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diretto da Romano Luperini

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Il libro immateriale

Il mondo come libro

La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.

Il passo è tratto dal sesto capitolo del Saggiatore. Qui Galileo rappresenta la natura come un libro scritto in linguaggio matematico: è la grande metafora-guida della realtà in forma di libro che, come ha spiegato Blumenberg nel suo bel saggio del 1983 sulla Leggibilità del mondo, costituisce una delle idee-chiave dell’immaginario e del pensiero occidentale. Il mondo in cui viviamo è un prodotto della cultura del libro. Siamo nati e ci siamo formati in una civiltà del libro. Il libro, come oggetto reale e come metafora, come elemento dell’immaginario, fa parte del nostro orizzonte, immutabile e persistente.

Ma è davvero così? O in questi anni stiamo invece assistendo, in modo quasi inconsapevole, al suo progressivo tramonto? Saremo testimoni della fine del libro, per come lo conosciamo, nella sua logica sequenziale e nella sua matericità di oggetto circoscritto con il suo peso, la sua consistenza, il suo odore? Cosa resterà del libro e cosa scomparirà? È questa la domanda che oggi chi lavora nell’ambito della conoscenza umanistica non può fare a meno di porsi. Perché in gioco c’è un cambiamento epocale che riguarda non solo le forme di conservazione e di trasmissione del sapere, e del sapere umanistico in particolare, ma la stessa modalità del leggere, dell’apprendere, del conoscere, dell’essere.

Cosa resterà del libro?

Proprio sotto i nostri occhi si sta affermando un nuovo modello di libro, l’ebook, ossia il libro elettronico, il libro digitale. In altre parole, il libro immateriale. Una nuova veste “fisica” per il testo. Ma anche qualcosa di più.

La lunga storia del libro sta lì a dimostrarci che un cambiamento della fisicità finisce sempre per comportare mutamenti non solo nella natura di quello che nel libro è scritto (il contenuto), ma anche del modo in cui quel contenuto è strutturato, presentato, esposto, fruito. Con una conseguenza ulteriore: cambiano anche i destinatari, ossia il pubblico cui il testo è indirizzato. Ed è proprio la trasformazione di tutti questi elementi fondativi del libro – la fisicità oggettuale, il contenuto, la forma, i destinatari – a provocare quella sorda sensazione di vertigine e di spaesamento che di questi tempi affligge tutti coloro che, in un modo o nell’altro, di libri si occupano. Come un rombo sordo, lontano, che si agita ancora sullo sfondo, la percezione di un grande, carsico sommovimento mette in allerta il mondo dell’editoria. Cosa accadrà al libro è impossibile dirlo; però analizzando fatti e dati possiamo provare a tracciare delle possibili prospettive aperte dalla comparsa del libro immateriale.

 
Galileo, di nuovo

Ma prima torniamo a Galileo. A Padova, nella tarda serata del 13 marzo 1610 Tommaso Baglioni, uno stampatore, finiva di tirare in 550 copie il Sidereus nuncius. In questo testo Galileo spiegava le sorprendenti scoperte astronomiche compiute solo poche settimane prima della pubblicazione del volume. Sei giorni dopo, le 550 copie erano esaurite: il Sidereus nuncius era il primo vero bestseller della storia. Non per il numero di copie stampate, ma per la rapidità con cui esse si esaurirono. Questo successo editoriale segnava il trionfo del libro stampato sul manoscritto. Una rivoluzione. Per la prima volta diventavano evidenti i vantaggi procurati dalla stampa: le molte copie simultaneamente disponibili garantivano la diffusione rapida e ampia di un contenuto del tutto nuovo (la natura della Luna e la scoperta dei satelliti di Giove), e questo, a sua volta, intercettava la curiosità di pubblico, che del nuovo era improvvisamente assetato.

