Settembre: accogliere e osservare. Riflessioni e proposte sul ritorno in classe
Settembre, di nuovo
A me piace la scuola a settembre: tempo di speranze e attese. È un capodanno, un inizio cui mancano i fuochi d’artificio e i festeggiamenti: c’è quel magone del rientro e l’allegria della ripresa. Li vedi negli occhi dei ragazzi e in quelli dei professori perché, anche se hai passato l’estate lavorando e studiando, sai che la scuola inizia veramente solo quando varchi la porta della tua classe. L’estate ha sui ragazzi un potere magico: quanto crescono, quanto vivono in quei mesi! Simone è ormai uno spilungone e mi supera di un palmo, Chiara ha gli occhi lucidi per quell’amore consumato tra whatsapp e calippo al limone, Alessandro non si è perso un tuffo in piscina: “Le ho amate tutte prof, ma a me non mi ha amato nessuna, ma sa com’è, è la vita.” Il mio prof del liceo diceva: “il problema è che io invecchio, voi avete sempre 16 anni” allora ridevo, ora mi trovo a dargli ragione. Sono belli i ragazzi a settembre, anche quando hanno la faccia annoiata e offesa. Assomigliano all’autunno, si spogliano del verde dell’estate e si mettono in attesa dell’inverno: hanno giornate terse e frizzanti, altre cariche di pioggia, altre spazzate dal vento. Sono lì e attendono, come la neve che non sa se scendere o meno in certe mattine col cielo di gesso. E noi, gli adulti, che facciamo adesso a settembre? Li abbiamo lì davanti, o intorno: non sono numeri, non sono campionari per rilevazioni quantitative, non sono corridori di un programma enorme. Sono ragazzi e noi i loro professori.
Settembre: accogliere per davvero
È settembre: è tempo di accogliere, è il tempo dell’accoglienza. Troppo spesso nelle nostre riunioni di programmazione ad inizio d’anno ci soffermiamo su cosa fare e come farlo, più raramente sul perché. E invece è da lì che dobbiamo partire: la scuola è malata di efficientismo, velocità e misurazione, quando avrebbe bisogno, invece, di riflessione, analisi ed epistemi. Accogliere viene dal latino, dal volgarizzamento *accoligere, derivato di colligere: raccogliere, raccogliere presso di sé. Accoglienza è apertura: non è semplicemente far entrare, ma è rendere partecipi gli altri di qualcosa di proprio, è uno spalancarsi verso l’altro. Colligere ha la sua radice in legere, che non vuol dire solo raccogliere, ma anche ascoltare, guardare, leggere: non è un caso, per raccogliere e custodire è necessario sapere cosa stiamo conservando e ciò è possibile solo attraverso l’osservazione, l’ascolto e la lettura. Scegliere di accogliere i ragazzi, di dedicare tempo informale a loro è una precisa scelta pedagogica. Si può iniziare l’anno con un appello veloce, con la correzione dei compiti, con un test ingresso: tutti strumenti utili e necessari, ma che, secondo me, vengono dopo. Partire da un test d’ingresso, non è accogliere, è misurare. Nulla contro la misurazione, ma si tratta di quello, misurare, inscatolare e inquadrare una performance; accogliere è avere un’ottica di sguardo, un’attenzione alla persona. Le prove oggettive mi diranno se il ragazzo ha compreso i significati espliciti di un testo o se sa riconoscere una subordinata oggettiva e soggettiva, ma i primi giorni di scuola voglio osservare come scrivono i ragazzi, come si esprimono, cosa pensano, come si descrivono e si relazionano fra loro. Esigo per me il lusso di dedicar loro tempo: apprendere è entrare in relazione e qualsiasi relazione non ha bisogno di fretta. Per valutare, per i numeri, ci sarà tempo. Tornare a scuola è un’esperienza carica di emozioni contrastanti: la sfida vera è accogliere i ragazzi e utilizzare tutta questa emotività, catalizzarla e farne spunto di riflessione e meta cognizione. Io scelgo di dedicare una settimana all’accoglienza: dieci ore almeno che ci permettano di osservarci e ascoltarci reciprocamente, una serie di attività che costituiscano un portfolio o taccuino dell’accoglienza, in cui possano tracciare il loro percorso fino a lì; la loro presentazione di sé; le loro aspettative rispetto alla scuola e alle esperienze che stanno per vivere. Spesso utilizzo testi letterari, poesia soprattutto, non perché siano analizzati e studiati, ma perché facciano