Dopo il voto. Come fare buon uso delle rovine?
Craxi, Berlusconi, Renzi stabiliscono una sequenza che ha una direzione di sviluppo coerente e facilmente leggibile: cinismo, narcisismo, autoritarismo, esercizio del potere in quanto puro potere senza progetto o visione, hanno definito un modello di governo e insieme di società, proponendo e insieme rispecchiando un costume nazionale sempre più degradato sino all’imbarbarimento del razzismo aperto, della intolleranza, del fascismo ora strisciante, ora persino proclamato (ieri a Firenze hanno ammazzato un altro nero: un vero stillicidio). Anzi fra Craxi e Renzi bisogna registrare un progressivo peggioramento in quanto a levatura teorica e capacità di analisi e di progettazione.
Non è un problema solo italiano. Tutto l’Occidente, dagli Stati Uniti all’Europa, vi è pienamente coinvolto. Gli stati di borghesia tradizionalmente più ricca e solida e con istituzioni culturali più radicate possono ancora trovare fra i propri leader un Obama o un Corbyn, ma si tratta di casi sempre più rari. Trump, Le Pen, Salvini sono gli uomini che interpretano meglio questa dilagante involuzione. La legge del mercato, della merce, del consumismo, dell’imperialismo delle multinazionali ha imposto dovunque modi di comportamento improntati al narcinismo dominante, all’egoismo, alle varie forme di un individualismo massificato dove ciascuno è solo (“desocializzato”, come si dice) in un deserto di valori e dove dominano quasi incontrastata la regola dell’homo homini lupus, la mancanza di solidarietà, la spietatezza della concorrenza, la vigliaccheria delle false notizie e degli assalti anonimi sui socials. E intanto nel mondo la ripartizione della ricchezza ha raggiunto negli ultimi anni divari spaventosi: pochi grandi capitalisti e finanzieri diventano sempre più ricchi e possiedono ormai il 90% della ricchezza mondiale, mentre i più diventano sempre più poveri e devono distribuirsi il 10% che resta; mentre interi continenti, come l’Africa, colpita dai cambiamenti climatici prodotti dalle nazioni ricche dell’Occidente e stremata da secoli di colonialismo, si spopola per la sete, la desertificazione, la fame, le malattie, la mancanza di lavoro. Questa è la globalizzazione, no?
Il risultato delle elezioni è la conseguenza di tutto questo. Non è sparita solo la sinistra, come si dice. E’ scomparsa una civiltà.
I nuovi tempi sono rappresentati in Italia dai due vincitori, Salvini e Di Maio. Il primo si fa forte della propria rozzezza, della propria brutale capacità semplificatrice, della ripetizione a raffica degli stessi slogan. Ha intuito giustamente (non ci voleva molto, d’altronde, anche se Renzi non se ne era accorto) che l’emigrazione è il fenomeno dirompente del nostro secolo e cavalca la logica del potere che è sempre quella della divisione e della sopraffazione, della guerra fra i poveri, ieri quella della vandea contadina contro gli operai, oggi quella delle periferie abbandonate delle nostre città o dei nostri borghi contro i neri venuti da fuori, si dice, a uccidere, insudiciare, violentare.
Quanto al movimento 5 Stelle, la sua stessa inesperienza, persino la sua ingenuità o improntitudine o “incompetenza”, anche l’essere privi di un passato, sono apparsi una garanzia rispetto alle sperimentate inettitudini e alle squallide prove già fornite dalle vecchie volpi dei partiti tradizionali al potere da decenni. Inoltre hanno partecipato alle elezioni con due capi abilmente scelti dagli strateghi, maestri delle comunicazioni di massa, Casaleggio e Grillo, un industriale capofila nel mondo della informatica e un comico esperto nel vellicare la pancia del suo pubblico. I due capi hanno presentato due volti diversi, anzi opposti, ma complementari (per ora, almeno): quelli di Di Battista e di Di Maio. Una double face, insomma: la faccia di Che Guevara e quella di Forlani. Uno scamiciato e simpatico arruffapopoli, e un algido abatino. Le due facce hanno inviato due messaggi diversi che si sono sommati, non elisi fra loro: quello del rinnovamento radicale e quello della sostanziale continuità del sistema, quello “rivoluzionario” (si fa per dire) e quello conservatore e democristiano, quello del “vaffa” e quello rassicurante e in doppio petto. Certo è servito a rastrellare voti, soprattutto nel sud, la proposta del reddito di cittadinanza (circa 750 euro), cioè dell’assistenzialismo che nel Meridione ha sempre marciato forte. Proposta in sé giusta e già attuata in alcuni paesi di Europa, ma con una differenza. In quei paesi il salario minimo è sui 1400-1500 euro. Da noi, nel sud, i pochi che hanno la fortuna di lavorare prendono da 500 a 1000 euro al mese, ed è comprensibile che ne preferirebbero 750 senza far nulla.
