Appello per la scuola pubblica
Sul sito Appello per la scuola pubblica è stato pubblicato un documento scritto da un gruppo di insegnanti e già sottoscritto da oltre 350 firmatari. L’appello tocca punti didattici e culturali nodali, per cui ci sembra utile condividerlo, nell’auspicio che su questi temi si possa aprire un confronto serrato.
Premessa
L’ultima riforma della scuola è l’apice di un processo pluridecennale che rischia di svuotare sempre più di senso la pratica educativa e che mette in pericolo i fondamenti stessi della scuola pubblica. Certo la scuola va ripensata e riformata, ma non destrutturata e sottoposta ad un processo riduttivo e riduzionista, di cui va smascherata la natura ideologica, di marca economicistica ed efficientista.
La scuola è e deve essere sempre meglio una comunità educativa ed educante. Per questo non può assumere, come propri, modelli produttivistici, forse utili in altri ambiti della società, ma inadeguati all’esigenza di una formazione umana e critica integrale.
È quanto mai necessario “rimettere al centro” del dibattito la questione della scuola.
Come? In tre modi almeno:
- a) parlandone e molto, in un’informazione consapevole che spieghi in modo critico i processi in corso;
- b) ricostituendo un fronte comune di insegnanti, Dirigenti Scolastici, studenti, genitori e società civile tutta; e, soprattutto,
- c) riprendendo una lotta cosciente e resistente in difesa della scuola, per una sua trasformazione reale e creativa.
Bisogna chiedersi, con franchezza: cosa è al centro realmente? L’educazione, la cultura, l’amore per i giovani e per la loro crescita intellettuale e interiore, non solo professionale, o un processo economicistico-tecnicistico che asfissia e destituisce?
7 temi per un’idea di Scuola
da leggere come studente, genitore, insegnante, cittadino
- Conoscenze vs competenze
Una scuola di qualità è basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle discipline. Letteratura, Arte, Scienza, Storia, Geografia, Filosofia, in tutte le loro declinazioni, sono la chiave di lettura del mondo, della società e del nostro futuro. Una reale comprensione del presente e la trasformazione della società richiedono riferimenti che affondano le radici nella storia, nelle opere, nelle biografie e nell’epistemologia delle discipline.
Crediamo che:
- Aggregare compiti e prestazioni degli allievi attorno a competenze predefinite e standardizzate annienti l’organicità dell’educazione, riduca la complessità del mondo ad un “kit di pratiche”, che tali restano, anche con l’appellativo onorifico di “competenze di cittadinanza”.
- La competenza, unica e trasversale, si consegua nel tempo, nello spazio sociale, nei contesti comunicativi affettivo-cognitivi. La cittadinanza, a cui le competenze comunitarie aspirano, non è un insieme di rituali individuali da validare e certificare. Cittadinanza è “operare in comune”.
- Non ha senso misurare “livelli di competenza” degli studenti, da attestare in una sorta di fermo-immagine valutativo. Il sapere non si acquisisce mai definitivamente. È continuamente rinnovato dalla maturazione, consapevolezza, interiorità, ricerca singolare e plurale, approfondimento di contenuti e pratiche.
- Innovazione didattica e tecnologie digitali
Innovare non è bene di per sé, tantomeno in campo educativo. La didattica “innovativa” o digitale, oggi presentata come primaria necessità della Scuola, non vanta alcuna legittimazione scientifica né acquisizione definitiva da parte della ricerca educativa. Innovazioni e tecnologie, nelle varie accezioni global-ministeriali (debate, CLIL, flipped classroom, etc), rappresentano un insieme di “riforme striscianti” che demoliscono pezzo a pezzo l’edificio della Scuola Pubblica dal suo interno. Servono piuttosto innovazioni in tutt’altra direzione, che sappiano valorizzare inoltre l’interculturalità, la creatività e l’immaginazione, il pensiero critico e quello simbolico, nella didattica così come nell’impianto complessivo della scuola.
Crediamo che:
- Ogni innovazione metodologica o tecnologia digitale sia un possibile strumento di ampliamento e accesso a contenuti e conoscenze. Sul loro impiego l’insegnante è chiamato a riflettere e valutare in maniera incondizionata e libera. Codificare pratiche e metodi, presentati come la priorità della Scuola, è una semplificazione retorica arbitraria, corrispondente ad un preciso modello culturale preconfezionato, che ridefinisce finalità e ruoli dell’istruzione pubblica in ossequio a un’ideologia indiscussa.
