stimolante fra il noto sociologo, di recente scomparso, Zygmunt Bauman, e Riccardo Mazzeo. L’assunto principale del volume è che letteratura e sociologia «condividono il medesimo campo d’indagine, gli stessi temi e gli stessi argomenti nonché […] la vocazione e l’impatto sulla società». Il dialogo intenso e serrato fra questi due intellettuali felicemente non «soddisfatti», mette in scena il rapporto di fecondazione reciproca che deve stabilirsi fra le due discipline «sorelle». Significativamente, in un primo momento, gli autori avevano pensato come titolo a Sorella Letteratura. Sorelle dunque, anzi di più: gemelle siamesi, perché fisicamente inscindibili. Entrambe condividono l’obiettivo di squarciare il velo delle interpretazioni già formate, fornendo nuove letture del reale e dei suoi problemi decisivi. Questa simbiosi si costruisce sulla convinzione per cui «l’immaginazione nell’analisi è il destino comune di sociologia e letteratura».

Il nodo principale attorno a cui si avviluppano questi dialoghi è quello della trasmissione e della eredità. Con un’opportuna precisazione preliminare: «La trasmissione non è in alcun modo una clonazione». Grazie ad essa si accede a se stessi: «Come potremmo diventare noi stessi senza un’eredità, senza un maestro, senza la sua voce, senza un messaggio profondo?».

Il padre è nudo

«Il discorso neoliberale priva la ragione di potere “naturalizzandola”. Essere naturali significa non avere né una logica né uno scopo». Cosa succede quando il Mercato, esautorando la ragione, si appropria del meccanismo di trasmissione della cultura? Le vecchie agenzie educative – la scuola, la letteratura, gli intellettuali, la figura simbolica del padre – perdono l’aureola ed entrano in crisi. Nel libro vengono analizzati tutti questi smottamenti a partire dall’evaporazione del padre, divenuto ormai, mera parodia di se stesso – chissà se Bauman è riuscito a conoscere certi romanzi della Morante come L’isola di Arturo e Aracoeli. Un padre consegnato mani e piedi all’ideologia del consumo, e incapace quindi di autocontenersi in vista del bene superiore della famiglia, perde ipso facto la possibilità di esercitare in modo autorevole il suo ruolo.

Passiamo alla scuola. Se la società capitalista si basa sull’ingiustizia sociale, la scuola a sua volta finisce per farsene oggettivamente complice, nel momento in cui distribuisce in modo iniquo i beni preziosi delle «capacità». Queste ultime dovrebbero risultare per contro irriducibilmente estranee ai meccanismi della domanda e dell’offerta. Esse infatti «tendono a espandersi se le sfrutti, non a ridursi».

Anche la letteratura, quella non meramente digestiva e prefabbricata, oggi viene squalificata e si assiste al fenomeno della «perdita degli intercessori», cioè dei maestri che si assumano la responsabilità di guidare coloro che ancora balbettano lungo la strada della loro crescita umana, culturale, esistenziale, nel tentativo di renderli il più possibile autonomi, critici, e dunque liberi.

Narciso vs Pigmalione

Il «centro vuoto» dell’universo sociale capitalista viene rapidamente occupato dall’egemonia del Mercato. Ne forniscono la più dolorosa delle testimonianze i casi sempre più quantitativamente rilevanti dei cosiddetti «bambini latchkey [chiavistello]», lasciati spesso soli in una casa priva di adulti e destinati a far proprio – e qui Bauman cita Hotschild – un «“sé dato in appalto”: identità patchwork costituite, vagamente, di servizi (per lo più acquistabili) forniti dai vari esperti […] Fin dalla più tenera età i bambini tendono ad acquisire e ad espandere la loro dipendenza dalle indicazioni del mercato, nella speranza di trovarvi quei beni necessari alla vita, e ricette già pronte che spieghino loro come utilizzarli». La novità più sconcertante è che questi servizi «penetrano fino al cuore della nostra sfera emotiva», mentre il mercato «s’è fatto strada nei recessi più profondi della nostra concezione del sé», alimentando deresponsabilizzazione e insicurezze.

L’analisi dell’impatto dei nuovi media sulla vita di milioni di persone conduce gli autori a esplorare la questione del funzionamento attuale, quasi totalmente pervasivo, della società capitalistica e dei suoi ingannevoli simulacri. Gli autori si chiedono se non stiamo andando tendenzialmente verso una situazione di autismo generalizzato e diffuso. Vengono esaminati quindi, a partire da un libro della scrittrice croata Ugrešić, i concetti, connessi fra loro, della «cultura karaoke», per cui si cantano canzoni composte da altri, e dell’avatar, per cui gli adulti, regredendo all’infanzia, si adagiano in una «zona comoda», in cui possono consumare esperienze estetiche preconfezionate «senza rischio né conseguenze». Secondo Bauman il fascino dell’avatarizzazione risiede nel suo essere una forma aggiornata della reincarnazione. Con la fondamentale differenza che quest’ultima può accadere un’unica volta, mentre la prima può verificarsi ogni giorno, da un momento all’altro e per più volte. L’identità diviene merce fungibile soggetta al consumo.