Quanto questa doppia identità potrà sopravvivere senza provocare attriti e tensioni interne? E’ vero che, nonostante l’apparente innovazione dello stile politico, anche il movimento Cinque stelle obbedisce alle logiche leaderistiche e autoritarie del “capo” non diversamente dalle formazioni guidate da Berlusconi o da Renzi (parola terribile, “capo”, che in Italia sinora era stato stata pronunciata solo dai fascisti per Mussolini; e che ora venga sdoganata dai Cinque Stelle dovrebbe far riflettere), e che Grillo, Casaleggio e Di Maio si affrettano a espellere i dissidenti prevenendo le rotture e le tensioni interne. Ma quanto può durare?
Ci aspettano tempi bui, i più bui dal dopoguerra a oggi. Ma contraddizioni politiche su cui lavorare non mancheranno, a partire da quella fondamentale rappresentata dall’emigrazione (soprattutto quella dal Sud e dall’Est del mondo, ma anche quella dei nostri giovani all’estero), un fenomeno da cui non potrà non tener conto qualunque strategia di rinnovamento radicale dell’Occidente.
Ma soprattutto accorre ripartire dalla scuola, dalla educazione, da gruppi, per così dire, di ecologia della mente, che lavorino a ricostituire dal basso le basi di una socialità e di una cultura alternativa. Occorrerà imparare a fare “buon uso delle rovine” (Fortini), a riconoscere le contraddizioni fondamentali, a rifondare nuove categorie di analisi e di progettazione (riflettendo, per fare un solo esempio: sulla forma partito e sulla democrazia diretta, tema sollevato dai 5 Stelle e da loro poi rapidamente rinnegato: fra “uno vale uno” e la scelta, anzi la nomina, di un “capo”, di acqua ne è passata sotto i ponti). Tutto ciò, lo so, è ancora molto generico e comunque molto difficile a farsi, ma forse non impossibile. Anzi può essere persino positivo che i falsi simulacri della sinistra siamo scomparsi e che niente più del vecchio mondo sia restato in piedi. Dissolta la polvere delle macerie, l’orizzonte sarà magari più pulito.
PS D’Alema, che aveva dichiarato con sicumera “noi di LEU non siamo Democrazia proletaria”, ha preso suppergiù i voti di quella formazione che pure (si era agli inizi degli anni ottanta) non aveva certo a propagandarla gli schermi della TV che non sono mancati a lui e all’onesto e balbettante Grasso. La storia a volte si vendica con ironia.
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Il voto del Meridione e gli sdegni della Sinistra
Questa di Romano Luperini è una delle poche analisi serie del risultato elettorale che ho avuto modo di leggere. Quasi tutti i commenti post-voto comparsi sui social e sulle colonne “di sinistra” (usiamo convenzionalmente questo termine bisognoso di urgente approfondimento) sono state reazioni indignate contro l’ignoranza della massa, popolo di analfabeti cui non si possono affidare decisioni importanti (qualcosa di simile anche dopo l’esito del referendum costituzionale). Prevale una concezione insopportabilmente elitaria della politica, nell’equivoco che pochi ottimati sappiano cosa è il meglio per la collettività: concezione che a me pare improponibile per chi si dice di sinistra. Bisognerebbe piuttosto sforzarsi di capire le ragioni di una scelta. Il Meridione è un territorio bellissimo (di una bellezza struggente, che le trivelle sulla coste adriatiche e siciliane stanno azzerando) massacrato da sfruttamento, disoccupazione, e cattivo lavoro (peggiorato, quest’ultimo, da tutte le controriforme succedutasi nel tempo, dalla Treu, alla Biagi, alla peggiore di tutte, il job act). Dove lobbies malavitose, imprenditoriali, politiche, accademiche hanno costruito un intreccio di potere ormai consolidato e impossibile da scalfire. Il Movimento 5 Stelle (su cui condivido tutte le riserve espresse nell’articolo) ha vinto, è vero, per la sua “ingenuità” o “incompetenza”: cioè, in altri termini, per non avere (ancora?) un sistema di potere consolidato. Però, certe volte, c’è bisogno di una valanga, di uno tsunami, per azzerare tutto e ripartire senza più equivoci. Ho apprezzato molto la conclusione dell’articolo di Romano.
Poi, certo, il Meridione e’ povero (oggi sembra sia una colpa): la promessa di un reddito di cittadinanza può aver pesato. Ma non è tutto qui (e la notizia della plebaglia affamata che avrebbe preso d’assalto i Caf è un’ignobile, offensiva fake news). Si sbaglierebbe non vedendo quanto di ribellione, di protesta, di rabbia (sì, anche di rabbia) ci sia in questo voto. Spero che la sinistra non sia tanto imbolsita da non comprendere più queste passioni.
Anna Drago