- L’inflazione di innovazioni didattiche (in particolare il CLIL) e gli sperimentalismi digitali offrono spesso narrazioni impazienti ed elementari (mappe, slides, video, “prodotti”, progetti), propongono procedure stereotipate e associazioni banali, con grave danno per gli studenti e la loro crescita culturale, interiore e sociale.
- Non è con il mero ingresso di uno smartphone in classe che si migliora l’apprendimento o l’insegnamento. Si può, certo, aderire a un modello, attualmente dominante: quello che sostiene l’equazione cambiamento=miglioramento e digitale=coinvolgimento. Miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento passano per altre strade, quelle dell’attuazione del dettame della nostra Costituzione.
- Lezione vs attività laboratoriale
Nell’era di instagram, twitter e dell’ e-learning, la relazione e la comunicazione “viva” allievo/insegnante – nella comunità della classe – rappresentano fortezze da salvaguardare e custodire. La saldatura del legame intergenerazionale, la trasmissione coerente di conoscenze, percorsi e temi, il dialogo incalzante, la maieutica, la circolarità, la condivisione di interpretazioni e scelte linguistiche, il problematizzare insieme, l’attenzione ai tempi, alle reazioni di sguardi e comportamenti. Tutto questo è fare lezione, un incontro fra persone in cammino in una comunità inclusiva. Gli appellativi di “frontale”, “dialogata”, “laboratoriale” sono rifiniture burocratiche che non ne intaccano la sostanza. Una lezione può e deve essere un laboratorio educativo, di crescita e partecipazione, di scambi fra tutti e cambiamenti di ciascuno, insegnante incluso.
Crediamo che:
- L’insegnante, come educatore, sia responsabile e garante di quell’ “incontro” che dà senso e valore ai fatti culturali della propria disciplina. La relazione di pari dignità ma asimmetrica tra maestro e studente, nel microcosmo della collettività di classe, permette agli allievi di imbattersi nel non conosciuto, di praticare l’incontro con la difficoltà del reale e del vivere in comunità, di aprire un orizzonte culturale diverso da quello familiare o sociale.
- Attenzione concentrata, aumento dei tempi di ascolto, sono condizioni per un “saper fare” come “agire intelligente”, che non si consegue assecondando l’uso delle tecnologie o seducendo gli alunni con dispositivi smart, ma in contesti di applicazione laboriosa, tempo quieto per pensare, discussione nel gruppo.
- Scuola e lavoro
Non si va a scuola semplicemente per trovare un lavoro, non si frequenta un percorso di istruzione solo per prepararsi ad una professione. Dal liceo del centro storico al professionale di estrema periferia, la scuola era e deve restare, per primo, un “luogo potenziale” in cui immaginare destini e traiettorie individuali, rimettere in discussione certezze, diventare qualcos’altro dalla somma di “tagliandi di competenza” accumulati e certificati. L’apertura alla realtà sociale e produttiva può realizzarsi, volontariamente, attraverso forme e progetti di scambio organizzati autonomamente dagli istituti scolastici. Non imposti ex lege dal combinato Jobs Act e Buona Scuola. Pratiche calibrate in base ai contesti e alle finalità educative, che in nessun modo gravino sulle famiglie o sugli allievi in termini di sostenibilità e gestione.
Crediamo che:
- L’alternanza scuola lavoro non rappresenti affatto un’opportunità formativa per i ragazzi, quanto piuttosto una surrettizia sperimentazione del “lavoro reale” che entra fin dentro i curricula scolastici, sottraendone tempo e qualità e distorcendone le finalità.
- Oltre ad approfondire il solco tra sapere teorico e pratico, alternanza è sinonimo di disuguaglianza. Percorsi ineguali in base a contesti, tessuti sociali e reti familiari, che peggiorano in proporzione alla fragilità delle condizioni economiche e delle opportunità culturali di luoghi e famiglie.
- Bisogna recuperare l’idea di Scuola come luogo della vita dotato di un tempo e spazio propri, non corridoio di passaggio tra infanzia e adolescenza – considerate età “minori” – e occupazione adulta.