In questo quadro si capisce bene come i protagonisti della conversazione, discutendo un saggio sicuramente stimolante di Stefano Tani, individuino nello schermo, nell’Alzheimer e nello zombie le metafore principali del XXI secolo. Queste metafore hanno come matrice comune l’autoreferenzialità e rimandano a quella che è la metafora madre dei nostri tempi: il mito di Narciso, che con la sua passività adorante e compiaciuta di se stessa, si oppone a Pigmalione, eroe della produzione e della creatività e simbolo dei passati secoli XIX e XX. Qui nasce una dicotomia molto netta fra la società altamente distruttiva del consumare e quella costruttiva del produrre. Schermo, Alzheimer e zombie metaforizzano il guardarsi, lo svuotarsi e il trasformarsi: «sono proprio i tratti distintivi, le tante sfaccettature, di Narciso. Sono il marchio di fabbrica della condizione esistenziale del vivere in una società di consumatori». Detto en passant, l’intuizione dello schermo dei moderni dispositivi tecnologici come specchio e scudo protettivo dall’alterità e dalla differenza è anche uno degli elementi narrativi più felici di un romanzo visionario e profetico come le Mosche del capitale di Volponi.

Una contraddizione “dura”

La moderna società di mercato, liquida e globalizzata, produce un’interessante contraddizione. Quel centro vuoto che essa crea al proprio interno, spodestando tutte le figure di intermediarii “virtuosi”, tende ad essere occupato anche da quella pericolosa «nostalgia della dittatura», che connota l’attuale proliferazione del nuovo tipo fascista. Nel libro si dedicano almeno un paio di capitoli al problema dell’autoritarismo moderno, a partire dagli spunti rinvenibili nelle opere di Jonathan Littel, Le benevole (2007) e Il secco e l’umido (2009), e di Alberto Garlini con il suo La legge dell’odio (2012). Entrambi esplorano l’universo psicologico del tipo fascista. Littel, citando uno studio di Thewelwit, suggerisce che il fascista «non ha mai effettuato compiutamente la separazione dalla madre»; egli è il «non completamente nato». Il fascista si costruisce, per sopravvivere, un Io-corazza, fatto di rigide chiusure, che parrebbe granitico, e che invece si rivela fragile, perché esteriorizza quelle forze interne da cui è più pericolosamente minacciato. Esse si materializzano al suo sguardo in una doppia immagine: «quella del femminile di cui non si è mai del tutto liberato (opposto al “maschile”) e quella della “liquidità” (l’opposto del solido e del “duro”)». Siamo al paradosso per cui l’attuale società «liquida», che Bauman più di chiunque altro ci ha insegnato a conoscere, diventa l’incauta levatrice dei suoi nemici più ciecamente violenti, addestrati come sono all’odio verso tutto ciò che è informe, brulicante, molle. Le inscalfibili certezze contro il sano dubbio della ragione.

Contravveleni

Sociologi e scrittori sono ben consapevoli del fatto che tutti viviamo nelle parole e nel discorso. E che infine la parola – secondo Saramago la «suprema creatrice di incertezze» – è l’unico strumento di cui essi dispongono per descrivere, interpretare e trasformare la realtà. Motivo per cui essa va preservata in tutti i modi dall’odierno deperimento del linguaggio, dalla sua ipersemplificazione e banalizzazione; tutte operazioni condotte allo scopo di ridurre quest’ultimo a mero strumento della «mercatizzazione» della società e della vita privata. Questo libro ci indica alcuni contravveleni. Il primo è l’uso pubblico della ragione, contro ogni tentativo di naturalizzare cultura e rapporti sociali. E poi un insegnamento consapevole della propria più profonda missione, che è quella di trasmettere l’amore per il sapere e il senso critico. Ma soprattutto la capacità, oggi apparentemente smarrita, di interrogarsi. Per Bauman infatti, noi viviamo in un mondo che ha smesso di interrogarsi. Ma la domanda possiede sempre una sua cruciale raison d’être: «costringere chi se la sente rivolgere a uscire da uno stato di indifferenza e ad assumere uno stato d’animo combattivo». A causa del dilagare dell’ideologia thatcheriana del “TINA”, e cioè del dogma per cui “non c’è nessuna alternativa” (there is no alternative) al mondo del capitale, il senso e gli scopi del ricercare in modo originale nuove soluzioni ai nuovi problemi, sembrano venire meno. «Il dilemma del nostro tempo si riduce all’abbandono, al rifiuto o all’incapacità appresa di interrogarsi. Ad avvizzire e languire è proprio l’arte del formulare domande».

Libri come questo Elogio della letteratura costituiscono un solido, preziosissimo contravveleno a questo degrado, in quanto pongono continuamente delle domande alla nostra condizione attuale, interrogano i fondamenti dei nostri saperi e i modi di cui disponiamo oggi per produrli e trasmetterli a chi verrà dopo. Scandagliano la moderna antropologia dell’umano in una «verificazione dei poteri» estenuante e disperata, ma necessaria.

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