Qualche considerazione su formazione di compromesso e crisi dei migranti
Fra le più importanti categorie che Freud ci ha lasciato in eredità c’è quella di formazione di compromesso. Si tratta di uno scontro fra forze psichiche che sono opposte ma convivono all’interno della nostra mente. A livello logico, la formazione di compromesso consente a istanze contraddittorie di convivere in perfetta armonia. Essere d’accordo e in disaccordo – contemporaneamente e senza soluzione di continuità – con qualcosa, sostenere e contrastare nello stesso tempo e in modo ugualmente forte uno stesso fenomeno: un paradosso che la nostra coscienza non riesce ad accettare, ma che pure il nostro inconscio continuamente autorizza.
La formazione di compromesso è una categoria ancora poco utilizzata, ma credo che possa essere più efficace e duratura del complesso di edipo e di quello di castrazione: insomma, delle tante formule non-logiche ma contenutistiche che abbiamo ricevuto dal discorso psicoanalitico e che hanno trovato più immediata applicazione. Credo che oggi sia molto ben percepibile come l’inconscio viva nella storia e come la storia vive nell’inconscio. Quello che significa questa formula sarà più chiaro, spero, nella sua applicazione, relativa al fatto politico e storico più rilevante: la questione dei migranti.
È estremamente difficile seguire gli sviluppi relativi ai grossi spostamenti di uomini, donne e bambini nordafricani e mediorientali verso l’Europa centro-orientale. Le notizie date e poi smentite si susseguono e sono uno specchio della confusione imperante in cui versano gli stati europei. Se prima il bacino d’emergenza sembrava concentrato nel sud del Mediterraneo, ora centro e nord Europa non sembrano pronti a sostenere l’emergenza. Quello a cui assistiamo non è solo, come molti hanno già proclamato, la disfatta dell’Europa, ma è la ben più estesa disfatta di un occidente post-colonialista le cui contraddizioni stanno esplodendo, dolorosamente e, soprattutto, rapidamente. Le risposte al fenomeno sono moltissime e spesso confuse. L’errore più grande sta nell’ignorare le diverse reazioni, nel rifiutare il diritto di parola anche agli interlocutori più ingenui, violenti o provocatori. Non perché abbiano ragione, s’intende, ma perché sono lo specchio di qualcosa di molto urgente, anche se semplicisticamente distorto. In questo senso credo che le reazioni di rabbia e il senso di scandalo che hanno accompagnato l’ultimo romanzo di Houellebecq, Sottomissione, la dicano lunga su quanto anche il mondo intellettuale europeo non sia in grado di fare veramente i conti con il problema. Non perché il romanzo di Houellebecq sia da difendere (anzi è un romanzo che parte da una buona idea, ma che poi si arena facendosi manierista), ma perché dà voce ad una preoccupazione generale, non scontata e che non possiamo permetterci di ignorare: stiamo davvero assistendo ad una lenta invasione? L’Occidente grasso e senza dio si piegherà davanti all’oltranzismo religioso? Siamo davvero vittime del nostro stesso benessere? E non aiutano a capire la situazione né le migliaia di immagini pietose a cui assistiamo quotidianamente (scontri, urla, lacrimogeni, un bambino morto su una spiaggia, idioti che sgambettano i migranti in fuga), né le (sempre puntuali ad arrivare) analisi semiotiche di quelle stesse immagini, che ci fanno riflettere su effetti virtuali, rappresentazionali e reali di un mondo che si ha la pretesa di interpretare in ogni suo punto, magari con uno scritto di Deleuze che spunta dal Montgomery.
Scrivo da Malta, in cui vivo e lavoro, teatro di sbarchi copiosi che si sono susseguiti soprattutto a partire dal 2005. Come accade con Lega, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle da noi anche a Malta c’è una fetta dell’opinione pubblica che è sensibile all’idea di un’invasione, per quanto lenta e continua. Ovviamente si riflette poco seriamente sulle origini storiche di simile esodo. Però si riflette molto poco anche sul fatto che, come sempre, sono le classi più in difficoltà a pagare i danni immediati. Insomma, la mia formazione di compromesso è questa: sbaglia chi dice “tornate a casa vostra”, e questo era forse abbastanza scontato, e sbaglia chi dice “venite qui, c’è posto per tutti”.