- Sia necessario portare la conoscenza del lavoro nelle classi, non gli studenti a lavorare. Logiche, dinamiche e problematiche dell’occupazione entrino nel dialogo educativo, per aiutare i giovani ad orientarsi, attrezzarsi a comprenderle e intervenire per modificarle.
- Metrica dell’educazione e della ricerca
Educazione e ricerca accademica sono oggi terreno di confronto tra tutti i soggetti sociali, politici, economici ad esse interessati. Gli orientamenti internazionali delle politiche formative e di ricerca lo testimoniano e innescano una competizione globale in cui ranking internazionali (OCSE) e nazionali (INVALSI, ANVUR) comprimono gli scopi formativi e di studio sulla dimensione apparentemente neutra di “risultato”, oltre ad indurre a paragoni privi di rigore logico. Educazione e ricerca universitaria non sono riducibili ad un insieme di pratiche psicometriche globali, a cui sottoporsi in nome del principio di etica e responsabilità. Il futuro della Scuola e dell’Università sono questioni politiche nazionali, da collocare in un contesto europeo e interculturale di confronto e valorizzazione delle differenze, libero e democratico.
Crediamo che:
- Scuola e Ricerca universitaria siano oggetto di vera e propria “intimidazione matematica”, da parte di organismi internazionali e nazionali.
- La logica dell’adempimento e della competizione azzerino il lavoro di personalizzazione nella formazione scolastica ed erodano progressivamente spazi di progettualità libera nella ricerca universitaria (attraverso la sottomissione a criteri di valutazione non condivisi).
- Le scelte operate da MIUR, INVALSI ed ANVUR, modifichino profondamente comportamenti e strategie nelle Scuole e nelle Università, generando condotte di mero opportunismo metodologico-didattico e scientifico nonché la perdita di “biodiversità culturale”, strumento indispensabile per affrontare le complessità del futuro, oggi imprevedibili.
- Valutazione del singolo, valutazione di sistema
La valutazione degli studenti è impegno unico, qualificante e delicato dell’insegnante, condiviso con la comunità dei docenti e dei discenti, consapevoli del cambiamento tipico dei processi di apprendimento. È un’osservazione “prossimale” (e responsabile) modulata su tempi lunghi, sull’evoluzione del singolo allievo, delle pratiche di insegnamento, del gruppo, del contesto. È impensabile che enti terzi, estranei al rapporto educativo, entrino nel merito della valutazione formativa, come previsto dalla Buona Scuola. Singolarmente anacronistico appare che, dopo decenni di ‘crisi del fordismo’ in economia, si voglia introdurre la ‘fordizzazione’ nell’educazione. Le menti, soprattutto durante le prime fasi della formazione, sono delicate, creative e si conciliano con “tempi e metodi” d’antan assai meno delle berline.
Crediamo che:
- Accostare una valutazione esterna a quella del corpo docente nel “curriculum dello studente”, mini la relazione di fiducia scuola-famiglia, spostando l’attenzione sull’esito, più che sul processo e sul percorso, togliendo ogni significato agli obiettivi di personalizzazione ed inclusione che la Scuola afferma di perseguire;
- Un’agenzia “terza” (INVALSI) non possa svolgere compiti di valutazione e di ricerca pedagogico-didattica orientanti programmi e curricola: la terzietà non è, inoltre, comparabile con gli incarichi affidati dal MIUR per la valutazione (diretta e indiretta) di docenti e dirigenti attraverso meccanismi di primalità.
- La presenza di organismi esterni nella valutazione del singolo rappresenti un’espropriazione di quella responsabilità complessa, raffinata negli anni con l’esperienza e la condivisione collegiale, della professionalità di ogni insegnante: la valutazione dei propri studenti;
- Inclusione e dispersione
La dispersione scolastica, l’inclusione autentica e la riduzione delle disuguaglianze necessitano di interventi politici sistematici, di fondi strutturali, impegni comunitari, di monitoraggio costante, conoscenza e capitalizzazione delle pratiche esistenti. A partire da investimenti e piani territoriali: infrastrutture, associazioni, biblioteche; fino ad arrivare a Scuola, con risorse costanti per costruire una fitta ed efficiente rete di recupero dei disagi, delle solitudini e delle difficoltà degli allievi più fragili. Se è vero che la Scuola e i buoni insegnanti fanno la differenza, è ancor più vero che la dispersione ha una sua mappa che si sovrappone a quella geografica ed economica dei tessuti degradati e delle periferie impoverite, di situazioni e storie difficili da ribaltare e sui cui incidere. Dare alle Scuole risorse e spazi adeguati alla costruzione di didattiche di recupero e opportunità di accoglienza non è sperpero di denaro pubblico, ma progettazione politica di inclusione autentica, unica vera prospettiva di crescita e ricchezza del paese.
