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diretto da Romano Luperini

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I soldi. Gerarchie e stipendi nella scuola italiana

Basta una tabella …

Sono ormai trascorsi oltre otto mesi da quel 24 giugno 2015 in cui la Corte Costituzionale dichiarò «l’illegittimità sopravvenuta del regime di sospensione della contrattazione collettiva» nel pubblico impiego (sentenza n. 178). A seguito di questa sentenza, la legge di stabilità del 2016 ha dovuto prevedere uno specifico finanziamento per il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione ormai scaduti da nove anni: la bellezza di 3,50 € medi mensili per ogni dipendente pubblico in un ipotetico rinnovo contrattuale di cui ancora non c’è alcuna avvisaglia.

È vero, non si vive di solo pane, ma non c’è dubbio che nel nostro sistema economico esiste una stretta correlazione tra il valore di un’attività e la retribuzione che se ne percepisce. I soldi sono anche una cartina di tornasole del prestigio sociale di cui godono le varie categorie di lavoratori.

Qual è allora il valore dell’insegnamento nel nostro paese e cosa è successo in questi anni?

Nel 1992 l’accordo intersindacale, come sappiamo, ha definitivamente abolito l’adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita (sancendo la fine della vituperata “scala mobile”). Da questa abolizione sono stati esclusi settori importanti della pubblica amministrazione, dai magistrati ai colonnelli e generali, dai professori universitari ai dirigenti della polizia. Agli altri dipendenti erano invece stati promessi aumenti da stabilire tramite la concertazione sindacale.

Quello che invece è successo nel mondo della scuola è sotto gli occhi di tutti. Basta scorrere la seguente tabella.

VARIAZIONI DEL POTERE D’ACQUISTO DEGLI STIPENDI DI ATA, DOCENTI E DIRIGENTI

 

d.P.R. 399/19881

in lire

rivalutazione2

gennaio 2016 – euro

CCNL + I.V.C.3

euro

differenza4

euro

differenza

% sul Ccnl

Coll. scolastico

24.480.000

23.946

19.530

-4.416

-22,6

Ass. amm.- tecn.

27.936.000

27.326

22.265

-5.061

-22,7

D.s.g.a.

32.268.000

31.564

33.104

1.540

4,7

Docente mat.- elem.

32.268.000

31.564

27.871

-3.693

-13,3

Doc. diplomato II gr.

34.008.000

33.266

27.871

-5.395

-19,4

Docente media

36.036.000

35.249

30.353

-4.896

-16,1

Doc. laureato II gr.

38.184.000

37.350

31.202

-6.148

-19,7

Dirigente scolastico*

52.861.000

51.707

64.534**

12.827

19,9

 

1. Stipendio annuo lordo percepito nel maggio 1990 (arrivo a regime del d.P.R. n. 399/1998), per tutti i profili professionali con 20 anni di anzianità.

2. Rivalutazione monetaria a gennaio 2016 (indice Istat inflazione Famiglie Operai Impiegati-FOI, senza tabacchi) dello stipendio annuo lordo percepito nel maggio 1990.

3. Retribuzione annua lorda prevista dal Ccnl Scuola sottoscritto il 23 gennaio 2009 (stipendio tabellare + Rpd o Cia o Indennità di direzione minima con 100 unità di personale) per le stesse tipologie di personale, incrementata della Indennità di Vacanza Contrattuale percepita dal luglio 2010.

4. Differenza tra la retribuzione annua lorda attualmente percepita e quella del 1990 rivalutata.

* Il 1° marzo 2002 è stato sottoscritto il primo Ccnl per l’Area della Dirigenza scolastica che ha totalmente modificato la struttura della retribuzione degli ex presidi che ora è costituita da: stipendio tabellare + posizione parte fissa + posizione parte variabile + retribuzione di risultato + eventuali altri emolumenti.

** Anno 2013, elaborazione Aran, su dati RGS – IGOP aggiornati al 10/3/2015.

L’“Operazione Trasparenza” prevede che gli stipendi dei dirigenti siano pubblici, occorre cercare nel curriculum vitae pubblicato in: https://oc4jese1ssl.pubblica.istruzione.it/trasparenzaPubb/ricercacv.do

 
… per capire le gerarchie

A fronte di un considerevole aumento dei carichi di lavoro (soprattutto di tipo burocratico) e della contestuale riduzione del personale (soprattutto di quello ATA), sulla scuola italiana è stato evidentemente ridisegnato un nuovo modello gerarchico. La nuova fisionomia la possiamo leggere chiaramente nella diversa distribuzione delle risorse contrattuali destinate agli stipendi.