da testi guida: letteratura come strumento per riflettere su se stessi, come fonte di parole per descrivere la realtà. Oltre a testi letterari uso canzoni e immagini, con il medesimo scopo di attivare e guidare la riflessione e discussione. Da qualche anno sperimento con successo l’uso dei libri illustrati o dei silent book, un mezzo straordinario per entrare in argomento e per permettere ai ragazzi di avere intuizioni, di farsi trasportare dalle immagini, di decodificare significati e significanti; più i ragazzi sono piccoli più si sento liberi nel lanciarsi in interpretazioni e commenti. A settembre li accoglierò, ad esempio, leggendo Il maestro di Silei e La cosa smarrita di Shaun Tan: il primo racconta la storia di Lorenzo Milani attraverso gli occhi di un suo ragazzo, il secondo è un silent meraviglioso che ci interroga sul senso tempo, sul mistero e sulle strade da percorrere. Liberamente poi i ragazzi fanno annotazioni sul taccuino che è un po’ lo scrigno di tutti questi pensieri e lampi di idee. Il momento di condivisione di queste annotazioni è importante e viene fatto o con tutta la classe o a gruppi di due. Prevedo anche una serie di attivatori: esercizi destrutturati attraverso i quali raccogliere bozze, pensieri in libertà, disegni, lampi di frasi, barre e fumetti, brain storming. Il vantaggio degli attivatori è che tutti riescono a compilarli, anche chi si trova meno a suo agio con la scrittura. Alla fine di c’è spazio per la rielaborazione: i ragazzi potranno produrre un testo loro (non necessariamente in prosa, non necessariamente scritto) di genere diverso. Il docente, rispetto a questo materiale, si pone come mediatore, come colui che fa comunicare media diversi e che dà il ritmo alla lezione. A volte proporrà discussioni in plenaria partendo dagli attivatori, altre in piccoli gruppi, feedback a due, altre ritirerà e correggerà i testi, senza valutarli, solo consigliando come migliorare, alla mo’ di un editor. Il docente e la classe vanno piano, si prendono tempo, riflettono non su cosa fare ma sul perché farlo. Si regalano il tempo della conoscenza.
Qualche spunto per l’accoglienza in una classe iniziale di scuola superiore
Ritengo il momento dell’accoglienza fondamentale, per riprendere la relazione con i ragazzi e per ribadire modalità operative e routine. Va da sé quindi che per ogni classe le tecniche utilizzate possano e debbano essere differenti, considerando età, provenienza, tipologia di scuola e anche quanto un docente si sente a suo agio con questa metodologia. L’esperienza dei ragazzi nel passare da un ordine all’altro è spesso essere catapultati in un mondo che già li accoglie con alcuni pregiudizi:
- Il voto che portate dalle medie va abbasso almeno di un punto, quando non due;
- Fin’ ora avete giocato, ora si studia seriamente;
- Non siete scolarizzati e maturi
È importante, invece, che percepiscano che i docenti si pongono davanti a loro senza pregiudizi e preconcetti: aperti all’ascolto, all’attenzione, alla cura che sono conditiones sine qua non dell’accoglienza. A mio avviso è importante che l’accoglienza sia incentrata su queste tre direttrici: la nuova scuola, la classe e l’alunno. Una sorta di lente d’ingrandimento che passa dall’ambiente circostante, alla classe, alla persona. Spesso dimentichiamo quanto sia importante lo spazio nella vita degli adolescenti, a maggior ragione se si tratta di un luogo così codificato come la scuola. Andare alla scuola superiore significa passare dal microcosmo della scuola media alle gigantesche e popolose scuole superiori, dal paese alla città, dai compagni di una vita (alcuni fin dall’infanzia) a compagni nuovi. Non è un passaggio semplice, va guidato e osservato. Molte le attività che si potrebbero fare, così a titolo di esempio, senza pretesa di essere esaustiva:
- “La mia strada verso la scuola”: rappresentare attraverso disegni, frasi, fumetti etc quello che succede o è successo loro nella strada tra casa e scuola.
- Scrivere almeno tre similitudini secondo il modello: Per me scuola è come…/ perché
- Ricercare, magari attraverso una web quest, informazioni sull’edificio (a chi è intitolato, se nasce come scuola oppure era un edificio con altre mansioni etc.)