Crediamo che:
- I temi in gioco siano cruciali e non ci si possa limitare a chiedere alla Scuola di fare meglio solo con ciò che ha. Semplificare compiti e programmi, organizzare corsi di recupero pomeridiani che ricalchino quelli antimeridiani, medicalizzare le diversità, sono scorciatoie che restano agli atti come prove burocratiche di adempimenti amministrativi;
- La Scuola abbia un valore politico. Dunque ha il diritto di chiedere di indirizzare risorse pubbliche su questioni di importanza sociale e morale che ritiene prioritarie. Dispersione scolastica e abbandoni precoci non sono solo capi d’imputazione su cui è chiamata a rispondere, ma problematiche che nelle attuali condizioni assorbe e subisce.
In virtù di queste considerazioni, chiediamo un’azione di moratoria su:
- Obbligo dei percorsi di ASL e del requisito di effettuazione per l’accesso all’esame di maturità;
- Obbligo di impiego metodologia CLIL per lo sviluppo di una disciplina in lingua straniera;
- Uso dei dispositivi INVALSI a test censuario per la valutazione degli esiti scolastici, obbligatorietà della somministrazione funzionale all’ammissione agli esami di licenza del primo e secondo ciclo;
- Modifiche relative all’Esame di Stato, che renderebbero di fatto sempre più marginale la didattica disciplinare.
Chiediamo l’apertura di un ampio dibattito governo- Scuola di base- OOSS-cittadinanza sulle questioni di cui al punto precedente e su tutto l’impianto della Legge 107/2015.
___________________
NOTE
Chi desiderasse conoscere l’elenco dei firmatari può consultare questo sito. Chi volesse sottoscrivere il documento può farlo a questo link.
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Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Dottore di ricerca in Fisica
Su ASL, il grande Barbero, storico del medioevo, ha rilasciato una intervista di chiarezza esemplare. Ritorniamo al privilegio di studiare, per tutti.
Articolo critico sull’appello
Segnalo il seguente articolo di Cristiano Corsini critico su alcuni punti dell’ “appello per la scuola pubblica”, in particolare afferma “Ci sono, ripeto, alcune cose condivisibili nell’Appello, ma questo parte contrapponendo «competenze e conoscenze» e dichiarando che non avrebbe senso misurare «livelli di competenza degli studenti» perché «il sapere non si acquisisce mai definitivamente». Contrapporre competenze e conoscenze è insensato, chi spaccia la didattica per competenze come una didattica contraria ai contenuti disciplinari o è male informato (o mal formato, magari a causa di una pessima formazione docenti in materia) oppure è in malafede. L’appello mi pare un generico attacco ad alcuni aspetti della scuola (e in parte è condivisibile proprio da questo punto di vista), ma non mi sembra che proponga alcuna idea di scuola, eccetto vaghi richiami a una “scuola buona” del passato (come al solito il ricordo cambia in meglio) da contrapporre alla “buona scuola” renziana. Credo che sia il caso di uscire da questa falsa alternativa.” http://cristianocorsini.net/cultura%20della%20valutazione.html
Docente
Grazie a questo appello ho smesso di essere depressa e sconfitta da tutta questa innovazione devastante che ci ha sommerso in modo autoritario e senza darci respiro fisico e mentale.
Grazie a questo appello sto ri-leggendo e ri- informandomi sui reali significati di alcune effimere innovazioni.
Sto leggendo tutto quello che afferma Giorgio Israel.
Lo consiglio a tutti.
RIAPRIAMO LA DISCUSSIONE E CONFRONTIAMOCI SU QUESTI ULTIMI ANNI DOVE LE BUONE E NUOVE PRATICHE DIDATTICHE SONO ESATTAMENTE UGUALI O PEGGIORI DI QUELLE DEL PASSATO.