Con la definizione delle nuove gerarchie disegnate dall’autonomia scolastica, sono state valorizzate le due figure apicali del dirigente scolastico e del direttore dei servizi generali e amministrativi che, uniche nel mondo della scuola, hanno incrementato il loro potere di acquisto. Il d.s.g.a. per circa il 4,7% e il dirigente di quasi il 20%, mentre nello stesso periodo tutti gli altri profili professionali hanno perso dal 13 al 23% rispetto all’indice ISTAT.

Si è quindi allargata la forbice tra i livelli stipendiali di dirigenti e dipendenti. Infatti, mentre nella precedente situazione il rapporto tra la retribuzione annua di un preside e un docente elementare era poco più di 1,6 adesso un dirigente scolastico percepisce mediamente quasi 2,5 volte di più di quello stesso docente. Non dimentichiamo inoltre che nel frattempo è diventato necessario acquisire la laurea per poter insegnare in ogni ordine e grado di scuola e che le condizioni di lavoro sono via via peggiorate, a causa dell’incremento del numero di alunni per classe, della maggiore presenza di situazioni complesse da gestire (senza peraltro aver promosso una seria formazione a supporto dei docenti) e della saturazione delle ore di cattedra nella scuola secondaria. Anche il d.s.g.a., che – giustamente – ha avuto riconosciuto economicamente il proprio nuovo ruolo e il livello della propria formazione universitaria, ha superato come retribuzione quella degli insegnanti.

Sembra dunque che nell’impresa di svalutare progressivamente la funzione didattica della scuola sia stato ascoltato Attilio Oliva, presidente di Treellle, che lamentava una situazione

in cui i docenti di fatto hanno il maggior potere con il collegio dei docenti perché la scuola oggi è didattica, non è altro che didattica, e non ha soldi, non può scegliere gli insegnanti, non può decidere l’organico, cioè non può fare le cose essenziali di una scuola autonoma, per cui si parla solo di didattica e la didattica la fanno i docenti e allora gli altri organi di governo non servono a niente, non serve il consiglio d’istituto e il dirigente serve a poco.

Adesso quel potere, almeno dal punto di vista retributivo, gli insegnanti l’hanno perso e la scuola è sempre meno incentrata sulla didattica. La legge n. 107/2015, la cosiddetta “Buona Scuola”, aggrava ancor di più questa situazione di gerarchizzazione e di delegittimazione della funzione didattica: ogni scuola tenderà sempre di più a conformarsi alla fisionomia voluta dal dirigente scolastico che, anello di una catena di comando che dal MIUR attraverso l’USR adesso arriva fin dentro le nostre aule, assegnerà un premio ai docenti che riterrà “meritevoli”. E così, senza decenti aumenti salariali, gli insegnanti italiani potranno solo attendere la benevola valutazione del proprio dirigente che, come voleva Oliva, finalmente servirà a qualcosa.

Gli insegnanti raramente pongono la questione dei soldi nel loro ambiente lavorativo. In molte occasioni svolgono delle mansioni gratuitamente e raramente protestano per i compensi ridicoli che percepiscono. Si direbbe che ancora partecipano di quell’habitus da intellettuali che Pierre Bourdieu1 descrive come opposto e autonomo rispetto al campo economico. Gli insegnanti conservano, insomma, un decoro ed un’indipendenza dal mondo economico raro in altre categorie di lavoratori. L’indipendenza dalla logica economica è, malgrado tutto, un loro tratto di distinzione. Addirittura, come osserva da tempo Alfie Kohn2, anche pagare in base a un presunto merito è percepito dagli insegnanti come manipolativo e paternalistico. I ricercatori hanno ripetutamente dimostrato che l’uso di incentivi estrinseci spesso riduce la motivazione intrinseca. E perfino sul versante contrattuale da sempre si sollevano dubbi sull’applicazione di questi meccanismi

se cioè il modello aziendale burocratico di carriera, buono per altri e diversi ambiti organizzativi (ove peraltro, va pur detto, non sempre funziona in maniera ottimale), sia senz’altro esportabile con efficacia anche nell’ambito scolastico. In merito è più probabile avere dubbi che certezze, e del resto tutti sappiamo che questa è una discussione da tempo aperta, sulla quale le opinioni anche tra gli specialisti restano divergenti3.

Insomma una riflessione sui soldi e sul loro valore simbolico in ambito scolastico, proprio in considerazione delle molte spinte aziendalistiche che investono i docenti, andrebbe intrapreso. È una questione non solo sindacale, ma complessiva, cioè di ridefinizione del paradigma culturale della scuola italiana.

1P. Bourdieu, Le regole dell’arte. Genesi e struttura del campo letterario, Il Saggiatore, Milano 2005

2A. Kohn, The Folly of the Merit Pay, in Education Week, 17 settembre 2003

3M. Ricciardi,La contrattazione collettiva d’istituto: maneggiare con cura, in Aran Newsletter n. 4-5, luglio/ottobre 2008, pag. 6

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