«La macchina tecnologicamente più efficiente che l’uomo abbia mai inventato è il libro», ha scritto Northrop Frye. Al suo apparire il libro a stampa è un’innovazione d’eccezione non solo per la cultura ma anche nel campo della scienza applicata. Come ha dimostrato Gian Arturo Ferrari nel suo bel saggio intitolato appunto Libro, il libro è l’«utensile più versatile». La stampa nasce infatti da una innovazione tecnica nella lavorazione dei metalli che rende possibile sbalzare e incidere con accuratezza dei piccolissimi blocchi di acciaio; come accade anche per le innovazioni tecnologiche dei nostri giorni, il colpo d’ali sta nell’applicare questa nuova abilità della metallurgia ad un contesto differente, completamente diverso e alieno: quello della scrittura. Mettendo insieme lettere e metalli, per così dire.

Dopo 1500 anni di egemonia, il manoscritto non può più vantare l’esclusiva nella trasmissione dei saperi. Il libro diventa un oggetto riproducibile in serie, si fa merce. E tuttavia per secoli il manoscritto continua a circolare insieme al libro a stampa, seppure in modo sempre più stentato, per poi estinguersi, dopo una tranquilla agonia lunga un secolo, in coincidenza con la rivoluzione francese.

Oggi come ieri? Le metamorfosi del libro

La metamorfosi del libro che si consuma ai nostri giorni sta procedendo lungo una parabola per certi versi curiosamente analoga a quella già seguita nella sua traiettoria dalla galassia Gutenberg. Anche oggi una tecnologia nata in un contesto del tutto differente viene applicata con successo al libro.

Ma c’è di più. In una fase iniziale, fino ai primi anni del Cinquecento, gli stampatori erano mossi da una sorta di furore conservativo che li spinse a trasferire nella stampa i vecchi testi ereditati dal Medioevo. Trasferire tutto il vecchio nel nuovo mezzo: né più né meno l’impresa che Google sta portando avanti ai nostri giorni. Anche oggi, infine, il modello di diffusione della nuova tecnologia, come allora quello della stampa, è lento, “liquido”, più che esplosivo. L’ebook non è lo smartphone, per intenderci. Basta pensare ai dati riferibili all’Italia, dove le vendite dell’ebook dello scorso anno risultano pari al solo tre per cento nella varia, e addirittura inferiori all’un per cento nell’editoria scolastica. Eppure questa onda lenta sta già producendo un profondo rivolgimento nel panorama dell’editoria. E i dati italiani così modesti non devono spingere a sottovalutare l’entità del terremoto in corso.

Alcuni dati

Riepiloghiamo allora, dati alla mano, qual è lo stato dell’arte fuori dai confini nazionali. In prima battuta occorre fare una distinzione tra i due rami dell’editoria che si dividono metà per uno il mercato del libro: la varia (o trade o editoria d’intrattenimento) e la così detta editoria di conoscenza (dove il settore dell’education la fa da padrone). Con una precisazione preliminare: la bistrattata editoria di conoscenza, che fa poca notizia, costituisce però forse il settore più più avanzato e innovativo a livello globale, grazie anche alla graduale alfabetizzazione dei paesi emergenti che accresce nel mondo la domanda di sapere. Nell’editoria di conoscenza il libro “cartaceo” (ebbene sì, ormai, nel gergo degli addetti ai lavori, il libro tradizionale è diventato il “libro cartaceo”!) sembrerebbe una specie destinata all’estinzione. Persino nella periferica Italia. Il decreto attuativo 781 del 2013 (il decreto Carrozza) afferma che il libro di testo tradizionale, di carta, può esistere solo come «forma residuale».

Com’è prevedibile, gli Stati Uniti percorrono con più rapidità ancora la strada del nuovo: nel discorso dello Stato dell’Unione 2013 Obama ha annunciato che entro 4 anni il 99% delle classi statunitensi sarebbe stato 2.0. Oggi, a distanza di soli due anni da quell’annuncio, la digitalizzazione della scuola statunitense è pressoché completata. Ma andiamo ai dati davvero significativi dell’editoria di conoscenza. Nel 2012 il secondo gruppo editoriale del mondo, il colosso Reed Elsevier, ha realizzato nel digitale il 64% dei suoi ricavi netti e nei tre anni successivi ha concentrato sul digitale il 90 % dei suoi investimenti.

Un nuovo mercato, un nuovo statuto, una nuova grammatica

Tutto il settore dell’education mondiale sta investendo enormi somme nella innovazione digitale, con due conseguenze.