La scuola continua ad approvare e realizzare progettini utili solo a creare vetrine addobbate di burattini ” competenti” dove i fili sono ostentazione, forzatura e apparenza.
Non lavoro per creare burattini o maschere: lavoro per creare teste e sono troppo consapevole che ogni apprendimento costa fatica a me e all’allievo. Costa fatica organizzare il lavoro, fare le scelte giuste, semplificare, integrare ogni conoscenza.
Perché mentre lavoro devo pensare alle “competenze”…. penso solo: ” C’è quasi? Se ha capito questo posso procedere, se ha capito procedo con altre conoscenze e quando sono certa dell’abilità raggiunta propongo relazioni e tematiche anche pluridisciplinari”.
QUESTO LO FACCIO DA 39 ANNI.
Note critiche
Nella PREMESSA tutti i
progetti di riforma sono messi insieme senza distinzione e valutati
negativamente, ma dal resto del documento si capisce che l’obiettivo
polemico è la “buona scuola”, anzi alcuni provvedimenti della buona
scuola: vale la sineddoche, si boccia l’intero progetto di riforma
citandone solo alcuni aspetti. NON VENGONO PER ESEMPIO RICORDATI: la
revisione del percorso di formazione e reclutamento dei docenti, più
funzionale dei tirocini formativi attivi (Tfa); il riordino del settore
del sostegno; il rafforzamento dell’istruzione tecnica superiore; la
tentata risoluzione del problema pesantissimo del precariato. Tutto
questo viene ignorato, liquidato pregiudizialmente come frutto di una
visione neoliberista e aziendalistica. Sembra quasi che ci si debba
vergognare di accettare qualcosa della “buona scuola”.
Nelle
dichiarazioni generali si parla di DIFESA DELLA SCUOLA: intendendo
difesa della scuola di una volta, come si evince da tutto il documento.
Si preconizza il dialogo, e il dibattito sulla scuola: chi potrebbe non
essere d’accordo? Ma è strano, e anche avvilente, constatare che gli
estensori e i firmatari del documento- insegnanti di scuola e
d’università esperti- sembrano convinti che di approfondimento sui
problemi della didattica e della scuola non ce ne sia stato in questi
anni. Vorrei allora ricordare loro le tante associazioni di insegnanti
da tempo lavorano a tutti i livelli (per esempio l’MCE, il CIDI,
l’AIRDM, di matematica, o l’Adi-sd per le competenze della letteratura),
che si sono riuniti, hanno discusso, scritto articoli e libri, e anche
hanno proposto e attuato rinnovamenti nei curricoli, e nella didattica e
se Dio vuole hanno smosso il dibattito lontano dalle secche di una poco
sensata opposizione competenze-conoscenze! E si potrebbe anche
riconoscere che negli ultimi due anni, grazie anche alla famigerata B.S
e all’obbligo dell’aggiornamento, si sono riattivati seminari e momenti
di aggiornamento aperti a tutti, non solo ai più motivati.
L’INNOVAZIONE: se innovare di per sé non è un bene, neanche il suo
contrario lo è. E non è che usare un’espressione in inglese, o un
acronimo, faccia di una pratica o di un metodo una pericolosa tecnologia
ultramoderna. La _flipped lesson_ per esempio si ha quando, prima di
discuterne con l’insegnante a lezione, gli studenti si sono preparati su
un argomento: pratica distruttiva? Il _CLIL_ è lo sviluppo di una
materia non linguistica in lingua straniera, da attuarsi entro l’ultimo
anno dei Licei o dei tecnici. Un attentato al primato della lingua
italiana?
