
Vitaliano Trevisan a Bruxelles
Il 22 marzo 2017 Vitaliano Trevisan e Andrea Cortellessa hanno discusso di lavoro, scrittura e recitazione a partire dall’opera di Trevisan Works, pubblicata da Einaudi nel 2016.
Vengo da una serata stimolante, introdotta da Paolo Grossi, direttore dell’IIC di Bruxelles, e animata da due figure complementari: un critico letterario eloquente (Andrea Cortellessa) e uno scrittore ritroso (Vitaliano Trevisan). La sinergia che si è creata tra queste due persone ha costituito il valore aggiunto e imprevisto che ha reso unico l’incontro.
La tempistica sembrava studiata: Cortellessa ha parlato a lungo mentre il narratore si scherniva; poi le domande sulla dimensione materiale – del lavoro, della scrittura, della recitazione – e Trevisan è diventato protagonista.
A partire dal titolo, Works, in italiano “mestieri”, (l’altra accezione, ha ipotizzato Cortellessa, è “opere”), Trevisan si è soffermato su un lavoro artigiano, quello dell’orafo e la pulizia del laboratorio. Quanti dettagli, quanta accuratezza. La perfezione sta nei piccoli gesti e nelle parole che sanno restituirli. Il Veneto operaio. “Il Veneto non è una terra ricca” ha ripetuto più volte quasi tra sé e sé lo scrittore operaio e artigiano. Mi è venuto in mente il film Piccola patria di Alessandro Rossetto.
L’immancabile domanda “fuori fuoco” dal pubblico ha sottolineato per contrasto il livello della discussione. Era sul precariato dei giovani e Trevisan l’ha utilizzata come spunto. «I giovani non sono una categoria, non li vedo come una categoria, non vedo il mondo in categorie». Mi dico: certo, è un artista, perché mai dovrebbe classificare? Il discorso è poi finito sulla droga con dichiarazioni scioccanti rilasciate con disarmante candore (forse involontariamente – una provocazione) dallo scrittore sregolato e vitale: cinque compagni di classe su venticinque sono morti di overdose da ragazzi, molti altri successivamente per patologie provocate dalla tossicodipendenza e dall’alcolismo. Ho pensato a Riportando tutto a casa di Nicola Lagioia. La statistica ha sbalordito il pubblico e creato un climax che ha definitivamente rotto il ghiaccio, tra il protagonista e il suo deuteragonista ma anche tra il pubblico e gli oratori.
Quando Cortellessa, che ha saputo utilizzare ogni spunto per virate di campo tali da mostrare i molteplici volti dell’artista, ha spostato l’attenzione sulla recitazione, Trevisan – che è anche attore – ha parlato del movimento nello spazio, del rispetto dei tempi. Il ruolo dunque del corpo innanzitutto. Non ha fatto cenno alla verbalità della recitazione. E ha detto di apprezzare il set come ambiente.
L’altro giorno a lezione leggendo i Ricordi d’infanzia di Tomasi Lampedusa mi è venuto in mente Il fumo della Coscienza di Zeno. Entrambi, evocando il primo ricordo, “vedono” (psicanaliticamente al presente) gli altri e non se stessi; come ha ben detto Cortellessa a proposito del modo di trattare i ricordi in Trevisan, “un occhio che osserva”, il quale a sua volta ha postillato: “ho un io leggero”. Ma cosa intende? Forse leggero come l’incontro all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles (capitale di un’Europa che vacilla intorno a noi): l’intelligenza condivisa con il pubblico, a piccole dosi e senza forzature – come lo scambio alla pari con gli africani in Veneto di cui ha parlato – talvolta brusco ma diretto – senza mediazioni, ovvero, aggiungo io, sincero.
Che piacere ascoltare un artista (reticente) in conversazione con il suo interlocutore e interprete. Un crescendo, che ha mosso il pubblico anche a fragorose risate. Trevisan, che aveva esordito a occhi socchiusi, era infine perfettamente a proprio agio, fino al gesto conclusivo di rollare una sigaretta con un aperto sorriso. Non lo faccio mai, chiedere una dedica, ma non volevo dire banalità eppure avevo la curiosità di avvicinarmi. Mi ha domandato il nome e poi ha riempito il frontespizio con l’autografo d’artista. Quella di Works sarà una “lettura leggera” come l’autore mi ha raccomandato.
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