  1. in primo luogo il mercato editoriale si muove e si assesta: viene colonizzato dai grandi gruppi multinazionali o plurinazionali (come il leader dell’editoria mondiale, il gruppo Pearson, che in Italia ha acquistato marchi storici come Paravia e Bruno Mondadori) che possono permettersi di investire cifre ingenti e anche di sostenere ingenti perdite, inevitabili perché le vendite effettive degli ebook restano ancora modeste. Ciò determina la crisi di molte delle piccole e medie aziende meno competitive , nonché lo stato di fragilità delle cosiddette “multinazionali tascabili” (che agiscono quasi esclusivamente sul territorio nazionale), come ha dimostrato il caso RCS.

  2. la seconda conseguenza, più importante, è la trasformazione dello statuto del libro. Il libro dell’editoria di conoscenza non è più “solo” un libro elettronico, ma è un testo multimediale che integra funzionalità diverse e, combinando linguaggi differenti (parole, suoni, immagini, filmati, animazioni), favorisce un tipo di conoscenza “sinestetica”. Non un libro digitale, dunque, ma un prodotto digitale, spesso inserito in una piattaforma di learning; un sistema integrato e interconnesso di testi e di servizi. Tant’è che, anche in Italia, i libri scolastici digitali non si chiamano più e non si chiamano “solo” eBook ma “eBook+”, dove il plusvalore è dato dalla multimedialità e dall’interattività.

Infine una constatazione: la grammatica del libro digitale è tutta da inventare. Siamo nella fase disordinata della sperimentazione e della creatività, in cui convivono diversi formati e diversi modelli testuali. In un certo senso la tecnologia va ora addomesticata, adattata e messa al servizio delle esigenze dei lettori. Si impongono così inedite figure professionali; in questo contesto i saperi e le competenze umanistici diventano una risorsa da cui l’editoria più all’avanguardia non può prescindere.

E la varia? In questo campo, se si escludono poche eccezioni, non esiste ancora una vera e propria editoria 2.0. L’affermazione dell’ebook è qui assai più lenta e soprattutto non ha modificato la forma libro né ha sostituito l’uso del libro di carta. In pratica i libri sono sempre gli stessi: hanno solo cambiato device. E tuttavia, seppure in modo più cauto e meno dispendioso, la digitalizzazione è avviata.La digitalizzazione è comunque una soglia. Dopo averla attraversata è difficile tornare indietro. «Questa è l’ambigua e inquieta situazione dei libri di varia, oggi», ha scritto a questo proposito Gian Arturo Ferrari, «a cavallo tra due mondi senza appartenere a nessuno». Del resto la nostalgia del libro perduto – per chiamarla così – è uno dei fantasmi della narrativa contemporanea: penso da ultimo a Panorama di Tommaso Pincio, il bel romanzo uscito quest’anno che ha per titolo il nome d’invenzione di un social network, per protagonista il più accanito dei lettori e per destinatario, come precisa l’autore stesso, «chi parla con i personaggi dei libri e prima di uscire di casa se ne infila uno in tasca e inizia a camminare senza meta».

“Anything Anytime Anywhere”

Siamo dunque nell’epoca dell’editoria 2.0.

2.0: questa locuzione, coniata nel 2003, definisce l’evoluzione del Web avvenuta negli ultimi anni, caratterizzata dal trionfo di un’architettura partecipativa, dalla dinamicità, dalla condivisione e dall’interazione. Il passaggio dal Web 1.0 al Web 2.0 è stato scandito dal monopolio di Google e dalla proliferazione di social network, blog e wiki che si sono sostituiti ai vecchi siti statici, nonché dalla cosiddetta Mobile revolution, per cui tutto quello che il Web 2.0 rende disponibile, grazie alla diffusione dei dispositivi mobili, è accessibile in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, con l’unica condizione di disporre di una connessione. “Anything Anytime Anywhere” (ogni cosa in ogni momento in ogni luogo) come recitano le tre (inquietanti) A dello slogan di Amazon.