- “Il Giro di ricognizione”: sembra banale, ma esplorare gli spazi è importante. Si invitino i ragazzi a girare per la scuola compilando una tabella di confronto tra la scuola da cui provengono e la nuova scuola, considerando alcuni elementi come numero aule, macchinette merende, Lim, palestre, laboratori, numero indicativo di alunni.
Questi attivatori possono costituire materiale per produrre un breve testo in cui si descriva in modo oggettivo e poi in modo soggettivo la scuola.
La (mia) classe
Dopo aver lavorato sull’edificio è tempo di passare alla classe, iniziando il lavoro sul gruppo, sulle relazioni e sulla cooperazione che si porterà avanti tutto l’anno, questi i suggerimenti:
- Piramide di Haring: costruire una piramide di omini di Haring da mettere fuori dalla porta della classe, ogni ragazzo decora il suo omino con le sue parole o immagini chiave (quelle che preferisce, che lo descrivono, che gli ricordano qualcosa di importante) oppure, per osservare le dinamiche di gruppo, una bella sfida è la marshmallow tower.
- La scatola: uniti ma distinti. Nella scatola ogni ragazzo inserisce le aspettative dell’anno, scritte sotto forma di frase. La carta che avvolge la scatola è carta da pacchi su cui i ragazzi avranno scritto le “parole della classe”, cioè tutti quei termini che possono descrivere una classe. In precedenza sono stati consegnati ai ragazzi dei pezzetti di spago con il compito di decorali e usarli per presentare loro stessi. In classe poi, in cerchio, ciascuno spiega il suo spago, la domanda da fare a questo punto è: “ragazzi come possiamo legare il pacco con i vostri fili?” L’ovvia risposta è: unendo tutti i pezzetti in modo da formare una grande corda, in cui però ciascuno non scompare. La classe che auguriamo di costruire è appunto formata da persone unite ma distinte, giacché nessuno è uguale. L’ultimo giorno di scuola si aprirà la scatola e si leggeranno e commenteranno le aspettative.
Dopo queste riflessioni si può proporre come lavoro conclusivo la rappresentazione a più mani della classe in un ambiente diverso (ad esempio come fossero alieni) oppure la coprogettazione di uno spazio autogestito della classe (vasi di fiori/ muro per i poster/ biblioteca di classe etc etc).
Io: che sono catapultato qui
In ultimo forse la parte più importante, quella su di sé; i brani che si possono leggere con i ragazzi sono moltissimi, come anche gli esercizi e gli attivatori. Solitamente parto dal farli riflettere sul “vengo da”, ovvero cercare di scrivere in prosa lirica o poesia da dove vengono, sia luoghi fisici che dell’immaginario, come si spiega qui. Poi inizia la riflessione sul percorso passato alla scuola media attraverso alcuni attivatori, ad esempio:
- Lo zaino: disegno di uno zaino in cui i ragazzi scrivono portano con loro nella scuola superiore (ricordi, momenti, modi di essere, compagni)
- scuola media: le mie nuvole/il mio sole (elenco di ciò che per loro è stato negativo e positivo alle medie)
Come lavoro finale si propone di scrivere un biopoem, un esercizio che dà solitamente risultati interessanti, la struttura è questa:
Biopoem: Costruisci una poesia fatta così
Verso 1: il nome proprio
Verso 2: 3 aggettivi per descriverti
Verso 3: figlio/a di …/ fratello/ sorella di ….
Verso 4: che ama (metti tre persone, cose, sensazioni etc che ami)
Verso 5: che prova (metti tre emozioni o sensazioni che provi)
Verso 6: che si diverte a (inserisci tre cose che ti divertono o ti diverti a fare)
Verso 7: che ha bisogno di (metti tre cose che ti sono necessarie per vivere)
Verso 8: che ha paura (metti tre cose di cui hai paura)
Verso 9: che odia (metti tre cose che non sopporti)
Verso 10: che vorrebbe vedere (metti tre luoghi che vorresti vedere)
Verso 11: che vive a (metti dove vivi)
Insegno alla scuola secondaria di secondo grado, credo che si capisca bene leggendo gli esercizi che propongo: immagino che qualcuno possa essere perplesso, ritenere che il tempo dedicato all’accoglienza sia troppo o e le attività troppo infantili o un’inutile perdita di tempo. A ogni docente sta misurare tempi e adattare il percorso ai ragazzi, prima forma di accoglienza è, tuttavia, porsi in continuità con l’ordine precedente. Perché la conoscenza e la relazione non si muovono a salti.
Fotografia di G. Biscardi, Zaino e cartelle, Palermo 2017
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