_Ma poi di cosa parliamo_? I firmatari dell’appello sono
convinti che le temibili innovazioni dominino davvero nelle scuole
italiane, in cui spesso trovare una sola LIM o anche un’aula video è una
vera e propria impresa? E pensano davvero che solo le lezioni
cattedratiche siano le più idonee a realizzare l’uguaglianza di
opportunità promossa dalla Costituzione? E, a questo proposito, non
sarebbe meglio essere più precisi e propositivi su cosa vuol dire
“attuare i dettami della Costituzione?” Tra l’altro, colgo una
contraddizione nel documento che invoca da una parte l’attenzione al
singolo studente, ai suoi tempi (tempi che, si dice, non possono essere
monitorati e imposti da enti esterni), alla relazione che si instaura
con l’insegnante, alla creatività – il che sembra voler ovviare al
problema della selezione; dall’altro una riproposizione di modalità di
lavoro che piuttosto implicano maggiore rigidità e selettività -la
lezione frontale, l’insistenza sulle conoscenze e sul mantenimento delle
tre prove dell’esame di stato.
RAPPORTO INSEGNANTE-ALLIEVO. Dietro
le affermazioni che volano alto sul rapporto allievo- insegnante ci sta
una visione molto individualistica, sia per quanto riguarda le scuole
sia per quanto riguarda gli insegnanti. Verso cui, mi verrebbe da dire,
c’è un atteggiamento un po’ adulatorio. Timore della didattica, della
tanto discussa pedagogia. Di qualsiasi giudizio che venga da fuori, come
se quello dell’insegnante fosse insindacabile. Non si dà alcun
suggerimento su formazione-reclutamento- verifica- valutazione degli
insegnanti.Aggiungo che, visto quanto detto sulle conoscenze, l’accento
posto sull’ascolto significa anche una sottolineatura della lezione
frontale. Dunque, domina la restaurazione, la difesa, la chiusura piena
di sospetto verso l’esterno.
QUANTO ALL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO,
ESSA _è da tempo _(ben prima della “buona scuola”) una realtà nelle
scuole tecniche e professionali, ci se ne accorge e ci se ne lamenta
solo ora che è stata estesa, in forme peraltro mitigate, ai licei. Non
si può non vedere in questo un persistente classismo, il solito vecchio
dualismo fra scuole tecniche e licei: come se ai liceali potesse far
male di affacciarsi al mondo del lavoro, al di là della gamma delle
materie offerta dalla scuola! Certo ci sono dei problemi seri da
risolvere, vere e proprie sfide. La verifica di queste esperienze, che
devono essere formative, la loro collocazione anche d’estate, forse una
diminuzione delle ore.. Ma non succede spesso che riforme, anche buone,
debbano essere migliorate, corrette, aggiustate? Non cadiamo
nell’errore, purtroppo spesso ripetuto, di incrociare le braccia
rifiutando in partenza di impegnarsi per poi dire: “Vedete? NON
funziona! Lo dicevo io”…
Paola Raspadori
A Paola Raspadori
Gentile Paola Raspadori, è esattamente il contrario: qualche matto/a come me vorrebbe che scuole tecniche e licei possano essere messe sullo stesso piano, eliminando l’alternanza scuola / lavoro negli istituti di ogni ordine e grado. Perché dovunque, in qualsiasi indirizzo di studio, si tratta di una frode ai danni degli studenti, cui viene sottratta la possibilità (l’unica possibilità, in molti casi) di una formazione di livello alto, che richiede necessariamente ore di studio in classe: sapere, non sempre e soltanto “saper fare”. Ovvero il tristissimo, conformistissimo ritornello, diventato verità indiscutibile, cui ci ha abituato il pensiero unico. Forse perché in questo modo si forgiano individui già assuefatti alle leggi aziendali, quelle del mercato del lavoro. Non è questo il compito della scuola pubblica. Semmai il contrario, quello di formare individui liberi e dotati di senso critico. E, a giudicare dalle vibrate proteste degli studenti contro l’alternanza scuola/lavoro, direi che (a dispetto di tutto, nonostante i continui colpi che continua a ricevere da pessime leggi) la scuola ci sta riuscendo.
Anna Drago
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Discussione
RIAPRIAMO IL DIBATTITO
La mistificazione della scuola è sempre dietro l’angolo.
Cosa si vede di veramente innovativo in queste riforme degli ultimi decenni?
Non è cambiato niente: anzi si è peggiorato.
Non sono favorevole alla conservazione di una scuola nozionistica e cumulativa di contenuti.
Ma spiegate bene a livello concettuale la differenza sostanziale tra contenuti e conoscenze e poi la competenza forse la includiamo?
Contenuti: Napoleone giusto
Conoscenza Napoleone = concetto d’impero, imperatore, conqusta territoriale…possibile allargare ad altri imperatori e imperi e analizzare parallelamente passati lontani e vicini.
