Insegnare la letteratura oggi/3. Intervista a Guido Baldi
A cura di Emanuela Annaloro
E.A. Il titolo della locandina dell’incontro che si terrà a Milano il prossimo 14 marzo recita Insegnare la letteratura oggi. Vorrei segmentare questo titolo in tre parti e chiederle:
L’insegnamento della letteratura nelle nostre scuole su cosa poggia? Su di un nucleo condiviso di contenuti e di valori negoziati dal canone della nostra tradizione? Sulle forme di un immaginario condiviso? Sulla ricerca di significati che lo studio letterario sa alimentare? O molto più prosaicamente su abitudini e rituali burocraticamente scanditi?
G.B. L’insegnamento della letteratura dovrebbe rispondere alle prime tre esigenze indicate, ma nella realtà effettuale della scuola purtroppo si verifica più frequentemente la quarta ipotesi. La burocratizzazione del lavoro dell’insegnante, per responsabilità di chi ha governato la scuola, si è andata sempre più accentuando in questi anni, a scapito di quella che dovrebbe essere l’essenza dell’insegnamento, e questo rischia di spegnere energie e impegno, specie in chi insegna da più tempo. Però credo che nel corpo docente sia ancora presente una volontà di resistenza e di opposizione alle tendenze in atto, sia ancora sentita l’esigenza di salvare il significato autentico della scuola.
E.A. Per precisare il senso della prima domanda, forse può essere utile introdurne una seconda. A cosa serve la letteratura? Quale può essere la sua funzione oggi?
G.B. La funzione più tradizionale dell’insegnamento letterario è innanzitutto trasmettere un patrimonio di bellezza, guidare i giovani ad apprezzarlo (ovviamente senza sterili estetismi). Per questo l’attenzione agli aspetti formali non può essere sacrificata. Ma la letteratura è anche un patrimonio di visioni del mondo, di valori, di esperienze, in cui ci sono le radici del nostro essere oggi: quindi offre l’opportunità di stabilire un legame col passato, di vitale importanza per i giovani attuali. Oggi i giovani vivono spesso appiattiti in un fittizio presente, senza consapevolezza dello spessore storico, e il passato è per loro una nebulosa confusa, al massimo un repertorio di finzioni evasive, non collocabili in alcuna precisa dimensione cronologica: colpisce infatti l’incapacità di gran parte degli studenti (anche all’università) di situare opere ed eventi della letteratura, come della storia politica, sociale ed economica, in un contesto storico anche solo approssimativo, persino per epoche non remote nel tempo. Questo vivere solo nel presente, senza profondità storica (sarebbe troppo complesso qui cercarne le cause, cioè aprire un discorso sulla postmodernità) è oltremodo pericoloso: innanzitutto, e non c’è quasi bisogno di ricordarlo, perché priva della consapevolezza delle radici da cui si è sviluppata la realtà in cui viviamo oggi, mentre proprio la lettura dei testi letterari del passato, portando alla luce quelle radici, permette di capire aspetti essenziali del presente, e questo è indispensabile per la formazione civile dei giobani; ma, e su questo non si riflette abbastanza, è pericoloso perché la mancata conoscenza del passato priva anche della prospettiva del futuro. L’appiattimento radica infatti l’idea che quella in cui si vive sia l’unica realtà possibile, senza alternative, e questo induce all’accettazione passiva dell’esistente.
Diviene allora importante capire che il passato non è solo la preistoria del presente, ma è anche per tanti aspetti una realtà profondamente diversa, non commisurabile ad esso. La letteratura, con la profondità di sguardo che è dei grandi capolavori, può essere per lo studente un veicolo per immergersi in mentalità, modi di pensare e di vivere, sistemi di valori e parametri di interpretazione del mondo diversi da quelli a cui è abituato a riferirsi (si pensi solo a Dante e al Medioevo), come se entrasse in contatto con una civiltà antropologicamente altra, e attraverso il confronto con il diverso il giovane può arrivare a rendersi conto di come la realtà non sia statica ma in perpetuo divenire e produca continuamente forme peculiari di società e di pensiero; può così assumere coscienza della dinamicità della storia, del fatto che infiniti cambiamenti l’hanno percorsa, e perciò capire che il cambiamento è sempre possibile; attraverso questa coscienza può allora arrivare a liberarsi della semplice accettazione dell’esistente e a rivestire una funzione dinamica nella convivenza civile. Non solo, ma grazie all’esperienza del diverso può imparare a non respingerlo con paura e diffidenza, ma ad accettarlo nella sua ricchezza in tutte situazioni, anche e soprattutto fuori della dimensione letteraria, nella sua vita quotidiana.
E.A. Oggi la scuola è sottoposta ad una egemonia culturale performativa, valutativa, economicista. In essa i valori umanistici mediati dalla letteratura appaiono sempre più marginali e residuali. Tale egemonia è talmente forte che anche dal basso, presso gli studenti, vengono a mancare i principi basilari di legittimazione dell’azione di un docente di lettere. L’insegnante di letteratura italiana non mostra come si fa un mestiere, non spiega nulla di utile, parla di un mondo che non c’è più (o non c’è ancora); che senso ha il suo lavoro oggi?
G.B. Proprio perché l’insegnante di lettere parla di un mondo che non c’è (quasi) più, o che non c’è ancora, il suo lavoro riveste una funzione indispensabile: indicando come porsi dinanzi alla datità del reale da un punto di vista straniante, insegna a non accettare acriticamente l’esistente, a sviluppare il senso critico, a opporsi al negativo e a resistere alla sua avanzata.
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