“È sempre così”, mi dice ieri sera a cena il mio amico, expat come me, “chi credi che subisca davvero l’emergenza immigrazione? Hollande? Angela Merkel? Loro vivono nei quartieri più sontuosi, sono inavvicinabili. Non possono rendersi davvero conto di qualcosa che per loro è solo virtuale. Sono i poveri dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, di Malta, quelli che vivono nei quartieri disagiati a subire sulla pelle l’emergenza”. Mi viene in mente Berlusconi e la celebre battuta sui ristoranti italiani tutti pieni in barba alla crisi: Berlusconi aveva perfettamente ragione, o almeno era perfettamente in buona fede. Il mondo in cui si muoveva, il suo spazio immaginativo (l’equivalente di quello che Mazzoni chiama «spazio letterario» nel suo Sulla poesia moderna) non può essere quello di Rossano Calabro, Ottaviano o anche Carugate, ma è la Milano centro, perfino Bergamo Alta o Brescia (sempre centro), lì dove il venerdì sera non si cena senza prenotazione. La verità è che saranno le classi meno abbienti, in Europa, a subire questa crisi e sarebbe un grave errore non ascoltare queste voci. Il mio amico, a cena, si infervora: come sempre si discute animatamente e lui, anche perché avvezzo alla provocazione, non esita a prendere posizioni estreme: “In Ungheria hanno fatto bene”, mi dice, “chi credi che le paghi le conseguenze dei migranti? Sono i poveracci che vivono nei quartieri peggiori, mica i politici! I confini vanno difesi”. La mia resistenza non cede, ma penso a Faenza, città che conosco bene e che frequento da dieci anni e il cui centro, ormai, è diventato un posto in cui, di notte, una ragazza da sola è meglio che non giri. A Faenza la Lega è il secondo partito e chi vota PD ancora oggi fa discorsi che avrebbero fatto impallidire i Bossi della prima ondata. Questo, analizzato con calma, è un problema non da poco. Perché chi inneggia a-problematicamente all’abolizione dei confini, chi sostiene di lasciar passare tutti, di accogliere tutti “senza se e senza ma” vive in un mondo molto simile a quello di Berlusconi e provoca molti più danni di quanto la sua buona fede gli farebbe immaginare. Vi assicuro che alla seconda o terza aggressione il vostro punto di vista sull’immigrazione cambierà sensibilmente. Come scriveva Burroughs in quella meravigliosa premessa al suo Pasto nudo: e voi no? Sì, anche voi, certo che anche voi. Da questo punto di vista il mio amico ha ragione: è intollerabile parlare stoltamente di accoglienza o sbandierare (come abbiamo visto indecentemente accadere in Germania meno di una settimana fa) buone intenzioni da spot pubblicitari. Altrimenti Salvini sarebbe un isolato con delle orrende felpe, cosa che, purtroppo, non è. E allora? Salvini (o Grillo, sempre ambiguo sulla questione immigrazione) ha ragione? La risposta violenta è l’unica possibile? Fanno bene in Ungheria a manganellare chiunque? Ha fatto bene quella celebre giornalista – davvero non tanto sana di mente, fatevi un giro sulla bacheca pubblica del suo facebook – a sgambettare padre e figlio nella disperata fuga verso l’Europa? Non contano niente le immagini dei bambini morti in riva al mare?
È miope attaccare a testa bassa i migranti senza rendersi conto delle origini dei problemi, è impossibile dar ragione a quelli che continuano a sbraitare che gli immigrati vanno in alberghi e gli italiani dormono in macchina, ma è rischioso ostentare un’apertura totale senza essere davvero pronti ad assumersene tutti i rischi. Per ora è chiaro che sia la destra che la sinistra in Italia, come in Europa, non sono state in grado di trovare una linea coerente, ma si limitano a cavalcare le paure più irrazionali di un’opinione pubblica travolta dagli eventi.
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