La civiltà della scrittura effimera

A cambiare non è solo la circolazione delle informazioni e dei testi, ma si ridefinisce il concetto stesso di spazio pubblico: si assiste cioè ad una permeabilità del pubblico, i cui confini si confondono sempre di più con quelli del privato. Non solo. Si trasforma il concetto stesso di autorialità, a causa della facilità con cui si possono produrre e condividere messaggi e testi scritti. Sicché, contro ogni previsione e ogni vulgata, inaspettatamente, quella di oggi non si va disegnando solo come la civiltà dell’immagine, tanto paventata negli anni passati. Meglio ancora la nostra è la società della scrittura effimera. Una società in cui scrivono tutti, di continuo, in una chiacchiericcio perpetuo, in un cinguettio condiviso istantaneamente con tutti gli altri utenti della rete, dove la scrittura serve a veicolare il continuum di un commento istantaneo ed estemporaneo che accompagna “in presa diretta” il vivere (non è un caso che il nome Twitter derivi dal verbo inglese “to tweet” che significa ‘cinguettare’ e il simbolo di questo social network sia proprio un uccellino blu in volo: l’idea che si vuole suggerire è quella di un cinguettio inarrestabile che attraversa leggero e rapidissimo la Rete).

Una nuova forma di scambio epistolare rapidissimo e destrutturato: è questo il punto di forza dei social network, le rete sociali. Il social network – pensiamo al più pervasivo: Facebook – è infatti uno spazio di condivisione online, una sorta di piazza virtuale e virtualmente senza confini, dove ogni utente crea e gestisce il suo “profilo”, interagisce con gli altri, entra in contatto con amici e amici di amici, stringe amicizia con altri utenti, scambia con loro informazioni, fotografie, documenti, video, link e altro ancora, ha la sensazione di appartenere ad una comunità, scrive le sue preferenze, scrive le sue emozioni, scrive dei commenti e li pubblica in rete: in breve, attraverso la scrittura intrattiene le sue relazioni in una dimensione virtuale che replica e imita le dinamiche sociali della vita reale.

Cosa resta da fare agli insegnanti?

In questo flusso caotico di testi, di scritture, nella proliferazione dei libri autoprodotti e resi pubblici (e pubblicati) con un semplice clic, nell’utopia derogalata di una rete in cui tutti possono comunicare con tutti e accedere direttamente a tutto il sapere (non accenno qua alla questione spinosa del diritto d’autore), ebbene ora più importante che mai diventa il ruolo delle figure di mediazione culturale: insegnanti, editori, studiosi, critici letterari, traduttori.

Scrivere un testo e metterlo in rete si può fare – e lo si fa – solamente con un clic, ma è come sigillare un messaggio in una bottiglia e lanciarlo nelle acque di un oceano senza sponde. La sfida dell’approccio umanistico nella contemporaneità consiste allora nel salvare dal naufragio ciò che va salvato, trasmettendo il senso di una scoperta per tutti, per rendere il più trasparente ed efficace possibile l’opera di selezione, di indagine, di divulgazione che gli è propria. Viviamo anni difficili, e tumultuosi, di cambiamenti epocali: così, mentre cambiano le forme tradizionali della comunicazione letteraria, si affermano nuovi luoghi editoriali di resistenza del dibattito umanistico che trasmigra dalle riviste cartacee alla rete, approdando nei siti e nei blog letterari.

Un processo di trasformazione, che potrebbe anche richiedere molto tempo per compiersi, si è messo in moto – la terza rivoluzione del libro, com’è stata definita, dopo il passaggio prima al manoscritto poi al libro stampato. Il libro, però, di carta o immateriale, continuerà ad avere un futuro e a trasformarsi per avere un futuro, e non morirà finché ci sarà qualcuno che vorrà raccontare una storia e qualcuno che vorrà ascoltare quella storia, che ne sentirà il bisogno.

Chi, da diverse prospettive, lavora nell’ambito dei saperi della conoscenza ha però forse una responsabilità in più: comprendere quello che sta accadendo, studiare, analizzare e vegliare perché, in questa transizione, non si perda la specificità di quell’atto difficile, faticoso, entusiasmante, profondamente umano che è la lettura.

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