Ma se non si capisce che la storia di Napoleone non è un memorizzare le sue imprese belliche, ma capire le relazioni sociali, politiche, organizzative apportate in Europa, la scuola ha perso profondamente il suo obiettivo di formare teste.
Se molti insegnanti continuano a pensare che il libro di testo detta il programma e lo studio memonico, che senso ha fare la rivoluzione pedagogica e didattica.
Aiutatemi a capire: perché esistono ancora i libri di testo mono disciplinari? Perché a me mi dicono che devo insegnare una disciplina chiamata italiano? Perché dopo devo “destrutturare” la disciplina e “scioglierla” in altro? Perché devo riferirmi a un curricolo per competenze vago e generalista? Perché tutti i curricoli alla fine si declinano in curricoli disciplinari uguali e forse peggiori delle programmazioni dell’”85?
Perché l’innovazione non parte dagli strumenti ordinari (libri non più di testo, ma libri molteplici (da leggere veramente) al servizio degli insegnanti e degli allievi e dei genitori, documenti ministeriali chiari e utili per applicare innovazione, ambienti di apprendimento strutturati concretamente per attivare laboratori logici e mentali, apertura di tutte le scuole oltre l’orario, senza limiti di inclusione e accettazioni di chiunque voglia indagare, capire e fare? Combinazione di gruppi eterogenei e omogenei in rapporto a criteri stabiliti per migliorare relazioni e apprendimenti… ?
Perché la Gelmini ha proposto l’insegnante unico alla primaria e oggi mi trovo in classe più docenti di prima?
Perché nella certificazione per le competenze della primaria i descrittori sono quasi uguali ai giudizi sintetici che io stessa scrivevo nelle schede di valutazione prima dell’evento delle didattica per “COMPETENZE”:
“…….interagisce nel rispetto di ruoli e regole: sa esprime le proprie opinioni considerando i diversi punti di vista; si fa carico dei problemi altrui aiutando chiunque. Argomenta con pertinenza, completezza di idee,apportando contributi validi alla riflessione collettiva e di gruppo. Applica metodi e strumenti personali in modo autonomo e costruttivo. Ha raggiunto un ottimo……”
Competenze dal Profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione
” Ha una padronanza della lingua italiana che gli consente di comprendere enunciati, di raccontare le proprie esperienze e di adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni”…
Dov’ è la documentazione che attesta questo? A chi dico che il livello raggiunto è massimo o minimo? A molti insegnanti delle medie che fanno fare quattro testi scritti all’anno? Che disastro!
Ma perché nel POF o PTOF ci sono alla fine, di presupposti teorici e etici indiscutibili, un elenco infinito di progetti devianti e inutili: “Canti di Natale”; …”Passeggiando nel neolitico…”; “ La poesia fa bene all’anima”;” La legalità in classe 3-4-5”; ecc. ?
E io continuo a chiedermi: “ Ma la scuola delle competenze non può essere questa? Io il neolitico non lo “privatizzo” in un progetto sterile dove il miracolo è Passeggiando! Io la legalità la insegno tutti i giorni non posso staccarla dal contesto e farne un canale staccato che per un mese diventa significativo e poi sparisce nelle acque sotterranee della cattiva scuola. Io la poesia non la considero come l’arte del bello, ma la considero dentro la vita di tutti… la poesia non è una parentesi programmatica. NO!
E poi la capacità di confronto tra docenti è arrivata alla frutta: “ Ma a te che te “frega” se quella fa delle cose discutibili: lasciala fare e poi , tu , sei troppo complicata. Ma se ha una classe difficile si dia da fare, io ho i miei casi…
Non parliamo del rapporto con i genitori: “Che scocciatura, hanno un figlio incapace e pretendono…
Ma quando si fanno gli spettacoli e si ruba tempo agli apprendimenti reali sono tutti contenti: maestre animatrici di spettacolini , genitori convinti che i figli hanno talento, dirigenti che ostentano la scuola su i social.
Solo io e i bidelli non siamo contenti:
Io per le banalità espresse senza orizzonti formativi impliciti;
i bidelli per la pulizia dei locali che miracolosamente si aprono e si addobbano.