Non parla così il futuro/ Lettere dalla Corea del Sud 7
Seoul è una città per flâneur? È possibile percorrerla con la testa inquieta e i capricci nelle gambe, gambe che vanno dove vogliono, su per un cavalcavia o verso una vetrina, dietro ai sobbalzi di un carretto o ai contorni di una schiena? Il punto interrogativo si inarca più che mai, perché Seoul sovrasta i pedoni, li inghiottisce dentro i suoi confini che si dilatano con furia, risucchiando sempre più pezzi di Corea circostante, manca poco e coinciderà con la Corea tutta, e è difficile immaginarla come uno spazio camminabile da una figura assorta e distratta insieme: il flâneur. Eppure Yun, la protagonista del nuovo romanzo di Kyung sook-Shin, Io ci sarò (1), ci riesce. La sua storia comincia come una sfida: dopo aver passato un anno di lutto e letargo in campagna, incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse addolorarsi per la morte della madre, decide di trasferirsi a Seoul e lì ridiventare viva. Vuole iscriversi all’università, imparare poesie a memoria e camminare due ore al giorno per le strade. Tutti i giorni: tempo due anni, dovrà conoscere a fondo la città. La superficie di Seoul si dispiega così come una pista per flâneur, dove sparpagliare i dolori, sgonfiare le ansie, ricordare, dimenticare, sfinirsi.
Eppure Yun non è una flâneur canonica, perché per esserlo bisogna rispettare due regole: muoversi da soli e abolire le mappe. Ecco che invece Yun la mappa ce l’ha e attentamente la studia: la osserva a casa, compone nella mente itinerari organizzati attorno a una manciata di toponimi, memorizza percorsi cartacei che si trasferiranno sull’asfalto rigato da macchine velocissime, o saranno infranti da un vicolo che squarcia l’urbano e schiude un pezzo di altrove, arcaico e selvatico. Trascritti sulla pagina, i toponimi di Seoul prendono a risuonare, alcuni con una certa frequenza, tanto che diventano familiari anche a chi questa città non l’ha mai vista e non se la immagina neppure. Il nome più ricorrente è Namsan Tower, la torre che svetta sulla montagna, che è per Yun un punto di riferimento essenziale. Guardare la torre illuminata le dà sicurezza. È uno dei pochi appigli solidi in una città in continua mutazione, rapida a sottrarre certezze spaziali. Oggi può accadere che se trascuri un quartiere per qualche mese quando ci ritorni vacilli: non sai più dove sei.
Introducendo l’eresia della mappa, Yun rompe così la prima legge del flâneur, ma poco dopo ecco che infrange anche la seconda – muoversi da soli – perché non è per conto suo che tenta di esplorare e esaurire la superficie urbana. Presto le peregrinazioni di una solitaria adolescente inquieta diventano quelle di un piccolo clan: a vagare sono tre coetanei, legati da un’amicizia simbiotica – tipicamente coreana –, un’amicizia che è fluttuante, ambigua, dolorosa. Leggendo si scopre che camminare insieme non indebolisce, ma potenzia l’esperienza del flâneur, la cui sagoma qui ricorda quella di una monade a tre teste.
Ma perché Yun vuole conoscere Seoul così a fondo? La risposta è forse in un altro libro, un libro di Rilke, incastonato dentro a quello di Kyung sook-Shin: I quaderni di Malte Laurids Brigge. «E così, qui dunque viene la gente per vivere», recita l’incipit, che subito si incunea dentro Yun, perché è per questo che lei si è trasferita a Seoul: per vivere, dopo che la morte della madre si era riverberata su di sé, affossandone la vitalità. Ma il riconoscimento nelle parole altrui, che improvvisamente diventano proprie, si complica e intorbida perché Yun continua a leggere e trova: «Crederei piuttosto che si muoia, qui».
E la lettura si inceppa, perché anche questa frase entra in risonanza con la propria esperienza e con l’esperienza di moltissimi, di troppi giovani di Seoul. A Seoul si muore, si muore tanto, si muore giovani e per scelta. La storia di Yun è ambientata negli anni ’80, ma le percentuali di oggi fanno ancora più paura: Seoul è al terzo posto nella classifica mondiale delle città che innescano il suicidio. La causa più vistosa e assurda è un esame, il College Scholastic Ability Test (CSAT),che determina l’accesso all’università e che di fatto è percepito come “l’occasione per costruire o spezzare il proprio futuro”. Questa occasione si presenta una volta l’anno, a novembre. La tensione è collettiva e affila tutti i ruoli: quella mattina gli autisti degli autobus e della metro devono fare l’impossibile per evitare ingorghi e garantire la puntualità di tutti gli studenti. Gli aerei non possono né decollare né atterrare, per non disturbare coi loro rombi la parte di ascolto dell’esame. I familiari degli studenti strisciano la fronte sulla soglia dei templi, srotolano mantra e offrono allo sguardo di un Buddha irrigidito i palmi spalancati. E gli studenti, loro, questa pressione la vanno a sfracellare sotto i piloni del ponte Mapo. Non stupisce, no?
La politica sociale coreana vuole arginare tutto questo e investe soprattutto in striscioni di conforto, che foderano di aforismi le sponde del ponte: “La parte migliore della tua vita deve ancora venire”. Ma nessuno può parlare in delega del futuro, nessuno.
_________
NOTE
Il nuovo romanzo di Kyung-sook Shin è Io ci sarò, trad. di Benedetta Merlini, Sellerio, Palermo 2014.
{module Articoli correlati}
Articoli correlati
-
L’interpretazione e noi
-
Legami di Eshkol Nevo: un viaggio tra cuori affamati
-
Un monito per il presente: l’antimilitarismo di Francesco Misiano
-
Su Il popolo è immortale di Vasilij Grossman
-
Breve storia dell’amnesia
-
-
La scrittura e noi
-
Linda
-
Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe Corlito
-
A proposito di L’Avversario di Emmanuel Carrère
-
“L’unico modo che abbiamo per non precipitare nel terrore”. Intervista a Edoardo Vitale
-
-
La scuola e noi
-
Dalle conoscenze, alle competenze, all’affettività: utopia o distopia di una professione?
-
Dante al Buonarroti. Fare esperienza del testo dantesco
-
Matteotti cento anni dopo, fra storia e didattica
-
Politica e cultura: i dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare. Verso una nuova stagione di lotte nella scuola?
-
-
Il presente e noi
-
Il convegno di LN: i laboratori/3. Leggere la poesia d’amore medievale nella secondaria di primo e di secondo grado
-
Il convegno di LN: i laboratori/2. Tra narrazione e argomentazione
-
Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale
-
Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinere
-
Commenti recenti
- Giuseppe Muraca su Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe CorlitoPer rimanere nel tema, Pisa è stato uno dei grandi centri del rinnovamento politico e…
- Roberto Bugliani su Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe CorlitoA mio avviso, un ulteriore elemento da valutare (che, basandomi almeno per il momento su…
- Ennio Abate su Su Il popolo è immortale di Vasilij GrossmanUn tema come quello dell’esperienza di “costruzione del socialismo in Urss” o dell'”esperimento profano” (Di…
- Eros Barone su Su Il popolo è immortale di Vasilij GrossmanCaro Corlito, non è la tua recensione, straccamemte sospesa tra filisteismo e liquidazionismo, tutta interna…
- Manola Lattanzi su Dalle conoscenze, alle competenze, all’affettività: utopia o distopia di una professione?Da docente di lettere in un istituto professionale condivido tutto ciò che ha scritto. Sono…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Lascia un commento